Corte di Cassazione ordinanza n. 31881 depositata il 27 ottobre 2022
efficacia del recesso del socio – il recesso del socio da una società di persone è atto unilaterale recettizio
RILEVATO CHE:
1. D.P., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Divisione Alimentari Freschi di D.P. & s.a.s., ricorre con cinque motivi contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Basilicata n.235/2/15, pronunciata il 16 febbraio 2015, depositata in data 9 marzo 2015 e non notificata, che ha rigettato l’appello del contribuente contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Matera, che aveva rigettato il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento che, ai fini Irpef, determinava il reddito di partecipazione del socio per l’anno di imposta 2006, in considerazione del recesso dei soci accomandanti, D.R. e D.G..
2. Con la sentenza impugnata, la C.t.r. preliminarmente rilevava che la lamentata violazione dell’integrità del contraddittorio nei confronti della socia receduta e della Camera di Commercio competente era priva di fondamento, in quanto, nel 2006, l’unico socio rimasto della Divisione Alimentari era Dell’Agli Pasquale.
Secondo la C.t.r. mancava, quindi, una pluralità di soci riferita a quel periodo di imposta quale presupposto necessario per integrare il contraddittorio.
Il giudice di appello rilevava anche che, con riguardo all’istanza nei confronti della Camera di Commercio, le vicende attinenti al procedimento di recesso dei soci non potevano ripercuotersi sulla legittimità dell’atto impugnato, del cui operato l’Amministrazione finanziaria era estranea.
La C.t.r. riteneva, inoltre, che nemmeno fondata fosse l’eccezione inerente alla lamentata violazione dell’art.10 l. n.212/2000, in quanto gli atti richiamati erano conosciuti dal contribuente per esserne stato riprodotto il contenuto essenziale in conformità all’indirizzo giurisprudenziale della S.C. (Cass. n.5082/11): del resto il ricorrente già in sede di ricorso alla C.t.p. aveva dato conferma di conoscere i presupposti di fatto e di diritto su cui si basava la pretesa tributaria.
Nel merito, il giudice di appello affermava che l’iter logico giuridico seguito dai primi giudici era corretto ed adeguatamente motivato. In effetti, l’Ufficio aveva emesso l’avviso di accertamento impugnato tenendo conto del recesso dei due soci ed imputando all’unico socio rimasto il reddito conseguito dalla società, attesa la valenza di pubblicità legale delle risultanze del Registro delle Imprese e l’irrilevanza della mancata conoscenza degli intervenuti provvedimenti da parte del contribuente. Secondo la C.t.r., l’art. 2290 cod.civ., che disciplina l’istituto del recesso del socio dalla società, configura l’atto come dichiarazione unilaterale recettizia; il recesso si perfeziona nel momento stesso in cui entra nella conoscibilità della società e del socio rimasto.
Riteneva, dunque, la C.t.r. che, da quel momento in poi, il dichiarante non poteva più ritenersi socio, ma solo creditore del valore della relativa quota, rilevando che, nel caso di specie, i due soci receduti avevano comunicato al ricorrente le proprie dimissioni già con raccomandata del 12.11.2005.
3. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 25 ottobre 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197.
4. Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE:
1.1 Con il primo motivo, il ricorrente denunzia la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., per la violazione e falsa applicazione dell’art.14 d.lgs. 31 dicembre 1992, n.546, in relazione all’art.5 d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917, e dell’art.40 d.P.R. 29 settembre 1973, n.600, violazione dell’art.109 P.R. 22 dicembre 1986, n.917, e dell’art.2697 cod. civ.
Secondo il ricorrente la C.t.r. avrebbe dovuto rilevare la non integrità del contradditorio nei confronti della socia receduta e della Camera di Commercio, litisconsorti necessari.
1.2 Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. , dell’art. 5 d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917, e dell’art.40 d.P.R. 29 settembre 1973, n.600.
Sostiene il ricorrente che il recesso degli altri due soci era a lui opponibile solo dalla data dell’avvenuta iscrizione d’ufficio presso il Registro delle Imprese il 27 ottobre 2009, non essendo prima conoscibile.
1.3 Con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., per la violazione e falsa applicazione dell’art.14 d.lgs. 31 dicembre 1992, 546, quale conseguenza della violazione da parte della Camera di Commercio di Matera dell’art.16 d.P.R. 7 dicembre 1995, n.581, dell’art.2192 cod. civ. e dell’art.3 d.P.R. 23 luglio 2004, n. 247.
