Corte di Cassazione ordinanza n. 30230 depositata il 14 ottobre 2022
valore dei beni ceduti per autoconsumo – percentuale può essere calcolata in considerazione del rapporto tra il costo di acquisto ed il prezzo a cui sono stati rivenduti dallo stesso imprenditore quella parte di beni in relazione ai quali detti importi risultino provati
Fatti di causa
1. A seguito di accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza e conclusi con Processo Verbale di Costatazione (PVC), notificato alla contribuente il 4.12.2008, l’Agenzia delle Entrate notificava ad S.A., esercente l’attività di commercio di mobili usati ed antiquariato, l’avviso di accertamento T9B01IB05067 /2011, avente ad oggetto Irpef ed Iva in relazione all’anno 2008, nonché l’avviso di accertamento n. T9B0AIB05069/2011, avente ad oggetto Irap, sempre in riferimento all’anno 2008, recuperando a tassazione “un reddito d’impresa pari ad EURO 61.834”, nonché “un volume d’affari, ai fini IVA … di EURO 146.125” (contrarie., p. 2). I verificatori ritenevano che “a) – Alcuni beni presenti nell’inventario dei beni esistenti all’inizio dell’esercizio commerciale non sono risultati essere presenti nel magazzino della contribuente a fine anno, né sono risultati venduti; b) – Altri articoli fisicamente presenti presso l’esercizio non sono risultati inventariati al 31-12-2007, né sono stati formalmente acquistati nel corso 2008, nel senso che manca la prova di ciò” (CTR, p. 1), ritenendo perciò l’Amministrazione finanziaria presuntivamente venduti i beni di cui alla lett. a) e, viceversa, i beni di cui alla lett. b) sono stati presuntivamente ritenuti acquistati nell’anno, contestandosi l’omessa autofatturazione.
1.1 In data 19.1.2012 la contribuente presentava istanza di accertamento con adesione, ma la procedura non si perfezionava, non ritenendosi congrue da parte dell’Ente impositore la condizioni proposte dalla S.A..
2. La contribuente impugnava gli avvisi di accertamento, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sostenendo la correttezza del proprio operato, e comunque contestando la percentuale di ricarico applicata dall’ufficio ai beni ritenuti presuntivamente venduti (di cui alla lett. a) della sent. CTR, p. 1), ed agli stessi beni destinati ad autoconsumo, nella misura del 302,47% (rie., p. 3). Con sentenza n. 218, pronunciata il 9.2012, la CTP di Milano respingeva il ricorso condannando la S.A. al pagamento delle spese processuali.
3. L’odierna ricorrente spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita in primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia. La CTR riteneva fondate le censure mosse dalla contribuente, accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza impugnata, tra l’altro rettificava la percentuale di ricarico.
4. Avverso la decisione assunta dalla CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un unico motivo di ricorso. Resiste mediante controricorso S.A., che ha pure depositato presso questa Corte, in data 6.2019, domanda di definizione agevolata della controversia ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, come conv. Con propria memoria depositata in prossimità della fissata udienza camerale, il difensore di S.A. ne ha comunicato e documentato l’intervenuto decesso ed ha domandato pronunciarsi l’estinzione del giudizio insistendo, in via subordinata, nel domandare il rigetto del ricorso proposto dall’Avvocatura dello Stato.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente, preso atto del decesso della controricorrente S.A., sopravvenuto in data 4.2022, quando il giudizio di cassazione era stato ritualmente instaurato e pendeva già da lungo tempo, occorre ricordare che “nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo”, Cass. sez. L, 29.1.2016, n. 1757.
2. Con il suo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., l’Amministrazione finanziaria contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 85 del d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) e dell’art. 2, comma secondo, n. 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, in cui è incorsa la CTR, per avere errato in materia di applicazione di una percentuale di ricarico ai beni destinati all’autoconsumo (rie., p. 5 s.).
