Corte di Cassazione ordinanza n. 29262 depositata il 7 ottobre 2022
violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. – le dichiarazioni rese dal contribuente durante le attività istruttorie dell’accertamento hanno valore di confessione stragiudiziale
Rilevato che:
1. L’Agenzia delle Entrate notificò a G.D. – esercente il commercio al dettaglio di ferramenta, vernici, vetro piano, materiale elettrico e termoidraulico- avviso d’accertamento relativo all’Irpef, all’Irap ed all’Iva di cui all’anno d’imposta 2008, con il quale, all’esito di processo verbale di constatazione relativo agli anni dal 2005 al 2008, imputò al contribuente il maggior imponibile derivante da ricavi non dichiarati, accertati (come risulta dall’avviso d’accertamento trascritto nel ricorso stesso) sulla base dei dati relativi alle rimanenze iniziali e finali della merce, riscontrati sulla base della dichiarazione dei redditi; della documentazione di magazzino, relativa all’inventario, non ufficiale, di ogni annualità, acquisita all’inizio della verifica; e del rilevamento fisico dei beni esistenti in magazzino.
Avverso l’atto impositivo il contribuente ha presentato ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che lo ha rigettato.
Contro tale decisione il contribuente ha proposto appello, che l’adita Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza di cui all’ epigrafe, ha rigettato.
Il contribuente ha dunque proposto ricorso, affidato ad undici motivi, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.
L’Agenzia si è costituita con controricorso.
Il ricorrente ha prodotto memoria.
Considerato che:
1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’ art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, “per avere ritenuto la sussistenza dei presupposti dell’accertamento induttivo”.
Il motivo è inammissibile, in quanto generico e privo di effettivo contenuto critico rispetto alla decisione impugnata, posto che si limita a contrapporre ad uno stralcio della motivazione di quest’ultima la riproduzione di una parte dell’appello del contribuente, per concludere sull’illegittimità della sentenza in quanto prescinderebbe del tutto dall’accertamento dell’inattendibilità della contabilità del contribuente, che nel caso di specie non sussisterebbe.
Va allora ricordato che in tema di giudizio di cassazione, trattandosi di rimedio a critica vincolata il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicché è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, né essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione (Cass. 24/02/2020, n. 4905; conformi, ex plurimis, Cass. , S.U., 28/10/2020, n. 23745). Nel caso di specie, senza attingere specificamente e puntualmente la ratio decidendi espressa dalla sentenza impugnata, il motivo si limita a contrapporre al relativo passo di motivazione lo stralcio dell’appello, di fatto censurando la decisione perché non ha accolto la tesi dell’appellante, ciò che non è ammissibile.
Peraltro, il motivo è anche infondato, posto che la CTR ha argomentato, correttamente, che l’accertamento induttivo è compatibile anche con la contabilità tenuta in modo regolare, e considerato che dallo stesso atto impositivo, come trascritto nel ricorso, risulta che l’avviso è stato emesso ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, per il quale è sufficiente presupposto del metodo analitico induttivo la parziale inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili (Cass. 18/12/2019, n. 33604, ex plurimis), nel caso di specie rappresentata dalla “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi relativi alle rimanenze, rivelata dal raffronto con la documentazione ausiliaria di magazzino non ufficiale e dal riscontro fisico della merce.
2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., “per omessa motivazione in relazione alla sussistenza dei presupposti dell’accertamento induttivo”.
Il motivo è inammissibile, per plurime ragioni, ciascuna sufficiente a determinare la relativa declaratoria.
Innanzitutto, il riferimento , nel corpo del mezzo, all’omessa pronuncia, da parte della CTR, “in marito alla descritta decadenza” rende incomprensibile l’effettivo oggetto della censura, priva di altri riferimenti alla “decadenza”.
