Corte di Cassazione ordinanza n. 32060 depositata il 28 ottobre 2022
deducibilità delle operazioni soggettivamente inesistenti – operazioni oggettivamente inesistenti – provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito
Rilevato che:
G.N., titolare di un’agenzia di assicurazioni, ricorre con otto motivi, contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, per la cassazione delle sentenze nn. 3267/30/14, 3268/30/14 e 3269/30/14, della C.T.R. della Sicilia (Palermo), che hanno confermato altrettante pronunce di primo grado (emesse dalla C.T.P. di Trapani), la quale ha respinto i ricorsi del contribuente contro tre avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione Irpef (e addizionali), Irap, per i periodi di imposta 2005, 2006 e 2007, maggiori redditi non dichiarati, in conseguenza del disconoscimento di costi correlati a fatture passive per operazioni oggettivamente inesistenti, emesse dalla ditta individuale La P. e dal subagente S. S.r.l.
Considerato che:
a. in via pregiudiziale, è priva di fondamento l’eccezione dell’Agenzia delle entrate di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto cumulativamente contro più sentenze. Si deve al riguardo riaffermare il principio di diritto per il quale «nel processo tributario è ammissibile il ricorso cumulativo avverso più sentenze emesse tra le stesse parti, sulla base della medesima ratio, in procedimenti formalmente distinti, ma attinenti al medesimo rapporto giuridico d’imposta, pur se riferiti a diverse annualità, ove i medesimi dipendano per intero dalla soluzione di un’identica questione di diritto comune a tutte le cause, in ipotesi suscettibile di dar vita ad un giudicato rilevabile d’ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto d’imposta» (in termini, ex multis Cass. 11/08/2022, n. 24731 che richiama «Cass. Sez. U., 16 febbraio 2009, n. 3692 cui adde Cass., 10 febbraio 2021, n. 3225; Cass., 22 febbraio 2017, n. 4595; Cass., 3 aprile 2013, n. 8075; Cass., 30 giugno 2010, n. 15582; Cass., 7 maggio 2010, n. 11186»);
1. con il primo motivo di ricorso [«1. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 55, 56 e 109 co. 5 d.p.r. 22.12.1986 n. 917, 39 co. 1 lett. d e 41 bis d.p.r. 29.09.1973 n. 600, 21 co. 7 bis d.p.r. 26.10.1972 n. 633, 2697, 2727, 2729 codice civile, 115, 116 e 132 codice di procedura civile, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., nonché violazione art. 360 comma 1 n. 4 in relazione agli artt. 132 co. 2 n. 4, 118 disp. att. c.p.c. e 36 co 2 n. 4 d.lgs. 546/92»], il ricorrente censura l’errore di diritto della sentenza impugnata (recte, di ciascuna sentenza impugnata) che non ha fatto corretta applicazione delle norme sul riparto dell’onere della prova, tra fisco e parte privata, in tema di fatture per operazioni inesistenti. In particolare, si ascrive al giudice tributario di merito di avere valorizzato il principio per il quale le fatture emesse dalla ditta individuale La P. e dalla S. S.r.l. si presumono false, salva la prova contraria che spetta al contribuente;
1.1 il motivo non è fondato;
è giurisprudenza pacifica della Corte (in termini, per esempio, Cass. 18/10/2021, n. 28628) che è onere dell’Amministrazione dimostrare, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, dopodiché spetta al contribuente, ai fini (della detrazione dell’IVA e/o) della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Tanto premesso, nella specie, la C.T.R. (in ciascuna delle tre sentenze “gemelle”), con accertamento di fatto, insuscettibile di essere sindacato in sede di legittimità, senza violare le norme sul riparto, tra fisco e contribuente, dell’onere della prova circa l’oggettiva inesistenza delle operazioni, ha spiegato con chiarezza le ragioni di adesione alla sentenza di primo grado, secondo cui gli elementi indiziari a corredo degli atti impositivi attestavano che le fatture emesse dal subagente S. S.r.l. e dall’impresa individuale non documentavano costi deducibili perché relative ad operazioni inesistenti e che, invece, il contribuente non aveva fornito la prova contraria;
