CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 31504 depositata il 13 novembre 2023
Lavoro – Trasferimento illegittimo – Mancata prova della chiusura della sede operativa – Insussistenza della ragione organizzativa a base del trasferimento – Rigetto
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Civitavecchia, ha dichiarato illegittimo il trasferimento da Venezia a Roma dell’istante Z.F., comandante di aeromobile, disposto in data 1.10.2014, ed ha conseguentemente ordinato ad A.S. s.p.a. in amministrazione straordinaria (alle cui dipendenze nelle more era passato il lavoratore) di riassegnarlo al proprio posto di lavoro presso l’unità di Venezia quale sua sede di lavoro.
2. Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, con unico atto, A.S. in a.s. e la CAI (già A.C.) con due motivi, cui resiste il lavoratore con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c., per avere la Corte distrettuale ritenuto l’unità di Venezia una vera e propria sede operativa e per non averne ritenuto dimostrata la chiusura, anche per aver impedito alle parti la dimostrazione di quale fosse l’effettiva realtà fattuale dell’aeroporto di Venezia non accogliendo le rispettive richieste istruttorie.
2. Col secondo motivo deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 33 legge n. 104/1992 in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c., per avere la stessa Corte, da un lato, affermato che “il trasferimento oggetto di causa è viziato da nullità in quanto disposto senza il consenso del lavoratore, in violazione dell’art. 33 L. n. 104/1992 e dell’art. 78, co. 6 D.lgs. n. 267/2000, norme imperative e dunque inderogabili, che tanto richiedono” (a pag. 10 della sentenza) e, dall’altro, tuttavia, in dispositivo statuito “la parziale riforma della sentenza impugnata, che conferma nel resto: – dichiara illegittimo il trasferimento dell’01/10/2014”, ordinando ad A.S. in a.s. di riassegnare l’appellante al proprio posto di lavoro presso l’unità di Venezia quale sua sede di lavoro.
3. Rileva il Collegio che questa Sezione, con recente ordinanza 14.7.2023, n. 20312, si è pronunciata su sentenza della medesima Corte di appello di Roma, relativa a fattispecie analoga (se non quasi sovrapponibile) a quella che qui viene in considerazione, in quanto anch’essa relativa a trasferimento di altro comandante di aeromobile dalla sede di Venezia a quella di Roma e, come nel caso in esame, disposto l’1.10.2014. E con tale ordinanza, alla cui condivisa motivazione si rimanda anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., è stato respinto il ricorso per cassazione che le società attuali ricorrenti aveva proposto contro la sentenza n. 1058/2019, in base a due motivi, pressoché identici a quelli qui in esame. Del resto, la sentenza in detto caso oggetto di ricorso era quella che la stessa Corte territoriale aveva richiamato all’inizio della motivazione in senso stretto della sua sentenza attualmente impugnata (a pag. 7), dichiarando di intendere dar seguito alle ragioni della precedente.
4. Tanto premesso, anche nel caso in esame la Corte d’appello è pervenuta, sulla base di valutazione nel merito delle prove, alla conclusione che il datore di lavoro non aveva dimostrato la chiusura della sede di Venezia e la sua sostituzione con uno scalo (in cui non cambiano aeromobili ed equipaggi), e da tale mancata dimostrazione ha desunto l’insussistenza della ragione organizzativa a base del trasferimento.
5. Più nello specifico, la Corte di Roma ha osservato che il mutamento geografico disposto unilateralmente dal datore di lavoro relativo all’unità produttiva presso cui si è chiamati a svolgere la prestazione lavorativa costituisce trasferimento in senso tecnico; che non era pertinente il richiamo operato dal Tribunale (a motivo del rigetto della domanda del lavoratore) a precedente di legittimità (Cass. n. 24112/2016), riguardante una sede aziendale divenuta unica, sicché nessuna possibilità di scelta restava configurabile in capo al datore di lavoro; mentre nel caso in esame “tale condizione non ricorre affatto”; che dell’onere di dimostrare la chiusura della sede di Venezia era onerato il datore di lavoro; che tale onere non era stato adempiuto, atteso che, pur essendo esatta sul piano teorico la distinzione tra base e scalo, le due società non avevano dimostrato che in Venezia, dove in origine vi era una “base”, fosse rimasto solo uno “scalo”, tenuto conto della rilevanza fortemente indiziaria di un accordo sindacale (quantunque successivo al trasferimento per cui è causa) in materia proprio di trasferimento di personale a Venezia, nonché di visure camerali dalle quali si evinceva che a Venezia era rimasta una sede operativa anche nel passaggio ad A.S.; che conseguentemente la prova testimoniale contraria a quella documentale, diretta a escludere l’infondatezza della ragione organizzativa del trasferimento, era inammissibile.
5. Si tratta di argomentato apprezzamento, involgente questioni di merito, come tale sottratto al sindacato di legittimità di questa Corte: da un accertamento squisitamente di fatto, con motivazione congrua e logica basata su prove documentali, la Corte di merito ha tratto conseguenze di diritto, coerenti con il dato normativo che richiede la prova, a carico del datore, di ragioni tecniche, organizzative e produttive per il trasferimento del lavoratore da una ad altra unità produttiva.
6. Osserva, infatti, il Collegio che la selezione e la valutazione delle prove a base della decisione, l’individuazione delle fonti del proprio motivato convincimento, l’assegnazione di prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, senza necessità di esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga non rilevante o di enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni, spettano al giudice di merito e che il giudizio di Cassazione non è strutturato quale terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20814/2018 n. 20553/2021); e che non è ravvisabile la violazione dell’art. 115 c.p.c. nella circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato “Valutazione delle prove” (cfr. Cass. n. 11892/2016, n. 20832/2016, n. 30173/2021).
7. Anche il secondo motivo non può trovare accoglimento.
8. La Corte di merito, nel dichiarare illegittimo il trasferimento in contestazione, si è fondata su una duplice ratio decidendi, la mancata prova della chiusura della sede di Venezia come unità produttiva, nonché la mancanza del consenso del lavoratore, richiesto sia dall’art. 33 L. n. 104/1992 sia dall’art. 78, comma 6, L. n. 267/2000 (ndr art. 78, comma 6, D.Lgs. n. 267/2000).
9. Osserva allora il Collegio che la motivazione circa la mancata dimostrazione delle ragioni legittimanti il trasferimento ai sensi dell’art. 2103 c.c. è sufficiente a fondare la statuizione di declaratoria di illegittimità dello stesso contenuta nella sentenza impugnata.
10. Infatti, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (così Cass. n. 11493/2018; cfr. anche Cass. S.U. n. 7931/2013 e successive conformi).
11. Le ricorrenti, in quanto soccombenti, devono essere condannate al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, e sono tenute al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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