Corte di Cassazione ordinanza n. 30010 depositata il 13 ottobre 2022
il potere del giudice di qualificare autonomamente la fattispecie a prescindere dalle allegazioni delle parti in causa e dall’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nei casi previsti dalla legge, non potendo ritenersi che i poteri del giudice tributario siano più limitati di quelli esercitabili in qualunque processo d’impugnazione di atti autoritativi
RILEVATO CHE:
1. con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Calabria rigettava l’appello avanzato da Garden Sud R.L. contro la pronuncia n. 399/2/2017 della Commissione tributaria provinciale di Vibo Valentia, la quale, a sua volta, aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente contro gli avvisi di accertamento nn. 1-00030-15- 0012354 e 1-00030-15-0012389 concernenti l’IMU dovuta dalla società in relazione agli anni d’imposta 20:12 e 2013;
1.2 la Commissione regionale – per quanto rileva in relazione ai motivi d’impugnazione – riteneva che non fosse fondato l’appello avanzato dalla contribuente in ordine alla dedotta violazione dell’art. 37 del D.L. n. 223/2006 (convertito dalla legge n. 248/2006) circa l’obbligo o meno di provvedere alla relativa dichiarazione, assumendo che i presupposti di fatto e di diritto posti a base dell’accertamento erano, invece, «rinvenibili nella fattispecie nell’omesso pagamento dell’imposta e non nell’omessa presentazione ICI», considerando corretta la valutazione del primo Giudice secondo cui «gli avvisi di accertamento risultano emessi, come emerge inequivocabilmente dal preambolo dell’atto in cui risultano indicati i riferimenti normativi, per la violazione degli artt. 13 e 15 del D.Lgs 471/97 ovvero per avere il contribuente omesso di versare integralmente il tributo dovuto per ogni annualità (ovvero tra rata di acconto e rata di saldo risulta l’insufficiente versamento a seguito delle nuove aliquote IMU) » (v. pagina n. 3 della sentenza impugnata);
2. avverso tale sentenza Garden Sud S.R.L. proponeva ricorso per cassazione, notificato al Comune di Pizzo ai sensi dell’art. 149 p.c. in data 2/3 settembre 2019, formulando due motivi d’impugnazione e presentando poi memoria ex art. 380-bis. l c.p.c.;
3. il Comune di Pizzo notificava controricorso il 12 ottobre 2019 tramite posta elettronica certificata;
CONSIDERATO CHE:
4. Con il primo motivo di ricorso l’istante ha contestato, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 dello Statuto del Contribuente e dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 in materia di motivazione degli atti tributari nonché dell’art. 57 del D.lgs. n. 546 del 1992» (v. pagina n. 3 del ricorso), lamentando l’erronea applicazione di tali disposizioni ad opera del Giudice regionale nella parte in cui aveva respinto il motivo di impugnazione che era stato articolato sul difetto di motivazione dell’atto impositivo, o meglio, sul rilievo che «la motivazione dell’avviso di accertamento (del seguente tenore: “Accerta che ai fini dell’applicazione dell’Imposta sugli immobili, relativamente all’anno in oggetto, sono state rilevate violazioni a carico del contribuente … per omessa o infedele dichiarazione relativamente agli immobili indicati nel quadro riepilogativo allegato”) non conteneva alcun riferimento all’omesso versamento del tributo» (v. pagina n. 4 del ricorso), finendo così il Giudice con l’individuare una diversa ragione giustificativa della pretesa (scilicet l’omesso versamento e non anche l’omessa dichiarazione come indicato nell’atto), senza tener conto del dato testuale emergente dall’avviso;
4.1 sulla scorta di tali argomenti, la ricorrente concludeva il motivo di impugnazione, assumendo che la Commissione avrebbe dovuto, invece, riformare la sentenza di primo grado e «procedere all’esame dell’originario motivo di ricorso fondato sulla pacifica inesistenza di variazioni che avrebbero imposto la presentazione della dichiarazione lei relativa all’annualità 2012 e 2013» (così a pagina n. 5 del ricorso);
5. Con il secondo motivo di ricorso la contribuente deduceva, in relazione al paradigma di cui all’art. 360, 1, n. 4, c.p.c., la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del combinato disposto di cui agli artt. 1 e 7 del D.lgs. n. 546 del 1992» (v. pagina n. 6 del ricorso), sostenendo che la Commissione regionale, individuando una nuova motivazione (l’omesso versamento) posta a base dell’avviso impugnato (basato sull’omessa o infedele dichiarazione), avesse violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con conseguente nullità della sentenza;
