Corte di Cassazione, ordinanza n. 29801 depositata il 27 ottobre 2023
cooperativa sociale – procedure concorsuali – esclusione
FATTI DI CAUSA
1. – T. Società Cooperativa Sociale Onlus in liquidazione (già A.M. Società Cooperativa Sociale Onlus) propone ricorso per cassazione in due motivi avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Ancona ha rigettato il reclamo ex art. 18 legge fall. contro la sentenza del Tribunale di Ancona che in data 15/07/2019 ne ha dichiarato il fallimento, su distinti ricorsi di vari dipendenti.
1.1. – Con la sentenza impugnata, la Corte territoriale ha osservato che: a) in caso di insolvenza, anche le società cooperative che esercitino o abbiano esercitato attività commerciale sono soggette a fallimento, poiché l’art. 2545- terdecies cod. civ. regola in base ai criteri dell’alternatività e della prevenzione il rapporto tra le procedure di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa; b) secondo il costante insegnamento del giudice di legittimità, ai fini della natura commerciale dell’attività esercitata rileva solo l’economicità, in termini di proporzionalità tra costi e ricavi (cd. “lucro oggettivo”), la quale è compatibile con lo scopo mutualistico, anche prevalente, perseguito dalle cooperative; c) nel caso di specie, l’economicità emerge chiaramente dai bilanci depositati agli atti, mentre non rileva il tipo di attività esercitata – segnatamente la gestione di servizi socio-sanitari e assistenziali – poiché anche detti servizi possono essere oggetto di attività d’impresa; d) tale conclusione non è impedita dall’allegata qualifica di “impresa sociale” acquisita di diritto in ragione del settore di attività, che secondo la reclamante la renderebbe assoggettabile solo alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 1, quarto comma, del d.lgs. n. 112 del 2017.
1.2. – Le parti intimate non svolgono difese.
1.3. – La controversia perviene all’udienza pubblica a seguito di rinvio disposto con ordinanza interlocutoria n. 4682/2023, per la particolare rilevanza della questione di diritto posta dal ricorso circa la perdurante assoggettabilità a fallimento (oltre che a liquidazione coatta amministrativa) delle cooperative sociali e dei loro consorzi che rivestono di diritto la qualifica di “imprese sociali”, alla luce del combinato disposto degli artt. 1 e 14 del d.lgs. n. 112 del 2017, in relazione all’art. 2545-terdecies cod. civ.
2. – Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. – Con il primo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 14, primo comma, d.lgs. 3 luglio 2017 n. 112, dell’art. 2 legge fall. e dell’art. 2545-terdecies cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), per avere la corte d’appello trascurato la rilevanza decisiva della qualifica rivestita di “impresa sociale”, risultante dall’apposita iscrizione nella relativa sezione del Registro delle imprese e dal proprio Statuto, con conseguente inapplicabilità dell’art. 2545- terdecies cod. civ., norma generale derogata dalla disciplina speciale successiva del d.lgs. n. 112/2017, e della giurisprudenza di legittimità formatasi nel regime ad essa precedente.
2.2. – Il secondo motivo denuncia, in subordine, violazione e falsa applicazione dell’art. 3, d.lgs. n. 112/2017 e dell’art. 1, quarto comma, lett. d) della legge n. 106 del 2016 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), poiché, per un verso, il principio di economicità rientra, insieme a quelli di efficacia, trasparenza e correttezza, fra i criteri generali di gestione che devono essere adottati da tutti gli enti del cd. Terzo Settore, ai sensi dell’art. 4, primo comma, lett. d) della legge delega n. 106 del 2016; per altro verso, l’assenza di scopo di lucro delle imprese sociali si atteggia in modo assai variegato: in particolare, all’impresa sociale costituita nelle forme di cui al Libro V del codice civile la legge non vieta la distribuzione di utili ai soci (in forma di aumento gratuito di capitale, attribuzione di strumenti finanziari o di dividendi), ma ne fissa solo la misura massima, stabilendo che gli eventuali utili residui e gli avanzi di gestione siano destinati «allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio» (art. 3, primo comma, d.lgs. 112/2017). Di conseguenza, alle suddette imprese sociali sarebbe «consentito molto più che la semplice proporzionalità tra costi e ricavi».