3. Occorre innanzitutto rilevare che non sussistono le condizioni perché si proceda all’esame dei motivi di ricorso, in relazione all’avviso di accertamento T9B01IB05067/2011, avente ad oggetto Irpef, Iva ed altro, con riferimento all’anno 2008. S.A., infatti, ha proposto a questa Corte istanza, completa di allegati, domandando pronunciarsi l’estinzione del processo, avendo aderito alla definizione agevolata delle controversie in relazione a questa pendenza, con allegata istanza depositata ai sensi degli artt. 6 e 7 del DI. n. 119 del 2018, come conv., ricevuta dall’Amministrazione finanziaria il 27.5.2019, prot. AGE.AGEV-STl, Registro Ufficiale 0886534.27/05/2019 – I. La definizione agevolata prevede il pagamento rateale e la contribuente ha prodotto documentazione relativa al versamento della prima rata, ed ha domandato dichiararsi l’estinzione del processo.
3.1 Entro il termine fissato dalla legge, il 31 luglio 2020 (art. 6, comma 12, d.l. n. 119 del 2018), l’Agenzia delle Entrate non ha notificato il diniego della definizione, ed entro il termine del 31 dicembre 2020 (art. 6, comma 13, prima parte, d.l. n. 119 del 2018) non ha presentato richiesta di trattazione del giudizio.
3.2 Si può pertanto accogliere l’istanza della contribuente, e pertanto il processo deve essere dichiarato estinto, per effetto dell’intervenuta cessazione della materia del contendere, ai sensi dell’art. 6, comma 13, del d.l. 119 del 2018, come conv., e dell’art. 46 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’avviso di accertamento n. T9B011B0567 /2011.
4. Occorre quindi esaminare il ricorso dell’Ente impositore in riferimento all’avviso di accertamento n. T9B0AIB05069/2011, avente ad oggetto il tributo dell’Irap, sempre in riferimento all’anno 2008, atto impositivo che non risulta interessato da istanze di definizione
Mediante il suo motivo di ricorso l’Agenzia contesta la contrarietà alla legge della valutazione operata dalla CTR in ordine al rilievo reddituale dei beni destinati dalla contribuente all’autoconsumo. In proposito l’Amministrazione finanziaria innanzitutto concorda con il giudice dell’appello che il valore di tali beni debba essere considerato un ricavo, ai sensi dell’art. 85, comma 2, del TUIR e dell’art. 2, comma 2, n. 5, del Dpr n. 633 del 1972. Tuttavia, una volta individuato tale principio, ai sensi della normativa richiamata occorre ancora determinare il “valore normale” di tali beni, e l’Ente impositore ritiene che a tal fine sia necessario individuare la percentuale di ricarico applicabile.
4.1 Secondo l’Amministrazione finanziaria, ricordato che la percentuale di ricarico può calcolarsi solo in relazione a beni prima acquistati e poi rivenduti dal contribuente, la stessa non può che essere calcolata esclusivamente in considerazione dei beni effettivamente compravenduti, con esclusione pertanto dei beni destinati ad autoconsumo. Una volta individuato il coefficiente di ricarico, quindi, ai fini del calcolo del reddito occorrerebbe applicare ai beni destinati all’autoconsumo la medesima percentuale di ricarico calcolata sul fondamento dei (soli) beni effettivamente comprati e poi rivenduti. Ha pertanto errato la CTR a ritenere che la percentuale di ricarico della contribuente debba stimarsi sul fondamento del valore complessivo “di tutti i beni, inclusi quelli usciti per autoconsumo” (rie., p. 6).
