Corte di Cassazione ordinanza n. 30807 depositata il 19 ottobre 2022
sentenza di condanna penale elemento di prova – sono suscettibili di essere assoggettati a tributo, ai fini delle imposte dirette come indirette, i profitti illecitamente conseguiti, proprio ai sensi della disposizione normativa indicata
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate, sul fondamento di sentenza definitiva pronunciata ai sensi dell’art. 444 proc. pen., c.d. patteggiamento, da cui emergeva che il contribuente si era ripetutamente appropriato di somme appartenenti alla G. Spa, ritenuta la percezione di profitti illeciti non dichiarati, notificava a D.C. gli avvisi di accertamento n. R8701300556/2009 (anno 2004, insieme con la moglie R.A., essendo presentata dichiarazione stata congiunta), n. R8701300558/2009 (anno 2005) e n. R8701300559/2009 (anno 2006). Il contribuente promuoveva procedura di accertamento con adesione, che sortiva esito negativo.
2. D.C., e R.A. per quanto di competenza, proponevano impugnazione avverso gli atti impositivi innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza, sostenendo, tra l’altro, che gli accertamenti tributari non potevano essere fondati sulla sola sentenza di patteggiamento La Ctp riuniva i ricorsi ed osservava che la prova della responsabilità fiscale era stata correttamente desunta dall’Ente impositore dalla sentenza penale di patteggiamento, “non più impugnabile … atteso che il contribuente non aveva provato fatti impeditivi o modificativi od estintivi della pretesa tributaria” (sent. Ctr, p. III). Inconseguenza rigettava i ricorsi riuniti e confermava la validità ed efficacia degli atti impositivi.
3. La sentenza sfavorevole conseguita nel primo grado del giudizio era impugnata dal contribuente e per quanto d’interesse, da R.A., innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, rinnovando le proprie La Ctr, con articolata motivazione, respingeva i ricorsi riuniti.
4. Avverso la decisione pronunciata dalla Ctr di Venezia-Mestre ha proposto impugnazione per cassazione (il solo) D.C., affidandosi a cinque motivi di ricorso. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate.
4.1 Con ordinanza interlocutoria n. 35138, dep. 18.11.2021, questa Corte ha richiesto l’integrazione del contraddittorio in favore di R.A. Quindi il ricorrente ha depositato documentazione (sent. Ctr Veneto n. 1265 del 2016, con attestazione cli passaggio in giudicato) con prova della notifica a controparte, nonché memoria.
5. R.A. si è costituita, depositando documentazione ed affermando che in relazione alla sua posizione processuale, relativa al solo anno 2004, aveva richiesto ed ottenuto il condono ai sensi dell’art. 39, comma 12, DI. n. 98 del 2011, pertanto difettava di interesse in relazione al presente giudizio. È stata quindi disposta la rifissazione della causa per la decisione.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente contesta la violazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 2697 cod. civ., in cui è incorsa la Ctr per aver ritenuto sussistere la responsabilità fiscale in conseguenza della percezione di redditi non dichiarati da parte del contribuente, sul fondamento della sola sentenza di patteggiamento, nell’assenza di adeguati, e comunque plurimi, elementi di prova, seppur presuntivi, e per avere erroneamente ripartito l’onere della prova tra le parti.
2. Mediante il secondo strumento di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il contribuente critica il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la Ctr errato nel valutare il contenuto del verbale di interrogatorio reso dal ricorrente il 13.5.2009 in sede penale.
3. Con il terzo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il ricorrente censura il vizio di omessa motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, con specifico riferimento al verbale di conciliazione stipulato con la parte lesa del giudizio penale, la G. Spa, che ha “attestato di non avere null’altro a pretendere”, ed alla causa civile ancora pendente tra lui e la stessa società, avente ad oggetto il danno patrimoniale che il De Pretto avrebbe arrecato alla controparte.
4. Mediante il quarto strumento di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente lamenta la violazione dell’art. 14, comma 4, della legge n. 537 del 1993, in cui è incorsa la Ctr, per aver ritenuto suscettibili di imposizione i presunti redditi conseguiti dal De Pretto sulla base della “mera ‘qualificabilità’ penale della condotta”, in assenza di un rigoroso “accertamento circa il preteso quantum dei profitti illeciti” (rie., p. 38).
5. Con il suo quinto motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, 5, cod. proc. civ., il ricorrente contesta il vizio della motivazione adottata dal giudice dell’appello circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e consistente nella insufficiente istruttoria svolta dall’Ufficio fiscale, che neppure ha ritenuto di allegare all’accertamento l’unico elemento su cui l’atto impositivo risultava fondato: la sentenza di patteggiamento.