OSSERVA
6. Il ricorso non può essere accolto alla luce delle seguenti considerazioni.
7. Va preliminarmente dato conto che gli avvisi impugnati (opportunamente prodotti dalla difesa della ricorrente) hanno accertato la debenza, a titolo di IMU, «per omessa o infedele dichiarazione relativamente agli immobili indicati nel quadro riepilogativo dell’atto (da intendersi parte integrante della motivazione dell’atto ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 dello Statuto del Contribuente)» (così negli avvisi impugnati) delle somme di 681,00 € e di 260.523,00 € in relazione agli anni di imposta 2012 e 2013.
Nelle motivazioni dei provvedimenti risultano richiamati gli artt. 13 e 15 del d.lgs. n. 471/1997 e gli avvisi contengono i prospetti analitici delle somme asseritamente dovute, calcolate per ogni singolo bene tassato, con indicazione dei versamenti effettuati e del 1·esiduo ancora non corrisposto per imposta, oltre alla «sanzione per omesso pagamento» (così negli avvisi), agli interessi ed alle spese di notifica.
8. Le fondamentali ragioni dell’originario ricorso riposavano – per quanto ancora rileva in connessione ai motivi della presente impugnazione – sul rilievo che i predetti avvisi avevano contestato l’omessa o infedele dichiarazione ai fini dell’imposta in esame, mentre secondo la contribuente tale obbligo, in realtà, non sussisteva per essere stato soppresso dall’art. 37, co. 53, del D.L. 223/2006, qualora – come nella specie – non fossero intervenute variazioni, lamentando, sotto altro profilo, il vizio di motivazione «per manifesta cripticità dell’accertamento» (così a pagina n. 3 dell’originario ricorso).
9. Come sopra esposto, il Giudice regionale ha rigettato il motivo di appello con il quale era stata denunciata la violazione del menzionato art. 37 in ragione della dedotta inesistenza dell’obbligo di presentare la dichiarazione, assumendo di contro – che non contestati presupposti di fatto e le ragioni giuridiche posti a base degli accertamento erano, invece, «rinvenibili nella fattispecie ne/l’omesso pagamento dell’imposta e non nell’omessa presentazione dell’ICI» (v. pagina n. 3 della sentenza in esame), condividendo sul punto la motivazione del primo Giudice secondo cui gli avvisi risultavano emessi, alla luce del testuale riferimento alla violazione degli 13 e 15 del d.lgs. n. 471/97, per l’omesso versamento dell’intera imposta dovuta per ogni annualità e quindi per il suo parziale pagamento.
10. Ciò posto, esaminando congiuntamente i due motivi di ricorso, non può farsi a meno di osservare quanto segue.
10.1 Il primo motivo di impugnazione, basato sulla dedotta violazione di legge (artt. 7 dello Statuto del Contribuente e 3 della n. 241 del 1990, concernenti la chiarezza e la motivazione degli atti tributari e 57 del D.lgs. n. 546 del 1992), si manifesta privo di ogni fondamento, sol considerando che il Giudice dell’appello ha operato un’interpretazione degli avvisi impugnati sulla base del loro complessivo contenuto, ritenendo che l’oggetto della pretesa fosse costituito dagli omessi versamenti dell’imposta nei termini analiticamente indicati nei citati prospetti.