2. con il secondo motivo [«2. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 55, 56 e 109 co. 5 d.p.r. 22.12.1986 n. 917, 53 d.lgs. 546 del 1992, 39 co. 1 lett. d e 41 bis d.p.r. 29.09.1973 n. 600, 21 co. 7 bis d.p.r. 26.10.1972 n. 633, 2697, 2729, 2730 codice civile, 115 e 116 codice di procedura civile, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.»], il ricorrente lamenta l’errore della sentenza impugnata che ha dichiarato inammissibile il nono motivo di appello, quale mera riproposizione della tesi della infondatezza della pretesa fiscale, trascurando che la decisione di primo grado era stata criticata per avere ritenuto connotate da intrinseca veridicità le dichiarazioni rese, in fase amministrativa, dal titolare de La P. circa l’emissione di fatture false (aventi ad oggetto la cessione di materiale pubblicitario);
2.1 il motivo non è fondato;
per la C.T.R. (cfr. punto 6 di ciascuna delle tre sentenze) «Con il nono e ultimo motivo d’appello non si formulava alcuna valutazione critica dell’impianto motivazionale, ma si riproponeva la tesi dell’infondatezza della pretesa fiscale basata sull’asserita inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate dall’impresa individuale, tesi che il primo giudice aveva, con specifica motivazione, disatteso». Tale circostanza trova puntuale conferma nel raffronto tra il percorso argomentativo della C.T.P. e il motivo di appello riportato nella narrativa del mezzo di impugnazione in esame. Così, per esempio, all’asserzione della sentenza di primo grado, secondo cui la ditta La P. aveva emesso fatture per operazioni inesistenti in quanto non era in possesso di beni strumentali idonei alla lavorazione di materiale pubblicitario, il contribuente replica, in maniera non pertinente ed eccentrica, di essere in possesso dei mezzi di pagamento delle fatture e di rimanenze di materiale pubblicitario;
3. con il terzo motivo [«3. Violazione 12 l. 212 del 2000, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3, nonché illegittimità delle citate sentenze nn. 3267/30/14, 3268/30/14, 3269/30/14 per violazione art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c. ed art. 36 d.lgs. 546/92, attesa l’omessa pronuncia sul motivo n. 7 dell’atto di appello»], il ricorrente censura l’omessa pronuncia della C.T.R. sul settimo motivo di appello, con il quale si deduceva la violazione del contraddittorio endoprocedimentale in ragione del fatto che le dichiarazioni di soggetti che affermavano di avere avuto contatti con la S. S.r.l. (società emittente una parte delle fatture contestate) non erano state trasfuse in un p.v.c., sicché il contribuente non aveva potuto partecipare all’attività istruttoria né proporre domande o richieste di chiarimenti;
3.1 il motivo non è fondato;
non si tratta di omessa pronuncia in quanto, in realtà, ciascuna sentenza di appello, nel confermare la decisione di primo grado e quindi la legittimità dell’avviso impugnato, rigetta implicitamente la censura del contribuente di illegittimità dell’atto impositivo per violazione del contraddittorio preventivo;
4. con il quarto motivo [«4. Le sentenze nn. 3267/30/14, 3268/30/14, 3269/30/14 pronunciate dalla Commissione Tributaria Regionale d Palermo, sez. 30 in data 30.09.2014 sono, altresì, inficiate dal seguente profilo di illegittimità: ricorrenza del vizio di cui all’art. 360, comma 1 4 c.p.c., in relazione agli artt. 112 c.p.c. e 36 d.lgs. 546/92 omessa pronuncia sul contenuto essenziale dell’atto di appello, in relazione ai rilievi esposti ai punti nn. 4 e 6»], il ricorrente censura l’omessa pronuncia della C.T.R. sui punti nn. 4 e 6 dei motivi di appello con i quali si evidenziava che la fatturazione attiva dell’emittente S. S.r.l. era stata considerata veritiera, e il connesso errore nell’avere ravvisato la falsità della fatturazione passiva del committente, benché né l’ente impositore né altro soggetto (come la Procura della Repubblica o la C.T.P. di Trapani) avessero disconosciuto la veridicità della corrispondente fatturazione attiva dell’emittente;
