CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 297 depositata il 9 gennaio 2023

Lavoro – Mobilità volontaria – Diritto alla stabilizzazione con superiore qualifica – Progressione economica all’interno della categoria di appartenenza o di passaggio di categoria – Assunzione di personale non dirigenziale – Principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato – Rigetto

Rilevato che

1. con sentenza del 4.10.2016, la Corte d’appello di Firenze confermava la decisione del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda formulata da C.R. – dipendente della Provincia di Prato con qualifica D1, poi transitata con analogo inquadramento, per mobilità volontaria, alle dipendenze della Città Metropolitana di Firenze in data 1.12.2010 – intesa al riconoscimento del diritto alla stabilizzazione con superiore qualifica D3 rivestita nel precedente rapporto a tempo determinato ex art. 110 d.lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.);

2. la Corte distrettuale – per quanto ancora rileva nella presente sede – riteneva che la dipendente non poteva fondatamente vantare il diritto alla stabilizzazione con qualifica D3 in quanto, indipendentemente dalle mansioni di fatto svolte dalla stessa in precedenza, l’avviso di stabilizzazione, al quale aveva risposto, era per la copertura di un posto di specialista in materia economiche e finanziarie classificato con qualifica D1 e comportava, quindi, la sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato con tale inquadramento;

3. di tale decisione la R. domanda la cassazione, affidando l’impugnazione a sette motivi, ai quali resistono, con controricorso, la Provincia di Prato e la Città Metropolitana di Firenze; tutte le parti hanno depositato memorie illustrative.

Considerato che

1. con il primo e il secondo motivo, entrambi rubricati «violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 558, legge n. 296/2006, dell’art. 3, commi 90 e 94 lett. a) legge n. 244/2007, della clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18.3.1999, in allegato alla direttiva 1999/70/CE, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.», la ricorrente si duole dell’erronea interpretazione della disciplina sopra richiamata, in particolare osservando (prima censura) che se la stabilizzazione implica la conservazione della pregressa anzianità di servizio, essa non può che avvenire «nel profilo di inquadramento ricoperto a tempo determinato», e ciò in quanto è proprio il meccanismo «eccezionale» delle stabilizzazioni a rendere evidente che vi è «una stretta e inestricabile correlazione» tra la qualifica posseduta a tempo determinato e quella finale di stabilizzazione;

tale interpretazione, peraltro, è l’unica che rende la stabilizzazione compatibile (secondo motivo) con il principio di non discriminazione di cui all’art. 4, comma 1, dell’Accordo quadro allegato alla direttiva del Consiglio 1999/70/CE, che impone la conservazione dell’anzianità pregressa maturata nel corso del rapporto a tempo determinato, nella specie categoria D, posizione economica D3: profilo (questo) rivestito dalla R. nel corso dell’unico contratto di lavoro a tempo determinato;

2. con il terzo motivo si denuncia, ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non essersi la Corte d’appello pronunciata sul motivo di gravame «variamente articolato», e dunque affrontando anche la questione, pur dedotta, come si evinceva dalla sentenza impugnata, della lamentata (al paragrafo 1.2 dell’atto d’appello, pagine 14-15) violazione della regola di cui all’art. 4, comma 1, dell’Accordo Quadro in allegato alla direttiva del Consiglio 1999/70/CE;

3. con il quarto motivo, lamenta «violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 558, legge n. 296/2006, dell’art. 3, commi 90 e 94 lett a) legge n. 244/2007, dell’art. 3, comma 7-13, ed allegato A) del c.c.n.l. del 31.3.1999, dell’art. 3, comma 7, del c.c.n.l. del 14.9.2000, dell’art. 10, comma 2, c.c.n.l. del 9.5.2006 del Comparto Autonomie Locali»;

il contratto individuale a tempo determinato della ricorrente prevedeva l’assunzione con il profilo professionale di specialista in materie economiche finanziarie e statistiche, categoria D, posizione economica D3, ex 8^ q.f., sicché il giudice d’appello non si sarebbe avveduto che la disciplina collettiva fissava, nell’ambito della categoria D, posizioni differenziate non solo sotto il profilo economico ma anche professionale in relazione alla diversa professionalità di provenienza (ex 7^ e 8^ q.f.), tanto da prevedere, per il passaggio interno nella categoria a uno dei profili professionali superiori, la stessa procedura selettiva per il transito da una categoria all’altra;

ciò posto, era erroneo l’assunto della Corte di merito secondo cui il trattamento iniziale della categoria cui il profilo professionale apparteneva era esclusivamente D1, essendo piuttosto vero che «la qualifica e fascia retributiva iniziale di inquadramento della R. era proprio la D3», ciò in osservanza del sistema di classificazione professionale del personale del Comparto Regioni e Autonomie Locali;

