Corte di Cassazione ordinanza n. 31976 depositata il 6 dicembre 2019
condominio – delibera di non impugnazione sentenza
Ritenuto, per quel che rileva in questa sede, che la vicenda al vaglio può riassumersi nei termini seguenti:
– C.G. e C.R. ottenevano in primo grado pronunzia di condanna (fra l’altro) al risarcimento del danno nei confronti del Condominio di via xxxxxx, 105, Roma, per i danni procurati al loro appartamento dalla mancata manutenzione del lastrico solare (venderanno poi l’appartamento a Ida Guarnaccia, cedendole il solo diritto di eseguire il provvedimento nunciatorio e riservandosi la titolarità dei diritti risarcitori);
– l’assemblea condominiale del 23/5/2005 decise, all’unanimità dei presenti (per quel che qui interessa, assenti gli appellanti), di non impugnare la decisione;
– i coniugi P.R. e M.F., prima dell’anzidetta assemblea, avevano promesso in vendita il loro immobile a G.M., manlevandola a riguardo delle conseguenze del giudizio;
– i condomini P.R./M.F. e D.A. impugnarono la sentenza del Tribunale con citazione notificata il 3/6/2005;
– la Corte d’appello di Roma, respinse l’impugnazione perché gli appellanti avevano introdotto il grado d’appello dopo che il Condominio aveva prestato, con la delibera di cui detto, piena acquiescenza alla sentenza di primo grado;
ritenuto che ricorrono con due motivi di censura il D.A., il P.R. e la M.F., che controricorrono, con atti separati, il Condominio, il C. e la C., nonché la G.;
che hanno presentato memorie illustrative tutti i controricorrenti;
ritenuto che con il primo motivo i ricorrenti deducono «violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5, c.p.c.; in relazione agli artt. 1105 c.c., 1130 c.c., 1135 c.c. e 1139 c.c. ed ex art. 115 cod. proc. civ.», assumendo, in sintesi, che essendo il condominio un ente di gestione, con la conseguenza che la presenza dell’organo di rappresentanza, costituito dall’amministratore, non priva i singoli condòmini del potere di agire autonomamente per la difesa dei propri diritti, essi erano pienamente legittimati all’impug nazione;
considerato che la censura va, in primo luogo, purgata dall’improprio riferimento alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., il quale, per vero, costituisce solo il parametro processuale di riferimento del vizio o dell’errata applicazione di una norma di diritto sostanziale e all’ipotizzato vizio motivazionale, al di fuori del caso consentito dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.;
che ciò posto, esaminato, tuttavia, il motivo a riguardo del contrasto chiaramente riconducibile alle norme sopra indicate, lo stesso è infondato, tenuto conto di quanto segue:
– gli appellanti, che non adducono di non essere stati convocati per l’assemblea del 23/5/2005, avrebbero dovuto impugnare la delibera e al contempo, così come hanno fatto, appellare la sentenza del Tribunale; non avendo fatto luogo al primo incombente quella determinazione è divenuta ferma e avente pieno valore di acquiescenza alla sentenza di primo grado;
– ciò non si pone in contrasto con la costruzione dogmatica del condominio ripresa dai ricorrenti, richiamando costante interpretazione di legittimità, essendo necessario coordinare il diritto di autonoma impugnativa da parte del singolo condòmino (enunciato più volte in questa sede, cfr. ex multis, Cass. nn. 1011/010, 3900/010, 13639/010) con la univoca propensione alla stabilità delle delibere condominiali non impugnate nel termine perentorio di legge;
ritenuto che con il secondo motivo i ricorrenti deducono «violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n.3, c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5, c.p.c.; in relazione agli artt. 1117 c. c., 1130 c. c., 101 c.p.c. e 81 c.p.c.», lamentando che la Corte di Roma aveva erroneamente negato la legittimazione attiva degli appellanti per avere alienato la loro unità immobiliare prima dell’impugnazione della sentenza, trattandosi di «diritto personalissimo di cui è titolare il soggetto che ha effettuato il pagamento pro quota in ragione della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado»;
considerato che la censura (anch’essa, come la prima, formulata impropriamente) è inammissibile in quanto i ricorrenti non colgono la ‘ratio decidendi”: la Corte d’appello non ha tenuto conto della “vendita” dell’immobile dei coniugi P.R./M.F., anche perché non si trattava di vendita ma di un’obbligazione a vendere derivante da un contratto preliminare (come dichiarano gli stessi ricorrenti a pag. 8 del ricorso), ma ha disatteso l’impugnazione per l’intervenuta acquiescenza procurata dalla delibera condominiale di cui si è già detto;
considerato che le spese legali possono compensarsi per intero fra i ricorrenti e i controricorrenti tenuto conto della obiettiva complessità della questione giuridica posta con il primo motivo;
considerato che ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa fra le parti le spese legali del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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