Inoltre, il motivo è inammissibile anche perché nel suo corpo propone, contemporaneamente e senza alcuna gradazione, due pretesi vizi tra loro in contraddizione ed incompatibili logicamente, prima ancora che giuridicamente: una pretesa omessa pronuncia ed un’asserita omessa motivazione, la quale ultima presuppone che una pronuncia vi sia stata, ma non sia stata motivata ( Cass. 05/03/2021, n. 6150).
Il motivo, peraltro, è comunque infondato, in quanto, rigettando l’appello per motivi di merito relativi alla pretesa erariale, la CTR ha, implicitamente ma necessariamente, comunque rigettato la censura relativa all’insussistenza dei presupposti per l’accertamento analitico-induttivo praticato, dando quindi luogo, quanto meno, ad un rigetto implicito. Inoltre anche l’eventuale motivazione apparente di tale rigetto può essere comunque integrata in questa sede, sulla base dell’infondatezza, in diritto, della relativa eccezione del contribuente, già illustrata a proposito del primo motivo, in quanto il ricorso per cassazione che denunci il vizio di motivazione della sentenza, perché meramente apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c., non può essere accolto qualora la questione giuridica sottesa sia comunque da disattendere, non essendovi motivo per cui un tale principio, formulato rispetto al caso di omesso esame di un motivo di appello, e fondato sui principi di economia e ragionevole durata del processo, non debba trovare applicazione anche rispetto al caso, del tutto assimilabile, in cui la motivazione resa dal giudice dell’appello sia, rispetto ad un dato motivo, sostanzialmente apparente, ma suscettibile di essere corretta ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. (Cass. 01/03/2019, n. 6145).
3. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
Nella sostanza la ricorrente lamenta che la CTR abbia motivato in ordine alla legittimità dell’accertamento parziale di cui all’art. 41-bis d.P.R. n. 600 del 1973, piuttosto che sussistenza dei presupposti dell’accertamento induttivo, che costituiva l’oggetto della censura del ricorrente.
Il motivo è infondato.
Invero la sentenza impugnata, pronunciandosi (anche) sulla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 41-bis d.P.R. n. 600 del 1973, ha dato risposta ad una specifica eccezione sollevata dal contribuente appellante, riportata peraltro testualmente a pag. 16 del ricorso per cui si procede. Inoltre, la motivazione della sentenza impugnata, sul punto, tratta espressamente anche della compatibilità tra l’accertamento di cui al ridetto art. 41-bis d.P.R. n. 600 del 1973 e quello induttivo praticato nel caso di specie. Pertanto, le argomentazioni spese sulla questione dalla CTR non sono eccentriche rispetto al thema decidendum introdotto dallo stesso contribuente. Tanto meno, poi, esse hanno dato luogo ad un deficit decisorio in ordine alla sussistenza dei presupposti dell’accertamento analitico-induttivo, dovendo sul punto richiamarsi quanto già argomentato ante a proposito dei primi due motivi.
4. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’ artt. 39 P.R. n. 600 del 1973, “ per avere confermato l’accertamento fondato su presunzioni prive di gravità, precisione e concordanza.”.
5. Con il quinto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600 del 1973; 112,115 e
116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., “ per non avere posto alla base della decisione le circostanze dedotte in appello relative all’esistenza di percentuali di ricarico ulteriori rispetto a quella del 66,67% posta a base dell’accertamento.”.
6. Con il sesto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600 del 1973; 112,115 e 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., “ per non avere posto alla base della propria decisione le circostanze risultanti dagli atti, dedotte e non contestate dall’ufficio, che dimostrano infondatezza in punto di prova della pretesa erariale, con specifico riguardo all’all. 11 al pvc presupposto”, relativamente all’individuazione dei presupposti della determinazione dei maggiori ricavi accertati e della percentuale di ricarico applicata.
7. Con il settimo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., “ per omessa motivazione in relazione all’omessa prova della percentuale utilizzata.”.
7.1 I motivi dal quarto al settimo vanno trattati congiuntamente per la loro connessione e sono inammissibili per plurime ragioni, ciascuna da sola sufficiente a determinare la relativa declaratoria.