3. – Il primo motivo è fondato e va accolto, con assorbimento del secondo, nei termini di seguito precisati.
3.1. – Il thema decidendum, non esattamente centrato dal giudice a quo, è la persistente assoggettabilità anche a fallimento, ovvero solo a liquidazione coatta amministrativa, di una società cooperativa sociale che per statuto eserciti attività di gestione dei servizi socio-sanitari assistenziali e che sia in possesso della qualifica di “impresa sociale”, come tale iscritta nell’apposita sezione del registro delle imprese, sulla base della nuova disciplina contenuta nel d.lgs. n. 112 del 2017.
3.2. – Va subito detto che la recente pronuncia di questa Sezione (Cass. 20 ottobre 2021, n. 29245), la quale ha risolto in senso positivo la questione della assoggettabilità a fallimento delle società cooperative sociali che svolgano un’attività commerciale secondo criteri di economicità (cd. lucro oggettivo) – ritenendo irrilevante la rivestita qualifica di Onlus, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 460 del 1997, trattandosi di norma speciale di carattere fiscale che non integra la “diversa previsione di legge” contemplata dal secondo comma dell’art. 2545- terdecies cod.civ. – non risulta conferente nel caso in esame, ove viene in rilievo, come si sottolinea nelle conclusioni della Procura Generale, il regime introdotto dal d. lgs. n. 112 del 2017 sulla “impresa sociale”, che in quella vicenda era invece rimasto totalmente estraneo al giudizio di legittimità, in quanto mai allegato da alcuna parte, né rilevato nei precedenti gradi di giudizio.
4. – E’ appena il caso di premettere che la causa del contratto di società è identificata dall’art. 2247 cod. civ. nell’esercizio in comune di un’attività economica e nello scopo lucrativo dei contraenti, cioè nella produzione di utili (scopo di lucro oggettivo) e nella loro successiva divisione tra i soci (scopo di lucro soggettivo).
Peraltro, tutti gli enti disciplinati dal Libro V del codice civile mirano a soddisfare finalità economiche dei soci, che nelle società lucrative si realizzano principalmente attraverso la ripartizione di utili (art. 2247 cod. civ.), mentre nelle cooperative (e nei consorzi con attività esterna) si sostanziano nel conseguimento di benefici mutualistici (cfr. art. 2511 cod. civ.).
4.1. – Da diversi decenni il legislatore ha cominciato ad enucleare e regolamentare nuove categorie di enti soggetti a regimi speciali, per lo più di tipo promozionale, in ragione dello svolgimento di attività di interesse generale (ad esempio produzione di beni o servizi di utilità sociale) e delle finalità non lucrative dei partecipanti (cd. “non-profit”), peraltro non incompatibili con la concomitante soddisfazione di loro interessi di natura economica, attraverso la fruizione dei beni o servizi prodotti dall’ente e suscettibili di fruizione individuale, mediante scambi mutualistici, come si evince dall’art. 10, terzo e quinto comma, del d.lgs. n. 460 del 1997 (in tema di Onlus) e dall’art. 1, secondo comma, del d.lgs. n. 155 del 2006 (in tema di imprese sociali).
Nei corpi normativi appena citati l’assenza del fine di lucro – tradotta nel divieto assoluto di ripartizione di utili o avanzi di gestione durante la vita sociale, nella loro destinazione esclusiva alle attività istituzionali e nella devoluzione del patrimonio di liquidazione ad enti con finalità analoghe (cfr. per le Onlus l’art. 10, primo comma, lett. d), e), f), d.lgs. 460/1997 e, per le imprese sociali, gli artt. 3, primo e secondo comma, e 13, terzo comma, d.lgs.) – era imposta con estremo rigore, anche nei confronti di enti costituiti in forma di società disciplinate dal Titolo V del codice civile, per i quali, come visto, la divisione degli utili tra i soci è consustanziale alla causa del contratto (art. 2247 c.c.).