Per tale via, la Commissione regionale ha superato e neutralizzato il testuale riferimento all’omessa ed infedele dichiarazione, pur presente negli atti, ma ritenuto, in ragione della più ampia e specifica rappresentazione delle ragioni della pretesa, non qualificante i relativi contenuti delle reali contestazioni poste a base degli atti di accertamento, anche in considerazione dell’altrettanto testuale richiamo all’art. 13 del d.lgs. n. 471/97, che concerne l’ipotesi di ritardato od omesso versamento, nonché della sanzione applicata, che è stata espressamente comminata per il mancato pagamento.
Non sussiste, pertanto, la dedotta violazione di legge, avendo il Giudice dell’appello reputato, sulla base del percorso logico sopra riportato, ispirato alle regole ed ai canoni dell’ermeneutica contrattuale analogicamente applicabili nella valutazione dell’atto impositivo (v. Cass. 28625/2020, che richiama Cass. n. 5480/1999 e Cass. 25971/2017), chiaramente motivati 9li avvisi impugnati, così considerando intellegibili le effettive ragioni della pretesa tributaria.
Piuttosto, deve riconoscersi che il motivo di impugnazione, nel ribadire i motivi dell’originaria contestazione, basata sul decisivo rilievo attribuito al dato letterale dell’accertamento «per omessa o infedele dichiarazione», senza però considerare l’intero contesto in cui tale riferimento risulta inserito (e cioè la dedotta violazione degli artt. 13 e 15 del d.lgs. n. 471/1997, nonché il prospetto di calcolo del dovuto, sviluppato sulla rappresentazione dei parziali versamento effettuati e l’applicazione della sanzione per l’omesso versamento) e senza indicare quali siano state le regole dell’ermeneutica contrattuale violate (cfr. sul punto Cass. 25976/2017, che cita Cass. n. 25728/2013, Cass. n. 9054/2013, Cass. n. 17168/2012; Cass. Orci. 15350/2017), finisce col sollecitare una nuova interpretazione da parte della Corte circa gli effettivi contenuti dei citati avvisi, la quale, però, costituisce quaestio facti, il cui sindacato di merito resta precluso nella presente sede ( cfr., tra le tante e da ultimo, Cass. n. 5966/2022 e Cass. n. 1951/2022).
10.2 Allo stesso modo, non ricorre nemmeno il denunciato vizio di cui all’art. 112 c.p.c., avendo il Giudice dell’appello correttamente provveduto ad interpretare, come era suo dovere, i contenuti degli avvisi impugnati e non anche – come dedotto dalla difesa della contribuente – a fornire un nuova e diversa motivazione agli stessi, con ciò quindi, misurando, sulla base di tale, ineludibile e preliminare verifica, la pertinenza e la fondatezza dei motivi di appello, respingendo il gravame sulla scorta della valutazione sopra riportata.
11. E’ doveroso, a questo punto, dar conto che con 121 pronuncia n. 15079/2022 questa Corte ha deciso la stessa questione, tra le stesse parti con riferimento ad un altro anno di imposta (2011), accogliendo il ricorso della società e cassando la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Calabria per un nuovo esame, riconoscendo – in linea con quanto già rilevato da questa Corte nella sentenza 4395 del 2020, sempre pronunciata tra le medesime parti ed avente ad oggetto l’avviso di accertamento ICI relativo all’anno 2009 – la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere il giudice dell’appello preso in esame una realtà fattuale (l’omesso versamento) non dedotta in giudizio dalle parti e sul quale non si era realizzato il contraddittorio.
Ebbene, esclusa la sussistenza di un giudicato vincolante nel presente giudizio derivante da dette pronunce, per non avere le stesse definito i relativi giudizi ed aver comunque operato valutazioni sulle circostanze di fatto emergenti dai relativi avvisi di accertamento concernenti diversi anni di imposta, come tali non assumendo valore vincolante nel presente giudizio, va osservato che le suindicate motivazioni non possono essere condivise.
