Corte di Cassazione ordinanza n. 31561 depositata il 25 ottobre 2022

appello incidentale tardivo 

RILEVATO CHE:

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione, sulla base di un solo motivo, avverso la sentenza 4270/13 depositata il 3 luglio 2019, con la quale la CTR della Sicilia respingeva il gravame dalla stessa proposto, accogliendo l’eccezione sollevata dal contribuente nelle memorie difensive in cui ” contestava le copie fotostatiche delle relate di notifica non autenticate dal soggetto abilitato, atteso che l’ente finanziario non aveva provveduto alla notifica diretta delle cartelle portate dall’estratto ruolo”.

In particolare, la Regionale affermava che a fronte del disconoscimento del potere di autenticazione in capo alla società di Riscossione, la quale avrebbe potuto autenticare solo gli atti dalla stessa provenienti, ma non anche quelli provenienti dai terzi, come nel caso di specie, gli avvisi di ricevimento delle cartelle di pagamento, l’agenzia, in quanto titolare del diritto di credito, aveva l’onere di produrre gli originali degli atti depositati in causa con l’atto di impugnazione, al fine di provare la regolarità del procedimento notificatorio.

Il contribuente resiste con controricorso e memorie difensive.

Con controricorso notificato a mezzo pec il 4 febbraio 2020 e depositato il 21 febbraio 2020, la società di riscossione aderisce al motivo di ricorso dedotto dall’Agenzia, chiedendo l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata.

CONSIDERATO CHE:

2. Preliminarmente deve essere dichiarata l’inammissibilità del controricorso proposto dalla società di iscossione. 

Le regole sull’impugnazione tardiva, sia ai sensi dell’art. 334 c.p.c., che in base al combinato disposto di cui agli artt. 370 e 371 c.p.c., operano esclusivamente per il ricorso incidentale in senso stretto e, cioè, proveniente dalla parte contro cui è stata proposta l’impugnazione principale – e cioè proveniente dalla parte contro la quale è stata proposta l’impugnazione principale, solo alla quale è consentito presentare ricorso nelle forme e nei termini di quello incidentale, per l’interesse a contraddire e a presentare, contestualmente con il controricorso, l’eventuale ricorso incidentale anche tardivo – e non anche per quello che abbia contenuto adesivo al ricorso principale – neppure ove contenga censure aggiuntive rispetto a quest’ultimo – che va proposto, a pena di inammissibilità, nel termine ordinario di impugnazione( Cass. n. 41254/21; n. 17614/20).

Nel caso in esame, il ricorso adesivo è invece proposto a tutela di un interesse sorto non dall’impugnazione principale (né è diretta contro di essa), ma dall’ emanazione della sentenza e non si sottrae – quindi – all’osservanza dei termini ordinari di impugnazione neppure ove contenga censure aggiuntive rispetto a quelle contenute nel ricorso principale (Cass. n. 155/2017; Cass. 26505/2009). Non trovano invece applicazione i termini previsti dall’art. 334 c.p.c. per l’impugnazione incidentale tardiva.

Non trova applicazione al caso in esame il principio affermato da Cass. 14596/2020  laddove  ha  statuito  il  principio  che l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile tutte le volte che quella principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza che l’impugnato, in mancanza dell’altrui gravame, avrebbe accettato e, conseguentemente, può essere proposta sia nei confronti del ricorrente principale, anche con riguardo ad un capo della sentenza diverso da quello investito dall’impugnazione principale, sia nelle forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro parti processuali diverse dall’impugnante principale, tutte le volte che, nel caso concreto, il gravame di uno qualsiasi dei litisconsorti, se accolto, comporterebbe un pregiudizio per l’impugnante incidentale tardivo poiché darebbe luogo ad una sua soccombenza totale o, comunque, più grave di quella stabilita nella decisione gravata.”

E ciò in quanto, nella concreta fattispecie, la società di Riscossione non ha svolto censure diverse da quelle dedotte dall’impugnante principale e soprattutto perché l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia non provocherebbe alcun pregiudizio per la Riscossione.