4.2. – La categoria della “cooperativa sociale”, che rappresenta un sotto-tipo del genus società cooperativa, è stata introdotta e disciplinata dalla legge n. 381 del 1991, come cooperativa a mutualità prevalente (sebbene possa agire nell’interesse generale della collettività e non necessariamente nell’interesse dei propri soci, come del resto consente l’art. 2520, secondo comma, cod. civ., realizzando la cd. “mutualità esterna”).
Per quanto non previsto dalla legge citata, la cooperativa sociale resta soggetta alle norme generali del codice civile sulle cooperative, come dispone l’art. 2520, primo comma, cod. civ. («le cooperative regolate dalle leggi speciali sono soggette alle disposizioni del presente titolo, in quanto compatibili»).
Di conseguenza, in mancanza di specifiche disposizioni nella l. 381/1991, fino alla recente riforma del terzo settore si è ritenuto che alle cooperative sociali fosse applicabile l’art. 2545-terdecies, cod. civ., in base al quale le società cooperative e i loro consorzi che esercitano un’attività commerciale sono assoggettabili, in caso di insolvenza, sia a liquidazione coatta amministrativa che a fallimento (ora liquidazione giudiziale), secondo il criterio della cd. “prevenzione”.
Peraltro, proprio in ragione delle finalità di interesse generale perseguite, le cooperative sociali sono state rese destinatarie di ulteriori regimi agevolativi o promozionali, mediante l’attribuzione di apposite qualifiche normative, come quella di Onlus ex art. 10, d.lgs. n. 460 del 1997 – la cui irrilevanza ai fini dell’assoggettabilità a fallimento non è qui in discussione, stante la pacifica natura fiscale delle agevolazioni che essa comporta (Cass. 18396/2015, 9830/2017, 29245/2021) – e quella, appunto, di “impresa sociale”, la cui rilevanza ai fini dell’assoggettabilità a fallimento registra, invece, un variegato dibattito dottrinario.
4.3. – Prima della riforma del c.d. Terzo Settore, le imprese sociali erano disciplinate dal d.lgs. n. 155 del 2006, il cui art. 17, terzo comma, stabiliva, in particolare, che «le cooperative sociali ed i loro consorzi, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, i cui statuti rispettino le disposizioni di cui agli articoli 10, comma 2, e 12, acquisiscono la qualifica di impresa sociale. Alle cooperative sociali ed i loro consorzi, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, che rispettino le disposizioni di cui al periodo precedente, le disposizioni di cui al presente decreto si applicano nel rispetto della normativa specifica delle cooperative».
4.4. – Pertanto, all’epoca coesistevano cooperative sociali che, avendo assolto agli oneri previsti dal legislatore (redazione e deposito presso il registro delle imprese di un bilancio sociale redatto secondo le linee guida ministeriali; coinvolgimento di lavoratori e destinatari dell’attività nella gestione dell’impresa) erano in possesso anche della qualifica di impresa sociale, accanto a cooperative sociali che per libera scelta non ne erano in possesso.
E mentre le prime, in quanto iscritte (anche) nella sezione “imprese sociali” del Registro delle imprese, venivano assoggettate in caso di insolvenza solo a liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 15, primo comma, d.lgs. 155/2006, tutte le altre cooperative sociali (e loro consorzi) non qualificate come imprese sociali continuavano a sottostare al doppio regime di cui all’art. 2545-terdecies cod. civ.
5. – Nel 2017, in attuazione della legge delega n. 106 del 2016, sono stati emanati il d.lgs. n. 112, dedicato specificamente alle imprese sociali (che ha interamente abrogato il d.lgs. n. 155/2006), e il d.lgs. n. 117 (Codice del terzo settore, CTS), relativo a tutti gli altri enti del terzo settore (ETS).
5.1. – Mentre gli ETS disciplinati dal d.lgs. 117/2017 rivestono per lo più la forma giuridica di associazioni o fondazioni (salvo le società di mutuo soccorso), le imprese sociali disciplinate dal d.lgs. n. 112/2017 possono assumere la veste giuridica sia degli enti del Libro I che di quelli del Libro V del codice civile; in particolare, possono essere costituite come società, cooperative ordinarie (o di diritto comune) e cooperative sociali (e loro consorzi).