4. con il quinto motivo deduce «violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 558, legge n. 296/2006, dell’art. 3, commi 90 e 94 lett a) legge n. 244/2007, della clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18.3.1999, in allegato alla direttiva 1999/70/CE, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.»;

alla luce della disciplina normativa richiamata e del principio di non discriminazione di cui all’art. 4 dell’Accordo quadro, cit., la Provincia di Prato era vincolata a effettuare la stabilizzazione con specifico ed esclusivo riferimento all’unica qualifica giuridica (D3) posseduta dalla R. nel corso dell’intero suo rapporto a tempo determinato, senza che potesse rilevare che l’avviso di stabilizzazione avesse ad oggetto la qualifica D1: avviso che, in parte qua, siccome contrastante con il diritto comunitario, era da ritenersi nullo, inefficace e comunque da disapplicare;

5. con il sesto motivo la ricorrente formula istanza di remissione alla Corte di giustizia ex art. 267, comma 3, del TFUE sulla questione della corretta interpretazione (e quindi della compatibilità) dell’art. 1, comma 558, legge n. 296/2006 e dell’art. 3, commi 90-94 lett. a) legge n. 244/2007 rispetto al principio di non discriminazione sancito dall’art. 4 dell’Accordo quadro, cit.; assume che colliderebbe con tale principio una normativa interna che, sia pur in presenza di un unico contratto a tempo determinato, consente l’immissione in ruolo a tempo indeterminato, senza soluzione di continuità, in una qualifica inferiore a quella da ultimo posseduta;

6. con la settima, ed ultima, censura conclude affinché la Corte proceda a definizione del giudizio nel merito ex art. 384 cod. proc. civ.; deduce in particolare che, alla stregua delle superiori considerazioni, il passaggio, mediante cessione del contratto di lavoro, alla nuova amministrazione mediante procedura di mobilità volontaria, determina l’inquadramento nel profilo D3 in concreto spettante, con ogni conseguenza sulle differenze stipendiali dovute dalla parte datoriale, rispettivamente a far data dal 16.10.2008 (Provincia di Prato) e dal 1.12.2010 (Città Metropolitana di Firenze);

7. il Collegio ritiene, in ragione della funzione nomofilattica affidata al giudice di legittimità dall’ordinamento, che risolutive ai fini del presente giudizio siano le considerazioni già svolte da questa Corte nella decisione 12 luglio 2022, n. 22054, relativa a vicenda sostanzialmente sovrapponibile, nella parte riferita (appunto) all’inquadramento operato dall’amministrazione in sede di procedura di stabilizzazione, alla cui motivazione, dunque, si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.;

7.1 le censure sopra riportate, fra loro strettamente collegate e meritevoli di trattazione congiunta, sono infondate;

in particolare, quelle di violazione di legge e di norme contrattualcollettive, pongono richiamo, in maniera inconferente rispetto alla questione di diritto affrontata nella sentenza impugnata, al sistema di classificazione professionale e al trattamento economico del personale del comparto di riferimento rilevanti in occasione di progressione economica all’interno della categoria di appartenenza o di passaggio di categoria, laddove la fattispecie considerata è, invece, riferita a distinta fattispecie, rispetto alla quale assume rilevanza l’interpretazione della diversa norma sulla stabilizzazione negli enti locali, e cioè l’art. 1, comma 558 della legge 296/2006 (legge finanziaria per l’anno 2007): è questa, infatti, la norma di riferimento rispetto alle censure formulate, che attengono alla possibilità o meno per l’Amministrazione di procedere alla stabilizzazione nell’ambito della qualifica indicata nel bando e nella fascia retributiva iniziale secondo le disposizioni del CCNL di comparto, pur senza assicurare la continuità rispetto al precedente rapporto a tempo determinato (cfr. Cass. 2 novembre 2021, n. 31112);

7.2 l’art. 1, comma 558, della legge 296/2006, prevede che «A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli enti di cui al comma 557 fermo restando il rispetto delle regole del patto di stabilità interno, possono procedere, nei limiti dei posti disponibili in organico, alla stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché del personale di cui al comma 1156, lettera f), purché sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo espletamento di prove selettive»;

7.3 questa previsione, speciale rispetto alle norme denunziate dalla ricorrente, consente, invero, agli enti locali, nei limiti dei posti disponibili in organico e nel rispetto delle regole del patto di stabilità interno, di procedere all’assunzione di personale non dirigenziale che versi in una delle seguenti condizioni: a) sia in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi; b) abbia prestato servizio a tempo determinato per almeno tre anni in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 26 settembre 2006, c) sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore dalla legge;

7.4 la giurisprudenza di legittimità ha affermato che tale stabilizzazione non integra un’ipotesi di conversione quale effetto sanzionatorio di una reiterazione abusiva di contratti a tempo determinato, ma costituisce una misura di favore prevista dal legislatore per coloro che abbiano prestato servizio alle dipendenze dell’ente locale per un determinato periodo di tempo e che consente a tale personale, in ragione di un solo requisito fattuale, di accedere ai ruoli della P.A., in deroga alla regola generale, altrimenti applicabile, dell’accesso mediante concorso pubblico (cfr., in tali termini, Cass. 24.11.2016 n. 24025);