La stessa pronuncia n. 15079/2022 (come quella da questa richiamata) ha riconosciuto che rientra nei poteri del giudice fornire «una qualificazione giuridica diversa da quella alla stessa attribuita dalle parti», affermando che:
– «la giurisprudenza di legittimità, nel ribadire che il giudice tributario non è vincolato, nella sua decisione, alla qualificazione giuridica dei fatti fornita dall’Ufficio, ha da tempo chiarito che le ragioni poste a base dell’atto impositivo segnano i confini del processo tributario, il cui carattere impugnatorio comporta che l’ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle fatte valere con l’atto impugnato»;
– «Ciò, peraltro, non esclude il potere del giudice di qualificare autonomamente la fattispecie a prescindere dalle allegazioni delle parti in causa e dall’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nei casi previsti dalla legge, non potendo ritenersi che i poteri del giudice tributario siano più limitati di quelli esercitabili in qualunque processo d’impugnazione di atti autoritativi, quale quello amministrativo di legittimità (Cass. n. 7393 del 2012)» (v. pagine nn. della menzionata pronuncia n. 15079/2022).
Ebbene, non si dubita di tali principi, dovendo però aggiungersi che il contenuto dell’avviso impugnato è la realtà fattuale dalla cui interpretazione il Giudice non può prescindere nell’esame delle domande, nel senso che le ragioni poste a base dell’atto impositivo segnano il perimetro dell’oggetto della decisione.
Ciò evidentemente non significa sottrarre al giudice il potere dovere di interpretare il contenuto dell’atto impugnato e di stabilire le sue effettive ragioni, correlando a queste la valutazione circa la fondatezza dei motivi di impugnazione, senza – ovviamente – essere vincolato alla qualificazione fornita dalle parti.
Ebbene, adottare un’interpretazione dei contenuti della pretesa impositiva in termini diversi da quelli rappresenti dalla parte non significa esaminare fatti estranei al tema decisorio, non vuol dire inserire nel processo fatti non dedotti, ma – al contrario – significa svolgere il compito proprio attribuito al giudice, che è quello di esaminare l’atto impugnato, di individuarne il suo effettivo contenuto e – come già detto – di misurare sulla scorta di tale preliminare verifica la pertinenza e la fondatezza delle contestazioni mosse dalla parte.
In altri termini ed in relazione alla fattispecie in rassegna, il Giudice regionale, nel ritenere che l’effettivo contenuto degli avvisi di accertamento riguardasse l’omesso versamento e non anche l’omessa dichiarazione, non ha deciso extra petita e cioè su fatti estranei all’oggetto degli avvisi impugnati per come sopra interpretati, ma ha solo reputato infondata l’impugnazione, giacchè fondata su di una interpretazione della pretesa tributaria fornita dalla contribuente (vale a dire che gli avvisi avevano contestato l’omessa dichiarazione, che, in realtà, non doveva essere presentata) che la Commissione regionale non ha condiviso, senza con ciò rilevare di ufficio elementi di fatto nuovi su cui sollecitare il contradditorio, ma semplicemente giudicando sulla fondatezza dell’impugnazione.
12. Alla stregua delle valutazioni che precedono il ricorso va, dunque, rigettato.
13. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano secondo i parametri di cui al decreto ministeriale 55/2014 nella misura indicata in dispositivo.
14. Va, infine, dato conto che ricorrono i presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. 115/2002, per il versamento da parte di Garden Sud p.A. di un ulteriore importo pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna Garden Sud S.p.A. al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore del Comune di Pizzo nella misura di 6.000,00 € e 200,00 € per esporsi, oltre a 900,00 € per il rimborso forfettario delle spese generali, oltre accessori.
Dà atto che ricorrono le condizioni pe-r il versamento da parte di Garden Sud S.p.A. di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per la proposizione del ricorso.
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