L’art. 1, primo comma, d.lgs. 112/2017 dispone infatti che «possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del codice civile, che, in conformità alle disposizioni del presente decreto, esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività».
5.2. – Orbene, stante la sua appartenenza al genus “impresa”, l’impresa sociale postula il cd. “metodo economico”, ossia che l’attività professionale, economica ed organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi (ex art. 2082 cod. civ.) venga svolta secondo modalità oggettive tendenti al pareggio fra costi e ricavi.
Al tempo stesso, in ragione dell’attribuzione come “sociale”, l’impresa sociale postula – ben vero nel segno dell’adozione di ben precisi moduli organizzativi e gestori – un complesso di ulteriori connotazioni, quali le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, destinate, nel quadro della conformazione a ragioni di interesse generale, a caratterizzarne l’azione ancorché a coniugarsi con il “metodo economico”.
Infine, la qualificazione in guisa di “impresa sociale” di un’impresa collettiva (eventualmente) ascrivibile a taluno dei tipi del Libro V del codice civile, postula imprescindibilmente il concreto difetto del fine di lucro (“senza scopo di lucro”), che per le imprese societarie lucrative si traduce nella concreta assenza all’astratta proiezione causale di cui all’art. 2247 cod. civ., mentre per le imprese societarie cooperative (a mutualità prevalente) si traduce nel divieto tout court (cioè pur nei circoscritti termini prefigurati dalla lett. a) del primo comma dell’art. 2514 cod. civ.) di distribuzione dei dividendi.
Ben vero, la necessità del concreto difetto del fine di lucro, condizione necessaria (ma non sufficiente) ai fini della qualificazione di un ente del libro quinto in guisa di “impresa sociale”, è icasticamente espressa dalla locuzione “possono acquisire (…) che (…) esercitano (…) senza scopo di lucro” figurante nel testo del 1° co. dell’art. 1 del d.lgs. n. 112/2017.
5.3. – E’ appena il caso di precisare che, sebbene l’impresa sociale sia deputata a svolgere attività di interesse generale, per le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale rientranti nell’elenco di cui all’art. 2 d.lgs. 112/2017, è ora consentito anche lo svolgimento di altre attività, purché i relativi ricavi non superino il 30% del totale, nonché lo svolgimento, senza limiti, di qualsiasi altra attività che l’art. 2, quarto comma, d.lgs. n. 112/2017 qualifica come di interesse generale per il solo fatto che nell’impresa siano occupate in misura non inferiore al 30% determinate categorie di soggetti (lavoratori svantaggiati o con disabilità ai sensi dell’art. 2, n. 99, Reg. UE n. 651/2014, persone svantaggiate ai sensi dell’art. 112, d.lgs. n. 50/2016, persone beneficiarie di protezione internazionale ai sensi del d.lgs. n. 251/2007, persone senza fissa dimora iscritte nel registro di cui alla l. n. 1228/1954).
Inoltre, sebbene l’impresa sociale sia vincolata a destinare utili e avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o all’incremento del patrimonio (con loro conseguente detassazione), il requisito dell’assenza dello scopo di lucro è stato molto attenuato rispetto al rigore che connotava l’impianto del 2006.
Infatti, per le imprese sociali costituite in forma di società ordinaria o cooperativa è stata introdotta la possibilità di remunerare congruamente il capitale dei soci, attraverso la ripartizione degli utili, purché in misura inferiore al 50% degli utili o avanzi di gestione conseguiti (art. 3, terzo comma, lett. a) d.lgs. 112/2017); inoltre, alle sole imprese sociali costituite in forma di cooperativa è stata consentita la ripartizione dei ristorni, proporzionalmente alla quantità e qualità degli scambi mutualistici (art. 3, comma 2-bis, d.lgs. cit.).
6. – Ciò premesso, occorre considerare che l’art. 1, quarto comma, d.lgs. 112/2017 ha stabilito, in discontinuità con il previgente regime, che «le cooperative sociali e i loro consorzi, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali».