7.5 non essendovi un diritto incondizionato alla stabilizzazione, per essere la stessa dipendente dalla determinazione dell’Ente a procedervi, con scelta condizionata dal rispetto dei limiti finanziari e dall’esistenza di posti vacanti in organico da ricoprire, non sussiste nemmeno il diritto dei lavoratori ad essere assunti nella stessa posizione professionale tenuta nell’ambito dell’ultimo rapporto di lavoro a tempo determinato, ben potendo l’amministrazione (nel caso che ne occupa, la Provincia di Prato) esercitare la sua facoltà di procedere alla copertura a fronte di una rilevata carenza di organico con riferimento ad altra e diversa posizione professionale;

7.6 ciò è desumibile da ulteriore sentenza di questa Corte, che ha evidenziato come le norme in tema di stabilizzazione non hanno previsto la continuazione, a tempo indeterminato, dello stesso rapporto di lavoro a tempo determinato, ma la conclusione di un nuovo contratto a tempo indeterminato, nel quale può legittimamente essere attribuito un inquadramento diverso da quello conseguito in precedenza dallo stesso lavoratore (cfr., in tali termini, Cass. 3.4.2018 n. 8134);

come ritenuto dal giudice del merito, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, l’Amministrazione di Prato, previo accertamento della vacanza in organico rispetto alla qualifica da assumere, la quale risultava dalla dotazione organica vigente, e della programmazione del fabbisogno di personale, ha emesso l’avviso di stabilizzazione con esplicito riferimento, appunto, all’inquadramento nel livello D1;

7.7 ed essendovi, come si è detto, una soluzione di continuità tra i due rapporti, è palese l’infondatezza delle argomentazioni formulate da parte ricorrente tese alla qualificazione della fattispecie come novazione oggettiva e a dedurre l’illegittimità del proprio inquadramento contrattuale;

8. neanche è configurabile la dedotta violazione del principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato, di cui alla direttiva comunitaria 70/1999/CE relativa all’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES, che potrebbe configurarsi solo nell’ipotesi in cui venisse prospettata in giudizio (e dimostrata da chi l’allega) l’esistenza di un’operazione di preordinato fraudolento frazionamento in più segmenti di un rapporto di lavoro in realtà connotato da un’intrinseca unitarietà, con l’intento dell’Ente locale di pervenire alla stabilizzazione di un lavoratore in qualifica inferiore a quella che altrimenti sarebbe spettata in virtù dell’unico rapporto illecitamente frazionato (cfr., sul punto, Cass. n. 24025/2016, cit.);

9. nel caso esaminato, l’intento fraudolento della Provincia di Prato non risulta essere stato oggetto di specifica e tempestiva doglianza in sede di merito, con riferimento al principio di autosufficienza del ricorso, e non risulta in ogni caso dimostrato dalla lavoratrice il suddetto intento;

10. non coglie nel segno, poi, la censura ex art. 112 cod. proc. civ., atteso che è incontroverso che l’atto d’appello si compendiava in un’unica, seppure «variamente articolata», censura che, in quanto tale, è stata correttamente esaminata dalla Corte territoriale nel suo complesso;

il vizio di omessa pronuncia, configurabile solo allorquando risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (cfr. fra le tante Cass. n. 12652/2020 e Cass. n. 2151/2021);

ciò perché il giudice del merito, infatti, non è tenuto ad esaminare espressamente e singolarmente ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, atteso che ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. è necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, con la conseguenza che si devono ritenere disattesi per implicito tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito;

11. alla stregua delle esposte argomentazioni, deve pervenirsi – conclusivamente – alla reiezione del ricorso, non conferente appalesandosi il richiamo, contenuto nelle note difensive della R., a Cass. n. 4195/2020, non venendo in considerazione, nel caso in esame, aspetti legati all’anzianità di servizio maturata precedentemente all’acquisizione dello status di lavoratore a tempo indeterminato a fini del conseguimento di maggiorazioni retributive sul presupposto, (si noti) qui non dedotto, dell’identità di funzioni rispetto a quelle precedentemente esercitate nell’ambito del contratto a termine (cfr., per tale diverso campo di indagine, da ultimo, anche Cass. n. 705/2021);

le spese del presente giudizio di legittimità, come sostenute ex adverso, vanno poste a carico della ricorrente nella misura indicata in dispositivo;

12. essendo stato il ricorso proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, presupposti che ricorrono anche in ipotesi di declaratoria di inammissibilità del ricorso (cfr. Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, in favore di ciascuna delle amministrazioni controricorrenti, in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.