Corte di Cassazione ordinanza n. 29488 depositata il 10 ottobre 2022
ICI – IMU – abitazione principale – l’abitazione principale è solo quella ove il proprietario e la sua famiglia abbiano fissato: 1) la residenza (accertabile tramite i registri dell’anagrafe); 2) la dimora abituale (ossia il luogo dove la famiglia abita la maggior parte dell’anno)
RILEVATO CHE
il Comune di Induno Olona propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 203/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Varese, che aveva accolto il ricorso proposto da M.G. di Marignano avverso avviso di accertamento IMU 2012-2013-2014, ed ha depositato memoria difensiva;
il contribuente è rimasto intimato
CONSIDERATO CHE
1.1 con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 13 d.l. n. 201/2011, conv. dalla l. n. 214/2011, degli artt. 143 e 144 c.c., dell’art. 3 comma 2 DPCM n. 159/2013, per avere la Commissione Tributaria Regionale illegittimamente ritenuto che il contribuente avesse diritto all’esenzione IMU per l’abitazione principale;
1.2 la doglianza è fondata;
1.3 la Commissione Tributaria Regionale ha affermato che il contribuente poteva fruire dell’agevolazione fiscale pur essendo, il coniuge dello stesso, residente in un Comune diverso da quello in cui risiedeva il marito, senza espletare alcun ulteriore accertamento riguardo alla dimora abituale del nucleo familiare;
1.4 osserva la Corte, in conformità a quanto già in precedenza affermato (cfr. Cass. nn. 1199/2022, 2194/2021, 4166 e 4170/2020) che il tenore letterale della norma in esame (art. 13 d.l. n. 201/2011 cit,) è chiaro, diversificandosi in modo evidente dalla previsione in tema di ICI in tema di agevolazione relativa al possesso di abitazione principale, oggetto di diversi interventi normativi;
1.4 l’art. 13, comma 2, del citato d.l. n. 201/2011, per quanto qui rileva, statuisce infatti che «l’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 […]. Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente»;
1.5 ciò comporta la necessità che in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente;
1.6 ciò, d’altronde, è conforme all’orientamento costante espresso da questa Corte, in ordine alla natura di stretta interpretazione delle norme agevolative (tra le molte, in tema di ICI, cfr. Cass. sez. 5, 11 ottobre 2017, n. 23833; Cass. sez. 6-5, ord. 3 febbraio 2017, n. 3011), condiviso anche dalla Corte costituzionale (cfr. Corte cost. 20 novembre 2017, n. 242);
1.7 peraltro, come indiretta conferma di quanto sopra osservato, rileva anche la modifica introdotta, nel contesto del citato 13 del d.l. n. 201/2011, con l’aggiunta, ad opera dell’art. 1, comma 10, della I. n. 208/2015, della previsione, al comma 3, del comma 3a), secondo cui, solo con decorrenza dal 1° gennaio 2016, la base imponibile dell’imposta municipale propria è ridotta del 50% «per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori stabilmente nello stesso comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato […]» (Cass. 20368/2018; Cass. 5314/2019);
1.8 in definitiva, ai fini che qui rilevano, «l’abitazione principale è solo quella ove il proprietario e la sua famiglia abbiano fissato: 1) la residenza (accertabile tramite i registri dell’anagrafe); 2) la dimora abituale (ossia il luogo dove la famiglia abita la maggior parte dell’anno)» (cfr. Cass. n. 17408/2021, in motivazione);
1.9 infine, va considerato che la Circolare Ministeriale 3/ DF del 2012 – secondo cui «il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative» – in materia tributaria non costituisce fonte di diritti ed obblighi, non discendendo da essa alcun vincolo neanche per la stessa Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. nn. 1199/2022, 17408/2021, cit, 20819/2020);
1.10 peraltro, nel caso di specie, non risulta dalla sentenza impugnata che tale «effettiva necessità» di trasferimento del coniuge del contribuente (che non può coincidere con il riferimento a generiche esigenze personali) sia stata, nei gradi di merito, allegata e dimostrata dalla parte privata;
1.11 pertanto, intendendo dare continuità ai precedenti richiamati, rileva questo Collegio che alla fattispecie concreta sub iudice non può applicarsi la controversa agevolazione con riferimento a nessuno dei parametri normativi richiamati, essendo stato accertato che solo il ricorrente aveva la propria residenza anagrafica e dimora abituale nel Comune di Induno Olona mentre il proprio coniuge, non legalmente separato, aveva residenza anagrafica in altro Comune, né sussistevano elementi di prova attestanti la dimora abituale nell’immobile in questione;
2. va quindi accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo (circa il difetto di prova sulla spettanza della richiesta agevolazione) e va cassata la decisione impugnata;
3. non essendo necessari ulteriori accertamenti, va inoltre rigettato il ricorso introduttivo del contribuente;
4. le spese del giudizio di merito si compensano stante il progressivo consolidamento della giurisprudenza in materia mentre quelle di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo motivo; cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; compensa le spese di lite del merito e condanna il contribuente al pagamento, in favore del Comune ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge se dovuti.