Il ricorrente deduce di aver eccepito, nel corso del contraddittorio con l’ufficio e, comunque, fin dal primo grado di giudizio, di non aver avuto comunicazione dei decreti relativi all’iscrizione d’ufficio del recesso dei soci accomandanti.
L’illegittimo operato della Camera di Commercio avrebbe imposto, dunque, l’integrazione del litisconsorzio necessario nei confronti dei soci che avevano esercitato il recesso.
1.4 Con il quarto motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art.3 d.P.R. 23 luglio 2004, n. 247, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.
Secondo il ricorrente, l’illegittimità del comportamento della Camera di Commercio in ordine al recesso dei soci sarebbe evidente anche in considerazione del fatto che la stessa non aveva dato luogo agli adempimenti previsti nel caso del venir meno della pluralità dei soci (invito a ricostituire la pluralità dei soci e, nel caso di mancata ricostituzione, scioglimento della società).
1.5 Con il quinto motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art.10 l. 27 luglio 2000, n.212, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.
Il ricorrente deduce l’illegittimità del comportamento dell’amministrazione finanziaria, che non aveva allegato i provvedimenti relativi al recesso dei soci e che erano posti a fondamento dell’avviso di accertamento, non consentendo al contribuente la verifica della loro rispondenza alle disposizioni di legge (vale a dire se fossero stati correttamente notificati al socio accomandatario D.P.).
2.1 I motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono infondati e vanno rigettati.
Invero, il recesso del socio da una società di persone è atto unilaterale recettizio (vedi Cass. n.5836/13); una volta comunicato esso è efficace nei confronti degli altri soci, mentre, ai sensi dell’art.2290 cod. civ., non è opponibile ai terzi, che lo abbiano ignorato senza colpa, nel caso in cui non abbia avuto adeguata pubblicità con mezzi idonei.
La norma di cui all’art.2290 cod. civ. non regola i rapporti tra soci, in caso di recesso di alcuni di essi, bensì l’opponibilità del recesso ai terzi di buona fede, come si evince anche dalle numerose pronunce di legittimità citate dal ricorrente nella propria memoria.
Si tratta d’inefficacia relativa a tutela dei terzi di buona fede e non del socio-accomandatario, destinatario del recesso quale amministratore.
Nella specie è circostanza pacifica che all’epoca dell’accertamento (anno di imposta 2006) i soci accomandanti avevano già esercitato il recesso, che il giudice di appello, con accertamento in fatto non contestato dal ricorrente, afferma essere stato comunicato al socio accomandatario con lettera raccomandata del 12.11.2005.
Nessun rilievo, dunque, può avere nei rapporti interni tra i soci l’eventuale mancata comunicazione al socio accomandatario dei decreti di iscrizione del recesso nel Registro delle Imprese.
Per quanto, invece, riguarda i rapporti con il fisco, ben poteva l’ufficio, preso atto del recesso del 2005, operare per l’anno d’imposte 2006 nei confronti dell’unico socio superstite senza nulla pretendere dai soci receduti nel 2005 e senza che fosse necessario alcun contraddittorio litisconsortile.
Nella specie, infatti, è indubitabile che l’avviso di accertamento impugnato abbia tenuto conto dell’avvenuto recesso dei soci accomandanti, circostanza non contestata dal ricorrente, ed abbia rivolto la pretesa tributaria nei confronti di chi risultava ancora unico socio accomandatario.
Pertanto, nel caso di specie (in cui, peraltro, l’iscrizione del recesso dei soci accomandanti nel Registro delle Imprese è stata disposta con decreto del giudice del registro in data 7.11.2007 ed effettuata d’ufficio il 29.10.2009), risultano irrilevanti eventuali vizi nella comunicazione al socio accomandatario, nei cui confronti il fisco ha correttamente esercitato la propria pretesa, dei decreti relativi alla iscrizione del recesso dei soci accomandanti nel Registro delle Imprese, poiché la circostanza del recesso gli era già stata comunicata.
Deve, quindi, concludersi che non vi sia alcun difetto di integrità del contraddittorio, in quanto risulta evocato in giudizio l’unico socio che all’epoca faceva parte della compagine sociale, e che, nel merito il ricorso sia infondato, non avendo rilevanza eventuali vizi di comunicazione al socio accomandatario dei provvedimenti relativi all’iscrizione del recesso degli accomandanti, già comunicato al primo con lettera raccomandata, come accertato dal giudice di appello.
In conclusione, il ricorso va rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.