Ciò significa che per le cooperative sociali (e loro consorzi) vale un regime speciale e privilegiato, poiché l’attribuzione della qualifica di impresa sociale – con tutti i benefici che ne conseguono, specie di carattere fiscale (cfr. art. 18 d.lgs. n. 112/2017) – avviene “di diritto”, prescindendo dalla sussistenza o meno dei requisiti richiesti invece per gli altri tipi di ente.
6.1. – Il d.m. 16 marzo 2018 («Definizione degli atti da depositare presso l’ufficio del registro delle imprese da parte dell’impresa sociale e delle relative procedure») ha reso ineludibile l’assunzione della qualifica di impresa sociale da parte delle cooperative sociali e dei loro consorzi, imponendo che la stessa avvenisse automaticamente, a prescindere da un atto di impulso dell’ente interessato, «mediante l’interscambio dei dati tra l’albo delle società cooperative di cui al decreto 23 giugno 2004 del ministro delle attività produttive e il registro delle imprese» (art. 3, secondo comma). Per effetto di questa disposizione regolamentare, anche le cooperative sociali censite nell’albo delle società cooperative che non avevano inteso iscriversi nella sezione speciale del registro delle imprese vi sono state iscritte d’ufficio (tanto che in breve tempo il numero delle imprese sociali iscritte nella suddetta sezione speciale è cresciuto in modo esponenziale).
6.2. – Nei fatti, dunque, non esistono più enti che appartengano al “tipo” cooperative sociali senza avere anche lo “status” di imprese sociali.
D’altro canto, le attività proprie delle cooperative sociali ex l. n. 381 del 1991, in quanto rientranti tra le attività di interesse generale elencate nell’art. 2, d.lgs. n. 112 del 2017, possono essere svolte anche da qualsiasi altra impresa sociale, incluse quelle costituite come “cooperative non sociali”.
Pertanto, mentre tutte le cooperative sociali devono necessariamente essere imprese sociali, le cooperative non sociali possono essere (o meno) imprese sociali.
6.3. – E’ comunque pacifico che le cooperative sociali (e i loro consorzi) di cui alla legge n. 381/91 sono oggi, a differenza che in passato (vigente l’abrogato d.lgs. n. 155/2006), imprese sociali ex lege, senza la necessità di dimostrare il possesso di quei requisiti di qualificazione che sono invece richiesti a tutti gli altri tipi di enti – incluse le società cooperative non “sociali” ai sensi della legge n. 381/1991 – per poter essere considerati “imprese sociali”.
6.4. – Questa interpretazione risulta condivisa anche dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (competente in materia di imprese sociali e Terzo settore) e dal Ministero dello Sviluppo Economico – ora Ministero delle Imprese e del made in Italy (competente in materia di società cooperative, incluse le cooperative sociali), i quali, nella nota congiunta del 31 gennaio 2019, n. 29103, hanno osservato che l’art. 1, quarto comma, del d.lgs. n. 112/2017, «attribuisce di diritto alle cooperative sociali e ai loro consorzi la qualifica di imprese sociali, con un evidente scopo premiale e agevolativo», con la conseguenza che «non incombe su tali enti, in via generale, l’onere di dimostrare il possesso dei requisiti previsti per la generalità delle imprese sociali né, di conseguenza, quello di porre in essere modifiche degli statuti finalizzate ad adeguarli alle previsioni di cui al decreto in esame».
7. – Fatte queste premesse, risulta decisivo ai fini che ne occupano l’art. 14, primo comma, d.lgs. n. 112 del 2017, il quale – stavolta in continuità col precedente disposto dell’art. 15, primo comma, del d.lgs. n. 155 del 2006 – stabilisce che «in caso di insolvenza, le imprese sociali sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa».