6. Il contribuente critica, con il suo primo motivo di ricorso, la violazione di legge in cui sarebbe incorsa l’impugnata Ctr, per aver ritenuto dimostrata l’omessa dichiarazione di redditi eia lui conseguiti sul fondamento della sola sentenza di patteggiamento, nell’assenza di elementi presuntivi ulteriori.
6.1 Inoltre, il giudice dell’appello avrebbe erroneamente ritenuto di poter valorizzare a tal fine una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, relativa a reato non fiscale, quale è la truffa aggravata. L’errata applicazione delle norme vigenti dipenderebbe anche dal fatto che nel caso di specie l’impulso per l’apertura del procedimento penale dipendeva da una querela sporta dalla società G. Spa con cui collaborava, e che si riteneva lesa, e pertanto non da un’iniziativa assunta dalla parte pubblica.
6.2 Ancora errata risultava la valutazione della Ctr secondo cui, ove egli avesse inteso contestare l’ammontare del reddito illecitamente percepito e non dichiarato, “l’imputato avrebbe dovuto, allegando eventualmente documentazione, consentire la effettiva rideterminazione dell’illecito profitto, cosa che non ha ritenuto di fare” (rie., p. 27), in tal modo alterando arbitrariamente il regime di ripartizione dell’onere della prova, perché è all’Ente impositore che compete fornire la prova della percezione di redditi non dichiarati, e della conseguente evasione fiscale che si assume commessa dal contribuente.
7. Occorre allora ricordare che questa Corte di legittimità ha avuto ripetutamente occasione di chiarire, proponendo un indirizzo interpretativo che si ritiene meritevole di essere confermato, che “la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (cd. “patteggiamento”) costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale vi abbia prestato fede. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità dell’accertamento“, Cass. sez. V, 24.5.2017, n. 13034. In proposito appare solo opportuno ricordare che, ai sensi dell’art. 445, comma 1bis, ult. parte, cod. proc. civ., “Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza” di patteggiamento “è equiparata ad una sentenza di condanna”. Merita ancora di essere segnalato che la sentenza di applicazione della pena, nel caso di specie, è stata pronunciata per il delitto di truffa aggravata, essendosi il contribuente appropriato di somme di cui aveva la disponibilità, ma che avrebbe però dovuto riversare alla società con cui Risultano pertanto integrati, indipendentemente dalla natura fiscale o meno del delitto contestato, gli estremi della percezione di un profitto illecito non dichiarato, e perciò suscettibile di accertamento fiscale.
7.1 Deve anche rilevarsi che la decisione della Ctr non appare motivata sulla base della sola sentenza di patteggiamento, avendo i giudici dell’appello fondato la propria decisione anche sull’interrogatorio reso dal contribuente in sede penale.
7.2 Rimane da evidenziare che se è sufficiente all’Ente impositore, al fine di provare la responsabilità fiscale del contribuente, fondare l’accertamento su una sentenza penale di patteggiamento, questo non esclude che il contribuente possa invece offrire la prova contraria, come correttamente opinato dalla Ctr, che non merita sul punto censura.
Il primo motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve perciò essere respinto.
8. Mediante gli strumenti di ricorso secondo, terzo e quinto, il contribuente censura vizi della motivazione della decisione adottata dalla Ctr, ed i motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
Nella parte in cui il contribuente rinnova la propria critica circa l’errore in cui sarebbe incorsa la Ctr nel ritenere di poter fondare l’affermazione della responsabilità fiscale sulla sola sentenza di patteggiamento, le contestazioni sono da giudicarsi infondate in considerazione di quanto osservato esaminando il primo motivo di ricorso. Appare ancora opportuno ricordare, in particolare con riferimento al quinto motivo di ricorso, che l’Amministrazione finanziaria non è tenuta ad allegare agli atti impositivi documenti che siano già noti al contribuente come, nel caso di specie, la sentenza di patteggiamento.
8.1 Può quindi osservarsi che, per quanto non necessaria, la valutazione espressa dalla Ctr, la quale ha ritenuto che confermasse la fondatezza della pretesa fiscale l’ammissione di responsabilità per l’illecita appropriazione di somme, operata dall’imputato nel corso del procedimento penale, sia pure in relazione ad importo di circa 80.000,00 Euro, pertanto inferiore a quanto contestato, appare
8.2 Il contribuente propone quindi rilievi per affermare, a quanto è dato comprendere, che non si è proceduto ad un rigoroso accertamento dell’esatto ammontare della pretesa evasione fiscale di cui si sarebbe reso responsabile. A tal fine, non senza evidenziare elementi di contraddittorietà, richiama un verbale di conciliazione stipulato innanzi ad un ufficio del lavoro, mediante il quale la società alla quale aveva sottratto somme era giunta a dichiarare di non aver più nulla a pretendere, e la pendenza di una causa civiile, tra le stesse parti, promossa dalla società per conseguire il risarcimento del danno subito in conseguenza dell’illecita appropriazione. Al proposito appare sufficiente rilevare che la decisione della Ctr trova fondamento innanzitutto nella sentenza di patteggiamento, nella quale sono specificamente indicate le somme di cui il contribuente si è appropriato, in riferimento a ciascun anno d’imposta (cfr. contrarie., p. 9), e che l’imputato non ha fornito, come rilevato dal giudice dell’appello, elementi probatori adeguati a dimostrare che si sia appropriato di somme per importo diverso ed inferiore.
