Corte di Cassazione ordinanza n. 31380 depositata il 2 dicembre 2019
pubblico impiego – conciliazioni – atto in deroga ai CCNL – Nullità
RILEVATO CHE
con sentenza in data 8 – 30 maggio 2014 numero 478 la Corte d’Appello di Catania riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede e, per l’effetto, respingeva la domanda proposta da – Omissis – , dipendenti della PROVINCIA REGIONALE DI CATANIA, inquadrati nella categoria C5 del CCNL REGIONI ed AUTONOMIE LOCALI, con profilo di «istruttore tecnico Geometra» ( in prosieguo: i dipendenti), per l’accertamento del proprio diritto ad essere inquadrati nella categoria D1, posizione economica D2, profilo di «specialista di vigilanza» dal 6 dicembre 2005, data di sottoscrizione del verbale di conciliazione in tal senso.
A fondamento della decisione la Corte territoriale esponeva che il dirigente del servizio risorse umane con determinazione del 26 maggio 2006 numero 182 aveva eseguito parzialmente la transazione del 6 dicembre 2005, inquadrando le parti in soprannumero nella categoria giuridica D1 e rinviando l’immissione definitiva in ruolo e l’attribuzione della posizione economica D2 alla rideterminazione della dotazione organica.
Successivamente l’amministrazione aveva ritirato in autotutela la suddetta determinazione dirigenziale ( determina del 2 agosto 2006 numero 240).
Erroneamente il giudice di primo grado aveva ritenuto vincolante l’impegno assunto nel verbale di conciliazione.
La legge del 9 marzo 2006 numero 80 ( conversione con modificazioni del DL 10 gennaio 2006 numero 4) articolo 11— modificativo dell’articolo 6 del decreto legislativo 165/2001— aveva sancito il divieto delle amministrazioni di determinare situazioni di soprannumerarietà di personale, anche temporanea, nell’ ambito dei contingenti relativi alle singole posizioni economiche delle aree funzionali.
Inoltre l’ articolo 29,comma quattro, del CCNL 14 settembre 2000 stabiliva che gli enti dovessero preventivamente prevedere in dotazione organica il numero dei posti del profilo di specialista di vigilanza di categoria D, da definire in sede di concertazione, istituendo detti posti nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni del personale.
Il successivo comma cinque disponeva che il passaggio alla categoria D avvenisse previa verifica selettiva dei requisiti richiesti.
Si trattava di norme imperative, con conseguente nullità del verbale di conciliazione.
Hanno proposto ricorso per la Cassazione della sentenza i dipendenti, articolato in tre motivi, cui ha resistito il LIBERO CONSORZIO COMUNALE— già PROVINCIA REGIONALE DI CATANIA— con atto intitolato «memoria di costituzione».
Il PM ha depositato conclusioni scritte, chiedendo rigettarsi il ricorso.
I dipendenti hanno depositato memoria
MOTIVI DELLA DECISIONE
I dipendenti hanno dedotto:
– con il primo motivo : errata e falsa applicazione dell’articolo 11 legge 80/2006. Violazione del principio di irretroattività (articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale). Hanno censurato la sentenza per aver respinto la domanda in applicazione della legge nr. 80/2006 laddove il diritto all’inquadramento superiore era stato acquisito in forza della transazione in data 6 dicembre 2005, stipulata anteriormente alla data di entrata in vigore della medesima legge.
– con il secondo motivo: errata e falsa applicazione dell’articolo 66 del decreto legislativo 165/2001.
Con il motivo si deduce che, per quanto disposto dal comma cinque dell’articolo 66 D.lgs. 165/2001, gli effetti del verbale di conciliazione nel pubblico impiego sono identici a quelli prodotti dalla conciliazione nell’impiego privato (ai sensi dell’articolo 2113 cod.civ.) sicchè l’amministrazione non avrebbe potuto disattendere il verbale di conciliazione sottoscritto.
Peraltro, come evidenziato nei precedenti gradi, la Giunta della Provincia regionale di Catania, con deliberazione numero 28 del 2 marzo 2010, nelle more del giudizio di primo grado, aveva approvato la «disciplina dei criteri per la mobilità interna del personale con modifica del profilo professionale», prevedendo, anche a seguito di contrattazione in sede sindacale la possibilità per i dipendenti in possesso del titolo di studio, del titolo professionale e dell’eventuale abilitazione necessari per accedere dall’esterno ad un posto vacante della dotazione organica (nell’ambito della stessa categoria o posizione infracategoriale di appartenenza) di presentare apposita richiesta di mobilità. Essi avrebbero dovuto essere inquadrati nella categoria D1 anche in posizione soprannumeraria, stante la mobilità interna dal posto di «istruttore direttivo/specialista di vigilanza» a quello di «istruttore direttivo tecnico» per il quale erano disponibili nella pianta organica 20 posti. In ogni caso in pianta organica erano disponibili 3 posti di «istruttore direttivo/specialista di vigilanza» e già nella pianta organica dell’ 1 marzo 2010 vi era la disponibilità di un posto.