7.1. – Si discute in dottrina se detta norma si applichi anche alle cooperative sociali, tenuto conto del disposto di cui al secondo periodo dell’art. 4, quarto comma, del medesimo d.lgs. 112/2017, in base al quale «alle cooperative sociali e ai loro consorzi, le disposizioni del presente decreto si applicano nel rispetto della normativa specifica delle cooperative ed in quanto compatibili», da leggere alla luce del successivo quinto comma, in base al quale, invece, «alle imprese sociali si applicano, in quanto compatibili con le disposizioni del presente decreto, le norme del codice del Terzo settore di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, e, in mancanza e per gli aspetti non disciplinati, le norme del codice civile e le relative disposizioni di attuazione concernenti la forma giuridica in cui l’impresa sociale è costituita».
7.2. – Secondo una parte della dottrina, infatti, queste due disposizioni verrebbero a stabilire una diversa gerarchia delle fonti, tra (i) le cooperative sociali e loro consorzi, da un lato, e (ii) le restanti imprese sociali, costituite in forma di società ordinaria o “cooperativa non sociale”, dall’altro: (i) le prime sarebbero soggette in primo luogo alla disciplina delle cooperative – e quindi alla legge speciale n. 381 del 1991 e poi a quella generale del codice civile – e solo in subordine, e nei limiti della compatibilità, alla disciplina del d. lgs. n. 112 del 2017 (art. 1, quarto comma, d.lgs. 112/2017); (ii) alle restanti si potrebbero invece applicare le disposizioni societarie dei Titoli V e VI del Libro V del codice civile, sempre nei limiti della compatibilità, solo per gli aspetti non disciplinati né dal d.lgs. n. 112 del 2017, né dal CTS (art. 1, quinto comma, d.lgs. cit.).
7.3. – Ciò integrerebbe un trattamento normativo delle cooperative sociali diverso e sensibilmente più vantaggioso rispetto a tutte le altre imprese sociali, ad es. in tema di distribuzione dei ristorni (dove la disciplina generale dell’art. 2545-sexies cod. civ. non patisce le limitazioni previste dall’art. 3, comma 2-bis, d.lgs. n. 112/2017) e di benefici fiscali (le cooperative sociali potendo fruire dei benefici previsti dall’art. 18, d. lgs. 112/2017, dall’art. 7, secondo comma, l. n. 381 del 1991 nonché dagli artt. 82, primo comma, e 89, undicesimo comma, CTS; disposizioni, queste ultime, che, sebbene contenute nel CTS, sono state estese alle cooperative sociali ma non anche alle altre imprese sociali costituite in forma di cooperativa).
7.4. – Sennonché, alla preminenza della disciplina delle cooperative stabilita dall’art. 1, quarto comma, d.lgs. 112/2017 conseguirebbe anche, in assenza di specifiche disposizioni nella l. 381/1991 sulle cooperative sociali, l’applicabilità del “doppio binario” informato al criterio di prevenzione di cui all’art. 2545- terdecies cod. civ., con la conseguenza che le cooperative sociali e loro consorzi che svolgano attività commerciale potrebbero essere soggette sia alla liquidazione coatta amministrativa sia al fallimento (ora liquidazione giudiziale), in questo secondo caso subordinatamente al riscontro dei requisiti dimensionali di cui all’art. 1, secondo comma, legge fall. (ed ora della qualifica di “impresa minore” ai sensi dell’art. 2, primo comma, lett. d), CCI), dai quali invece si prescinde in caso di liquidazione coatta amministrativa, senza che le norme di riferimento siano affette da illegittimità costituzionale, per le ragioni esposte dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 93 del 12 aprile 2022 (ove tra l’altro si afferma che «la liquidazione coatta amministrativa si connota appunto per gli interessi pubblici che tutela (…). È infatti una procedura relativa a imprese che, pur operando nell’ambito del diritto privato, attengono a particolari settori economici, in relazione ai quali lo Stato assume il compito della difesa del pubblico affidamento, o che sono in rapporto di complementarità̀ teleologico-organizzativa con la pubblica amministrazione»).