3. Con un unico motivo, la ricorrente deduce error in procedendo, nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione degli artt. 214 e ss c.p.c. in combinato disposto con l’art. 1 comma2, d.lgs n. 546/92, nonché contestuale violazione dell’art. 2719 e.e., ex art. 360, n. 3, c.p.c.; per avere i giudici regionali ritenuta ammissibile l’eccezione dedotta dal contribuente solo con le memorie difensive, quando, al contrario, l’eventuale disconoscimento della conformità delle copie delle relate prodotte agli originali avrebbe dovuto essere proposta nella prima difesa utile, vale a dire con l’atto di costituzione in sede di appello. 

4. Va considerato che, in virtù del principio iura novit curia di cui all’art. 113, comma 1, p.c., il giudice ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonché all’azione esercitata in causa, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame, essendo allo stesso vietato, in forza del principio di cui all’art. 112 c.p.c., porre a base della decisione fatti che, ancorché rinvenibili all’esito di una ricerca condotta sui documenti prodotti, non siano stati oggetto di puntuale allegazione o contestazione negli scritti difensivi delle parti ( Cass. n. 30607 del 27/11/2018).

5. Ebbene, nel caso di specie, è circostanza pacifica che il contribuente ha impugnato l’estratto di ruolo lamentando l’omessa notifica delle cartelle recate dal ruolo, come confermato dallo stesso contribuente a pagina 3 del controricorso.

Con la nota sentenza n. 19704/15 si è stabilito che il ruolo e/o la cartella sono immediatamente impugnabili, anche in mancanza di rituale notificazione, e che non vi è d’ostacolo l’ultima parte del comma 3 dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo il quale «la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo (conf., fra varie, Cass. nn. 27799/18, 22507/19 e 12070/22). Coerentemente, proprio con la sentenza n. 19704/15, le sezioni unite, appunto prendendo le mosse dall’«indiscutibile recettizietà» dell’atto tributario, in virtù della quale «il ruolo è atto che deve essere notificato e la sua notificazione coincide con la notificazione della cartella di pagamento», hanno fondato l’ammissibilità dell’impugnazione sul bisogno di tutela dato dall’interesse a contrastare l’avanzamento della sequenza procedimentale in corso: l’invalidità della notificazione (e, a maggior ragione, l’omissione di essa), hanno ritenuto, rileva in quanto, impedendo la conoscenza dell’atto e quindi la relativa impugnazione, produca l’avanzamento del procedimento sino alla conclusione dell’esecuzione.

L’arresto si è formato in un contesto normativo e giurisprudenziale in cui occorreva offrire tutela immediata ai cittadini che potevano subire un pregiudizio dalla pendenza dei carichi, sia perché si escludeva che si potesse adire il giudice tributario per l’impugnazione di un atto esecutivo come il pignoramento, in quanto tale estraneo ai confini della giurisdizione tributaria, come delineati dall’art. 2 del d.lgs. n. 546/92 (Cass., sez. un., n. 21690/16); per altro verso, la possibilità di proporre opposizione ex art. 615 c.p.c., inizialmente esclusa dall’art. 54 del d.P.R. n. 602/73, nel regime antecedente alla novella dovuta al d.lgs. n. 46/99 (Cass., sez. un., n. 212/99; sez. un., n. 2090/2002; n. 25855/13), è stata poi limitata, nel regime successivo, in base all’art. 57 del d.P.R. n. 602/73, alla deduzione dell’impignorabilità dei beni; laddove non è consentita, quanto alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo, ossia, appunto, alla regolarità del ruolo e alla notificazione della cartella, l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.

Tuttavia, come statuito recentemente dalle S.U. con sentenza n. 26283/22, quelle limitazioni, tuttavia, non sono più attuali.

Dapprima queste sezioni unite (Cass., sez. un., nn. 13913 e 13916/17; in termini, tra varie, sez. un., n. 7822/20, cit.) hanno stabilito che il pignoramento che costituisca il primo atto col quale si esprime la volontà di procedere alla riscossione di un credito, in mancanza di precedenti atti ritualmente notificati, suscita l’interesse ad agire e va impugnato davanti al giudice tributario, in base agli artt. 2, comma 1, secondo periodo, e 19 del d.lgs. n. 546/92.