Invero essi, nel loro complesso, attingono, nel merito, la valutazione effettuata dalla CTR in ordine agli elementi istruttori (di natura non solo indiziaria, ma anche diretta, come la documentazione contabile non ufficiale di magazzino e le dichiarazioni riconducibili ad un terzo ed allo stesso contribuente, come infra si dirà) che hanno condotto ad accertare an e quantum dei ricavi occulti, anche con riferimento alla percentuale di ricarico applicata.
Va allora ricordato che, secondo giurisprudenza consolidata, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. Un., 27/12/2019, n. 34476, ex plurimis).
Tanto più è inammissibile attingere (nella sostanza dei motivi, ovvero a prescindere dalla loro formale rubricazione nel ricorso) il merito delle valutazioni effettuate dal giudice a quo quando, come nel caso di specie, sussiste altresì il vincolo della c.d. doppia conformità, senza che il ricorrente abbia individuato, come necessario a pena di inammissibilità (Cass. 22/12/2016, n. 26774) le ragioni di fatto differenti sulle quali siano fondate le decisioni dei due gradi di merito.
Inammissibile è anche, in particolare, la denuncia della pretesa violazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., proposta contestualmente dalla ricorrente, senza peraltro un’ adeguata differenziazione delle relative censure, sebbene tra loro ontologicamente differenti e non conciliabili.
Infatti, « In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.» (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018).
Né comunque, nel caso di specie, vi è stata inversione dell’onere della prova, che il giudice di appello ha imputato all’Ufficio, dando atto, correttamente, che quest’ultimo poteva assolverlo anche tramite presunzioni semplici, con conseguente facoltà di prova contraria del contribuente; ma, nel prosieguo della motivazione, constatando anche che era stata fornita la prova diretta, attraverso le dichiarazioni sulle quali infra.
Quanto poi alla pretesa violazione di legge consistente nel difetto di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni sulle quali si fonda l’accertamento, la relativa censura è inammissibile, in quanto « In sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso.» (Cass. 13/02/2020, n. 3541), fattispecie che non è stata denunciata e che comunque non ricorre nel caso di specie.
Né, comunque, può essere censurata in sede di legittimità la scelta operata dal giudice del merito – ai fini della valutazione della pregnanza di un determinato elemento indiziario, come anche di un coacervo di elementi- circa la scelta e la valutazione degli elementi, rientrando tali attività (di apprezzamento e di valutazione dell’idoneità degli elementi presuntivi) nei poteri del giudice del merito, incensurabili in sede di legittimità, se sorretti da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Cass. 14/11/2019, n. 29540; Cass. 16/05/2017, n. 12002). Così come è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione (Cass. 17/01/2019, n. 1234).
Fermo restando, peraltro, che nel caso di specie neppure è stata specificamente censurata l’eventuale fallacia del ragionamento inferenziale cui il giudice di merito abbia fatto ricorso, utilizzando la prova indiziaria, nell’accertamento dei fatti di causa, tanto più che la decisione impugnata trova comunque specifico sostegno istruttorio (anche) nelle dichiarazioni di cui infra.
Neppure è ammissibile la censura secondo la quale il giudice di appello non avrebbe preso in esame mezzi di prova dedotti da parte contribuente, atteso che il giudice del merito è tenuto ad evidenziare le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragare la decisione adottata, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la particolare disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi. (Cass. 30/01/2020, n. 2153).
8. Con l’ottavo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, “ per aver confermato l’avviso d’accertamento fondato sull’utilizzo di una media aritmetica semplice e non ponderata”.
9. Con il nono motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 38 e ss. d.P.R. n. 600 del 1973 2697 cod. civ., “in relazione alla valutazione delle dichiarazioni del contribuente.”, “ per aver confermato l’avviso d’accertamento fondato sull’utilizzo di una media aritmetica semplice e non ponderata”.