8. – Ebbene, ritiene il Collegio, condividendo le conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale, ed in linea con altra parte della dottrina, che debba essere privilegiata una diversa interpretazione della normativa in chiave sistematica, con conseguente applicabilità dell’art. 14 del d.lgs. n. 112/2017 anche alle cooperative sociali (e ai loro consorzi), in luogo dell’art. 2545- terdecies cod. civ., dovendo prevalere la specialità della disciplina (più vantaggiosa) dello “status” impresa sociale su quella (meno vantaggiosa) del “tipo” società cooperativa.
8.1. – La scelta interpretativa a favore della l.c.a. si giustifica nel caso di specie alla luce di un bilanciamento tra i vari interessi in gioco, tenuto conto che l’impresa sociale insolvente esercita attività d’impresa d’interesse generale, ma che lo fa non già per scopo di lucro, bensì per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. L’assoggettamento in via esclusiva alla l.c.a. presuppone infatti l’attribuzione di una rilevanza centrale ad interessi anche diversi da (e talora addirittura confliggenti con) quelli di cui sono portatori i creditori dell’impresa.
8.2. – L’opzione ermeneutica prescelta si spiega e si giustifica a fronte dell’interesse pubblico volto a favorire e promuovere, nella prospettiva della sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, quarto comma, Cost. (che a sua volta costituisce attuazione dei principi costituzionali di solidarietà, art. 2 Cost., e di eguaglianza sostanziale, art. 3, secondo comma, Cost.), le iniziative dei cittadini indirizzate verso il bene comune. Iniziative che trovano nell’impresa sociale e più in generale nell’ente del terzo settore la loro più naturale collocazione giuridica (Cost. sentenza n. 131 del 2020).
Ciò radica tale sistema in una dimensione che attiene ai principi fondamentali della nostra Costituzione, in quanto espressione di un pluralismo sociale rivolto a perseguire la solidarietà che l’art. 2 Cost. pone «tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico» (Cost. sentenza n. 75 del 1992) e a concorrere all’«eguaglianza sostanziale che consente lo sviluppo della personalità, cui si riferisce il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione» (Cost. sentenza n. 500 del 1993).
8.3. – In definitiva, essendo la normativa chiaramente ispirata ad un favor nei confronti dell’impresa sociale, sono da considerarsi “compatibili”, e perciò applicabili anche alle cooperative sociali, ai sensi dell’art. 1, quarto comma, d.lgs. n. 112/2017, tutte le norme dello “status” che siano più favorevoli di quelle del “tipo”, tra cui, quindi, anche l’art. 14, primo comma, d.lgs. cit., che avrebbe quindi dovuto sottrarre la ricorrente al fallimento.
8.4. – Invero, l’art. 2, secondo comma, legge fall. (norma applicabile ratione temporis) esclude di norma il concorso tra liquidazione coatta amministrativa e fallimento, «salvo che la legge diversamente disponga». L’art. 196 legge fall. sembra invece considerare il concorso fra le due procedure come regola generale, stabilendo che «per le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa, per le quali la legge non esclude la procedura fallimentare, la dichiarazione di fallimento preclude la liquidazione coatta amministrativa e il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa preclude la dichiarazione di fallimento».
8.5. – Secondo l’opinione assolutamente maggioritaria va data prevalenza alla norma contenuta nell’art. 2, secondo comma, legge fall. e, conseguentemente, l’inciso dell’art. 196 legge fall. va letto come se dicesse «per le quali la legge ammette la procedura di fallimento», nel senso che la non esclusione della procedura fallimentare debba manifestarsi sotto specie di espressa previsione. In questa prospettiva si pone ad esempio il richiamato art. 2545- terdecies cod.civ.
9. – Alla luce di tale interpretazione, pertanto, la cooperativa sociale, in quanto impresa sociale di diritto, non poteva essere assoggettata a fallimento, dato che l’art. 14 del d.lgs. n. 112/2017, a differenza dell’art. 2545-terdecies, cod.civ., non ammette (anche) la procedura di fallimento.
9.1. – Di qui l’accoglimento del primo motivo, con assorbimento del secondo.
10. – In conclusione, il primo motivo va accolto nei termini illustrati, con assorbimento del secondo, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, per l’applicazione degli anzidetti principi e per la statuizione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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