Il tentativo dell’amministrazione di sottrarsi agli obblighi assunti in sede di conciliazione su materia rientrante nella sua disponibilità costituiva violazione degli obblighi di buona fede e correttezza contrattuale.
In sostanza, anche a voler considerare applicabili i limiti introdotti dalla legge 80/2006, l’amministrazione aveva avuto ed aveva in pianta organica i posti necessari a dare esecuzione— anche solo in parte— agli obblighi di cui al verbale del 6 dicembre 2005.
Nel corso dei precedenti gradi era stato anche evidenziato il comportamento discriminatorio e pretestuoso dell’amministrazione, che con precedenti provvedimenti aveva applicato l’articolo 29 del CCNL in favore di altri dipendenti nella loro identica condizione.
– con il terzo motivo: violazione falsa applicazione dell’articolo 63, comma due, decreto legislativo 165/2001.
I ricorrenti hanno esposto che il Tribunale, pur dichiarando il loro diritto al superiore inquadramento, non aveva ordinato all’amministrazione di provvedere all’effettivo inquadramento ritenendo trattarsi di un facere infungibile. Sotto questo profilo essi avevano proposto appello incidentale, che non era stato esaminato nella sentenza impugnata.
Con la censura si ripropone la questione a questa Corte.
Ritiene il Collegio si debba respingere il ricorso.
Il primo ed il secondo motivo, che possono essere congiuntamente trattati per la stretta connessione, sono infondati.
La sentenza impugnata ha accertato, con statuizione neppure censurata sul punto, la violazione delle previsioni dei commi 4 e 5 dell’ articolo 29 del CCNL 14 settembre 2000, per la mancanza della previa istituzione in pianta organica, all’esito di concertazione, dei posti del profilo rivendicato (comma quattro) ed inoltre per la assenza della previa verifica selettiva dei requisiti richiesti per il passaggio alla categoria D (comma 5).
Tale violazione determinava la nullità della transazione conclusa in data 6 dicembre 2005.
Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 14.10.2009 n. 21744) hanno invero evidenziato che «in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il datore di lavoro pubblico non ha il potere di attribuire inquadramenti in violazione del contratto collettivo, ma ha solo la possibilità di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato.
E’ conseguentemente nullo l’atto in deroga, anche in melius, alle disposizioni del contratto collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perchè viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-septies, dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva».
Tale ragione di nullità rendeva superfluo il richiamo, congiuntamente compiuto dalla Corte territoriale, alle previsioni dell’articolo 11 DL 10 gennaio 2006 nr. 4, entrato in vigore dopo la stipula dell’accordo conciliativo, con conseguente difetto di interesse del ricorrente all’esame del primo motivo di ricorso.
Dalla nullità della conciliazione derivava la assenza di qualunque effetto obbligatorio.
Questa Corte ha già affermato, con orientamento cui si intende assicurare continuità, che la amministrazione può senz’altro far valere la nullità delle obbligazioni assunte all’esito del tentativo di conciliazione disciplinato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 65 e 66, qualora in sede conciliativa abbia, in violazione di norme inderogabili di legge, riconosciuto al dipendente un trattamento giuridico ed economico non dovuto (Cassazione civile sez. lav., 23/10/2017, n.25020; Cass.18.2.2015 n. 3246).
Si applicano, in sostanza, gli stessi principi enunciati in riferimento all’art. 2113 cod.civ., u.c., essendosi ritenuto che la inoppugnabilità ivi prevista non si riferisce alle azioni generali di nullità e di annullabilità dell’atto: l’intervento dell’ufficio provinciale del lavoro è, invero, finalizzato a sottrarre il lavoratore alla condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro, che potrebbe indurlo a sottoscrivere transazioni e rinunce; rimangono, invece, esperibili i mezzi ordinari di impugnazione concessi ai contraenti per far valere i vizi che possono inficiare il regolamento contrattuale, ossia le cause di nullità o di annullabilità, poichè rispetto a tali azioni l’intervento dell’ufficio provinciale del lavoro non può esplicare alcuna efficacia sanante o impeditiva (per tutte: Cass.28.4.2014 n. 9348).
Da ciò deriva la carenza di fondamento del secondo motivo di ricorso.
Né potrebbe rilevare in causa la disciplina della mobilità interna del personale, che è prevista nell’ambito della stessa categoria o posizione infracategoriale di appartenenza e non per il passaggio ad una categoria superiore.
Il terzo motivo del ricorso è inammissibile poichè pone in via diretta a questa Corte questioni non esaminate nella sentenza impugnata ma assorbite all’esito dell’integrale rigetto della domanda di inquadramento superiore.
Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese, in quanto il LIBERO CONSORZIO COMUNALE non ha notificato l’atto intitolato «memoria di costituzione».
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012 ( che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo ‘ unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto .
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.