10. Con il decimo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 4 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2700 cod. civ. e 112 e 115 cod. proc. civ., “ in relazione alla circostanza ritenuta assorbente dalla sentenza impugnata, secondo cui non è stata proposta querela di falso contro i PPV ed il PVC.”.
11. Con l’undicesimo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 10 legge n. 212 del 2000, “in relazione alle modalità di verifica e sottoscrizione del PVC.”.
11.1 I motivi dall’ottavo all’undicesimo vanno trattati congiuntamente per la loro connessione e sono infondati. Infatti essi attengono tutti alla legittimità dell’utilizzo, da parte dell’ Ufficio, della percentuale di ricarico del 66,67% sulla merce venduta dal contribuente senza dichiarare i relativi ricavi.
Nella motivazione della sentenza impugnata, la ratio decidendi sul punto trova fondamento ( con puntuale riferimento ai riscontri documentali ) nelle dichiarazioni esplicite, verbalizzate nel corso del procedimento amministrativo, rese, sul punto, sia dallo stesso contribuente, titolare della ditta individuale, che dalla moglie, qualificata dal medesimo coniuge come “propria collaboratrice”. Deve allora ricordarsi che, come argomentato dalla CTR, le dichiarazioni rese dal contribuente durante le attività istruttorie dell’accertamento hanno valore di confessione stragiudiziale, ai sensi dell’art. 2735 cod. civ., costituendo pertanto prova non già indiziaria, ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti del contribuente che l’ha resa, non abbisognevole, come tale, di ulteriori riscontri (Cass. 21/12/2005, n. 28316; nello stesso senso cfr. Cass. 24/10/2014, n. 22616; Cass. 25/05/2007, n. 12271; Cass. 26/01/2004, n. 1286; con specifico riferimento proprio all’ accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una data percentuale di ricarico, cfr. Cass. 16/10/2015, n. 20980, in motivazione). Ulteriori riscontri che comunque, nel caso di specie, il giudice a quo ha riscontrato anche nelle congruenti dichiarazioni rese dalla terza coniuge e collaboratrice del contribuente (peraltro inserite nel contesto di un processo verbale sottoscritto dallo stesso contribuente, senza che risultassero specifiche contestazioni sul punto).
Tanto premesso, le censure del ricorrente non attingono specificamente e puntualmente (con l’allegazione dei doverosi riscontri documentali) il dato oggettivo, accertato e giustamente considerato essenziale dalla CTR, della mancata presentazione di querela di falso in ordine ai verbali nei quali sono contenute le predette dichiarazioni del contribuente e della coniuge, sicché non è ammissibile mettere in dubbio che esse siano state rese ad abbiano quel contenuto (rispettivamente di prova legale e di prova indiziaria) che la CTR ha accertato e valutato, anche coordinandole reciprocamente.
Del tutto generica ed astratta è poi la censura secondo la quale la sottoscrizione del p.v.c. da parte del contribuente sarebbe avvenuta in un contesto cronologico -“dieci minuti ( al massimo impiegati) per firmare” – che si risolverebbe in una non meglio precisata violazione dell’art. 10 legge n. 212 del 2000.
Non è chiaro, invero, se, come e perché, secondo il ricorrente, tale circostanza dovrebbe infirmare la paternità o l’autenticità di dichiarazioni contenute in atti pubblici che la parte interessata non nega di aver sottoscritto. Ferma dunque l’inammissibilità della predetta censura, deve comunque rilevarsi che la CTR, con puntuale riferimento alla relativa documentazione, ha valutato, anche nel merito, la sostanziale irrilevanza della presentazione, da parte del contribuente, non di querele di falso contro i verbali a sua firma, ma solo, dopo ben sette anni dai fatti, di un esposto all’autorità giudiziaria inquirente, atto del cui esito (in termini in ipotesi rilevanti ai fini di questo giudizio) nulla deduce specificamente il ricorrente.
12. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 , se dovuto.
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