Il secondo, il terzo ed il quinto motivo di ricorso sono pertanto infondati, e devono essere perciò respinti.
9. Con il quarto motivo di ricorso il contribuente censura l’errore di valutazione in cui sarebbe incorsa la Ctr, per aver ritenuto suscettibili di imposizione, ai sensi dell’art. 14, comma 4, della legge n. 537 del 1993, profitti illeciti contestati, sul fondamento della sola ‘qualificabilità’ penale degli stessi, sebbene non sia stata raggiunta la prova del loro esatto ammontare.
Appare quindi opportuno ricordare che questa Corte di legittimità, in contrasto con quanto affermato dal ricorrente, ha già avuto occasione di chiarire che sono suscettibili di essere assoggettati a tributo, ai fini delle imposte dirette come indirette, i profitti illecitamente conseguiti, proprio ai sensi della disposizione normativa indicata (cfr. Cass. sez. V, 26.6.2017, n. 18495). In ordine all’ammontare dei profitti illeciti percepiti, quindi, occorre ribadire che lo stesso è stato accertato in sede penale, ed il contribuente non ha offerto la prova contraria.
Anche il quarto motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve essere rigettato.
10. Occorre ancora evidenziare che l’Agenzia delle Entrate, in relazione al debito tributario ascritto a R.A. e D.C. in relazione all’anno 2004 (avviso di accertamento R87050300556/2009) nel presente giudizio (correttamente indicato quale avente N.R.G. 16729/12), ha depositato atto con protocollo 94999/2012 (f.to Direttore Provinciale Eugenio Amilcare, Vicenza, 14.9.2012), mediante il quale dichiara che la domanda di condono proposta da R.A. ai sensi dell’art. 39, comma 12, del DI. n. 98 del 2011, è risultata regolare, e la istante ha effettuato il pagamento integrale di quanto dovuto, conseguendone la cessazione della materia del contendere in ordine all’accertamento tributario avente ad oggetto l’anno 2004.
10.1 Rimane da segnalare pure che, previa produzione della sentenza Ctr Veneto n. 1265 del 2016, munita di attestazione di passaggio in giudicato, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, oltre a ribadire le proprie contestazioni, il ricorrente ha domandato il rilievo d’ufficio del giudicato esterno formatosi in materia di responsabilità fiscale del contribuente, che è stata definitivamente esclusa in relazione all’anno 2008, proprio in riferimento agli stessi fatti contestati nel presente giudizio in relazione agli anni dal 2004 al In proposito appare sufficiente osservare che le ragion i dell’esclusione della responsabilità del De Pretto, da parte della Ctr, dipendono dal fatto che la sentenza di patteggiamento su cui è fondato l’accertamento per cui è causa non riguarda in alcun modo l’anno 2008, e pertanto nessuna responsabilità fiscale del contribuente può desumersi dal patteggiamento in relazione a quell’anno, mentre la decisione del giudice penale attiene, invece, proprio alle annualità oç1getto di verifica tributaria. Le due situazioni risultano quindi radicalmente difformi e non appare in alcun modo possibile ipotizzare l’estensione di un giudicato esterno formatosi su fattispecie radicalmente diversa.
11. Il ricorso introdotto da Corrado De Pretto deve essere pertanto rigettato in relazione agli anni 2005 e 2006, mentre deve essere pronunciata la cessazione della materia del contendere in relazione all’anno 2004.
12. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza nei rapporti tra il ricorrente e l’Agenzia delle Entrate, e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione della natura della pronuncia emessa e del valore del giudizio.
In relazione alla parte del giudizio estinta in conseguenza di definizione agevolata, le spese rimangono a carico di chi le ha anticipate.
Non è dovuto il versamento del c.d. doppio contributo, in considerazione della data di notifica del ricorso per cassazione alla controparte (Cass. sez. VI-III, 10.7.2015, n. 14515).
La Corte,
P.Q.M.
rigetta il ricorso proposto da D.C. in relazione agli avvisi di accertamento concernenti gli anni 2005 e 2006, e lo condanna al pagamento, in favore della costituita Agenzia delle Entrate, delle spese di lite, che liquida nella complessiva misura di € 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dichiara estinto il giudizio e cessata la materia del contendere, in conseguenza del positivo esperimento del condono di cui all’art. 39, comma 12, del DI. n. 98 del 2011, in relazione all’avviso di accertamento attinente all’anno 2004.