Poi, anche sulla scia di questa giurisprudenza, la Corte costituzionale (con sentenza n. 114/18) ha escluso qualsivoglia vuoto di tutela nel caso di omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento o dell’eventuale successivo avviso contenente l’intimazione ad adempiere: se il contribuente contesta il titolo della riscossione coattiva, o la regolarità formale e la notificazione di esso, la tutela c’è ed è garantita in maniera piena dal giudice tributario (al riguardo, si veda Cass., sez. un., n. 28709/20).

Quella Corte ha inoltre posto rimedio alla carenza di tutela che si profilava dinanzi al giudice ordinario, affermando l’illegittimità costituzionale del suddetto art. 57 nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella o all’intimazione di pagamento, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c. E, a fondamento della decisione, ha appunto evidenziato che la pur marcata peculiarità dei crediti tributari non è tale da giustificare che « ...non vi sia una risposta di giustizia se non dopo la chiusura della procedura di riscossione ed in termini meramente risarcitori». Il principio della tutela immediata affermato dalla richiamata sentenza delle sezioni unite del 2015 è dunque superato.

In realtà, proprio perché nei casi in cui si contestino il ruolo e/o la cartella o l’intimazione di pagamento non notificate o invalidamente notificate, conosciute perché risultanti dall’estratto di ruolo, l’esercizio della pretesa tributaria non emerge da alcun atto giuridicamente efficace, l’azione è da qualificare di accertamento negativo (in termini, da ultimo, Cass. n. 3990/20, punto 2.6). E, in quanto tale, essa, in considerazione della struttura impugnatoria del giudizio tributario, è improponibile (Cass., sez. un., n. 24011/07; sez. un., n. 21890/09).

Sul punto è intervenuto il legislatore, il quale, con l’art. 3-bis del d.l. n. 146/21, inserito in sede di conversione dalla l. n. 215/21, novellando l’art. 12 del d.P.R. n. 602/73, intitolato alla “Formazione e contenuto dei ruoli”, in cui ha inserito il comma 4-bis, ha stabilito non soltanto che «L’estratto di ruolo non è impugnabile», ma anche che «Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto per effetto di quanto previsto nell’art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’art. 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione». 

La norma riguarda la riscossione delle entrate pubbliche anche extratributarie: in base, in particolare, alla combinazione degli artt. 17 e 18 del d.lgs. n. 46/99 quanto ai crediti contributivi e previdenziali (vedi, a proposito dell’art. 49 del d.P.R. n. 602/73, Cass., sez. un., n. 33408/21), e giusta gli artt. 27 della l. n. 689/81 e 206 del d.lgs. n. 285/92, in relazione alle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria, la riscossione delle quali è disciplinata dalle norme previste per l’esazione delle imposte dirette (cfr., con riguardo al fermo, Cass. n. 22018/17).

La prima disposizione del comma 4-bis dell’art. 12 del d.P.R. n. 602/73 è ricognitiva della natura dell’estratto di ruolo, mero elaborato informatico contenente gli elementi della cartella, ossia gli elementi del ruolo afferente a quella cartella, che non contiene pretesa impositiva alcuna, a differenza del ruolo, il quale è atto impositivo, in quanto tale annoverato dall’art. 19 del d.lgs. n. 546/92 tra quelli impugnabili: sulla distinzione si sono soffermate queste sezioni unite (con la già citata sentenza n. 19704/15) e non constano voci dissonanti (in linea, anche l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4/22).

Quel che s’impugna è quindi l’atto impositivo o riscossivo menzionato nell’estratto di ruolo; di modo che inammissibile è l’impugnazione dell’estratto di ruolo che riporti il credito trasfuso in una cartella di pagamento che sia stata precedentemente notificata, e non impugnata (tra varie, Cass. n. 21289/20), o che sia rivolta a far valere l’invalidità di un’intimazione, regolarmente notificata e non contestata, per l’omessa notificazione delle cartelle di pagamento (sempre tra varie, v. Cass. n. 31240/19).

È la seconda disposizione della disciplina sopravvenuta che ha suscitato accesi fermenti, dei quali si fornisce ampio riscontro nell’ordinanza interlocutoria.