4.2 A queste censure proposte dall’Amministrazione finanziaria, la controricorrente ha replicato innanzitutto sottolineando che l’Agenzia delle Entrate ha rivolto le proprie critiche alla decisione adottata dal giudice dell’appello, in riferimento “alla sola questione della determinazione della media ponderata per la sola incidenza dei beni destinati all’auto-consumo … la sentenza della T.R. accoglie anche gli altri profili di doglianza … Nessuna critica viene rivolta alla sentenza impugnata in relazione al punto in cui si dà atto che l’accertamento dell’Ufficio era inficiato da errori relativamente ai beni non inventariati dalla Guardia di Finanza (ma, invero, presenti in negozio), né sull’esistenza di beni destinati [all’] autoconsumo, né in punto erronea determinazione dell’IVA che si è supposta non versata” (contrarie., p. 9 s.), e domanda anche pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso, perché l’avviso di accertamento sarebbe stato (integralmente) annullato per una pluralità di motivi, di cui alcuni non contestati dalla ricorrente.
In relazione all’unica censura che è stata effettivamente proposta dall’Agenzia delle Entrate, la contribuente replica quindi che, in considerazione del disposto di cui all’art. 85 TUIR, i beni destinati all’autoconsumo devono essere stimati in base al loro “valore normale d’acquisto, senza ricarico” (contrarie., p. 5).
4.3 Occorre pertanto preliminarmente rilevare che non può ritenersi sussistente l’inammissibilità del ricorso per non avere l’Agenzia delle Entrate contestato talune delle ragioni della decisione adottata dalla CTR, come sostenuto dalla controricorrente. Invero il giudice dell’appello si è pronunciato su una pluralità di questioni, suscettibili di separata contestazione.
4.4 Tanto premesso, la CTR ha ritenuto che i beni “usciti dalla disponibilità” della ricorrente “per autoconsumo, devono essere considerati ai fini della percentuale di ricarico, perché sia l’art. 85 TUIR che il D.P.R. 633/72 dicono che va compreso tra i ricavi il valore normale dei beni di cui al comma 1 assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio d’impresa … Appare quindi condivisibile il calcolo della percentuale di ricarico dei ricavi operato dalla contribuente tenendo in considerazione tutti i propri beni, inclusi quelli usciti per autoconsumo, così come previsto dalla citata normativa fiscale, ragion per cui la percentuale va correttamente determinata nel 161,40% e non in quella di 302,47% stabilita dall’Ufficio” (sent. CTR, p. 2 s.).
5. Invero questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di chiarire in materia di Iva, esprimendo peraltro un principio estensibile, che “ove l’imprenditore destini un bene aziendale a consumo personale, ai sensi dell’art. 2, secondo comma, numero 5, del d.P.R. 26 ottobre 1972, 633, l’imposta deve essere ragguagliata, in base al successivo art. 13, secondo comma, e terzo comma, lettera c), al valore normale del bene, e cioè al suo valore di mercato, il quale può formare oggetto di accertamento da parte dell’ufficio finanziario, cui è consentito dimostrare che la somma indicata dal contribuente in sede di fatturazione per autoconsumo è inferiore al valore normale del bene“, Cass. sez. V, sent. 24.5.2006, n. 12322.
5.1 Pertanto, in relazione ai beni destinati all’autoconsumo, il valore da prendere in considerazione quale “valore normale” ai fini fiscali, anche ex art. 85 TUIR, è il valore di mercato dei beni, cui pure non operano riferimento, in questo giudizio, né le parti né la CTR. Tale valore non incide sul calcolo della percentuale di ricarico, che deve invece essere ricavata in considerazione dei beni acquistati e successivamente rivenduti, ed ai beni rientranti in tale categoria deve essere applicata, quando non risulti accertato il valore a cui sono stati rivenduti.
Erra quindi la CTR a ritenere che nel calcolo della percentuale di ricarico debba tenersi conto anche dei beni acquistati per autoconsumo, dovendo per completezza aggiungersi che il giudice dell’appello ha ritenuto di aderire alla modalità di calcolo della percentuale di ricarico come proposta dalla contribuente, ma non ha indicato nel dettaglio come la stessa percentuale sia stata calcolata, e la motivazione risulta pertanto soltanto apparente sul punto. Merita ancora di essere ricordato che una volta individuato il corretto criterio di calcolo, occorre quindi applicarlo, al fine di determinare se il pagamento di un tributo è dovuto dal contribuente ed in quale misura, non essendo sufficiente individuare un errore di calcolo commesso dall’Ente impositore per annullare integralmente un accertamento tributario, dovendo piuttosto il giudice correggere l’errore, ed in conseguenza rettificare i valori riportati nell’atto impositivo.