Non si tratta, come pure si è sostenuto, di una norma d’interpretazione autentica, men che mai dell’art. 19 del d.lgs. n. 546/92. Non soltanto essa non si qualifica come tale, ma nemmeno assegna ad altra disposizione un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (v. tra varie, Corte cost., n. 257 e 271/11, n. 132/16 e n. 167/18, nonché Cass., sez. un., nn. 9560/14 e 12644/14).

Né la norma è retroattiva, perché non disconosce le conseguenze già realizzate del fatto compiuto, né ne impedisce le conseguenze future per una ragione relativa a questo fatto soltanto: essa non incide sul novero degli atti impugnabili e, specificamente, non ne esclude il ruolo e la cartella di pagamento; né introduce motivi d’impugnazione o foggia quelli che già potevano essere proposti.

Con la norma in questione, invece, il legislatore, nel regolare specifici casi di azione “diretta”, stabilisce quando l’invalida notificazione della cartella ingeneri di per sè bisogno di tutela giurisdizionale e, quindi, tenendo conto dell’incisivo rafforzamento del sistema di garanzie, di cui si è detto, plasma l’interesse ad agire.

Questa condizione dell’azione ha difatti natura dinamica, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti (tra varie, Cass. n. 9094/17; sez. un., n. 619/21), e può assumere una diversa configurazione, anche per volontà del legislatore, fino al momento della decisione. La disciplina sopravvenuta si applica, allora, ai processi pendenti perché incide sulla pronuncia della sentenza (o dell’ordinanza), che è ancora da compiere, e non già su uno degli effetti dell’impugnazione. È quindi coerente che l’interesse, così come conformato dal legislatore, debba essere dimostrato: «Sarebbe in contrasto con la funzione del processo una struttura di questo che fosse regolata in modo da consentire l’eventuale abuso delle misure giudiziarie ai fini dell’utile di una sola parte, mossa da intenti defatigatori ..., e pertanto non meritevole di tutela giuridica» (Corte cost. n. 113/63), in armonia col principio costituzionale del giusto processo, ex art. 111 Cost. La dimostrazione si può dare anche nel corso dei giudizi pendenti. Quanto alle fasi di merito, se il pregiudizio sia già insorto al momento della proposizione del ricorso, utile è il tempestivo ricorso alla rimessione nei termini, applicabile anche al processo tributario (tra varie, v. Cass. n. 268/22), posto che l’assolutezza dell’impedimento a rappresentare quel pregiudizio è determinata dalla novità della norma che l’ha previsto; a maggior ragione esso può essere fatto valere in giudizio se insorto dopo.

L’interesse in questione può poi essere allegato anche nel giudizio di legittimità, il quale non è sull’operato del giudice, ma sulla conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico (Cass., sez. un., n. 21691/16, punto 16), mediante deposito di documentazione ex art. 372 c.p.c. (sull’ammissibilità del deposito di documenti concernenti la persistenza dell’interesse ad agire, cfr., tra varie, Cass. n. 26175/17), o anche fino all’udienza di discussione, prima dell’inizio della relazione, o fino all’adunanza camerale, se insorto dopo; qualora occorrano accertamenti di fatto, vi provvederà il giudice del rinvio.

Nel caso in esame, il contribuente ha depositato memorie ai sensi dell’art. 372 c.p.c. al fine di allegare che le iscrizioni ipotecarie lo

esponevano, quale imprenditore alla possibilità di vedersi rifiutare gli ordini ovvero all’impossibilità di accedere ai finanziamenti, ipotesi non contemplate tra i presupposti per l’impugnabilità dell’estratto ruolo ex art. 3 bis d.l. 146/21, con la conseguenza che il ricorso per cassazione deve essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e declaratoria di inammissibilità del ricorso originariamente proposto dal contribuente, per carenza di interesse ad agire.

Sussistono i presupposti, tenuto conto dello jus superveniens e del recente arresto delle Sezioni Unite, per compensare le spese dell’intero giudizio,

P.Q.M.

La Corte

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’originario ricorso del contribuente per carenza di interesse.

compensa le spese dell’intero giudizio.