5.2 La CTR afferma, ancora, che “parimenti fondata si profila … l’altra doglianza difensiva, secondo la quale i primi giudici non hanno tenuto in considerazione la presenza di alcuni beni che l’Ufficio ha considerato come “venduti” che, invece, erano presenti in negozio all’atto della verifica” (sent. CTR, p. 3). Queste chiare affermazioni del giudice dell’appello non sono state contestate dall’Agenzia delle Entrate, e su di esse ha avuto pertanto a formarsi il giudicato, come invocato dalla controricorrente. Il giudizio risulta definito anche in ordine alla contestazione della “mancata regolarizzazione di acquisti per complessivi euro 062,81”, in ordine alla quale è la contribuente a non aver proposto censure, ed anche questo conferma che le contestazioni proposte dall’Amministrazione finanziaria alla contribuente non sono state ritenute tutte infondate dalla CTR, che invece ha espresso autonome valutazioni in ordine a ciascuna di esse, formulando giudizi suscettibili di specifica impugnazione.
5.3 Infine, con riferimento all’affermazione della contribuente secondo cui la CTR avrebbe affermato l’erroneità delle modalità di calcolo dell’Iva, invero non si rinviene nella pronuncia impugnata una decisione sulla questione, che potrà essere riproposta al giudice dell’appello in sede di giudizio di rinvio, al ricorrere delle condizioni di legge.
6. Chiarezza espositiva suggerisce quindi di indicare il principio di diritto secondo cui, “in materia di accertamento del reddito percepito dall’imprenditore commerciale, il valore dei beni acquisiti e destinati all’autoconsumo, ai sensi dell’art. 85, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986, deve quantificarsi in considerazione del loro ‘valore normale’, pertanto del prezzo di mercato, senza alcuna percentuale di ricarico, la quale deve invece essere aggiunta al fine di quantificare il valore di quella parte dei beni che deve ritenersi, anche sul fondamento di valutazioni presuntive, siano stati acquistati e rivenduti dall’imprenditore, ma non risulti provato a quale prezzo, e detta percentuale può essere calcolata in considerazione del rapporto tra il costo di acquisto ed il prezzo a cui sono stati rivenduti dallo stesso imprenditore quella parte di beni in relazione ai quali detti importi risultino provati; al fine, per quantificare i complessivi ricavi percepiti dall’imprenditore, occorre sommare: gli introiti conseguiti mediante la vendita dei beni di cui pure il costo di acquisto risulta dimostrato, il valore dei beni da ritenersi venduti, come rivalutati applicando la percentuale di ricarico, ed il valore dei beni destinati all’autoconsumo, stimato in considerazione del loro prezzo di mercato“.
7. In riferimento all’avviso di accertamento recante n. T9B0AIB05069/2011, attinente ad Irap in ordine all’anno 2008, pertanto, il ricorso proposto dall’Ente impositore deve essere accolto per quanto di ragione, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado di Milano che, in diversa composizione, procederà a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi esposti, e provvederà anche a liquidare le spese di lite del giudizio di legittimità.
La Corte,
P.Q.M.
dichiara estinto il giudizio introdotto dall’Agenzia delle Entrate, e cessata la materia del contendere ai sensi dell’art. 6 del D.L. n. 119 del 2018, come conv., in relazione all’avviso di accertamento n. T9B01IB05067 /2011, attinente ad Irpef ed Iva in riferimento all’anno 2008;
accoglie il ricorso in relazione all’avviso di accertamento n. T9B0AIB05069/2011, attinente ad Irap in riferimento all’anno 2008, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, perché proceda a nuovo giudizio nel rispetto dei principi esposti, e provveda anche a liquidare le spese di lite del giudizio di legittimità.
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