4.1 il motivo non è fondato;
la sentenza impugnata esamina il quarto e il sesto motivo di appello e ne ravvisa l’infondatezza. Del resto, per la C.T.R. (cfr. punto 4.1., ultimo periodo di ciascuna sentenza), la contestazione circa l’oggettiva inesistenza delle operazioni correlate alle fatture risultava apertis verbis dall’avviso di accertamento (con riferimento a quelle emesse dalla S.M.S. S.r.l.) e, comunque, era nota al contribuente fin dal ricorso di primo grado;
5. con il quinto motivo [«5. Le sentenze nn. 3267/30/14, 3268/30/14, 3269/30/14 pronunciate dalla Commissione Tributaria Regionale d Palermo, sez. 30 in data 30.09.2014 […] sono, altresì, illegittime per violazione dell’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., in relazione agli artt. 112 c.p.c. e 36 d.lgs. 546/92 omessa pronuncia sul contenuto essenziale dell’atto di appello centrato sui rilievi punti 7 B e H di pagg. 14 e 21 e ss. dell’atto di 2° grado»], si censura l’omessa pronuncia della C.T.R. su tutte le eccezioni di merito sollevate dal contribuente, in particolare quelle concernenti la regolarità dei pagamenti effettuati con mezzi tracciabili (bonifici bancari), le note di credito ricevute dal contribuente ed emesse dalla S. S.r.l., e, da ultimo, l’eccezione in punto di onere della prova nell’ipotesi di fatture per operazioni inesistenti;
5.1 il motivo non è fondato;
analogamente a quanto già affermato al punto 3.1., è chiaro che la sentenza d’appello ha rigettato, anche implicitamente, l’intera prospettazione difensiva del contribuente;
6. con il sesto motivo [«6. Violazione e falsa applicazione combinato disposto articoli 8 co. 1, 2 e 3 del d.l. 16/2012, 42 co. 2 e 3 dpr 600/73, 7 co. 1 Legge 27 luglio 2000 n. 212, 3 della legge 7.8.1990, n. 241, 1 lett. 1 d.lgs. 74/2000, 112, 115 e 116 c.p.c., 21 d.p.r. 633/72 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3, nonché illegittimità delle sentenze nn. 3267/30/14, 3268/30/14, 3269/30/14, per violazione art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. in relazione agli artt. 112 c.p.c. e 36 d.lgs. 546/92, attesa l’ultrapetizione della CTR consistente nel fornire qualifica giudiziale al presunto falso»], il ricorrente censura l’errore di diritto della C.T.R. che, prima, qualifica le operazioni come oggettivamente inesistenti, ma dopo nega l’applicazione dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012, avente portata retroattiva ed applicabile anche d’ufficio, secondo cui se l’ufficio disconosce i costi relativi ad operazioni oggettivamente inesistenti deve però ridurre i ricavi fittiziamente dichiarati dal contribuente in relazione a detti costi inesistenti;
6.1 il motivo è fondato;
per la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 19/12/2019, n. 33915, in connessione con Cass. 08/10/2014, n. 21189, Cass. 20/11/2013, n. 25967) «In tema di imposte sui redditi, e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, grava sul contribuente l’onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che – ai sensi dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 44 del 2012 – siano direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati e non devono pertanto concorrere alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi». La C.T.R. si discosta da questo principio di diritto quando afferma (cfr. punto 4 della sentenza) che l’art. 8, del d.l. n. 16 del 2012, trova applicazione soltanto nelle ipotesi di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti;
7. con il settimo motivo [«7. Nullità delle sentenze nn. 3267/30/14, 3268/30/14, 3269/30/14 pronunciate dalla Commissione Tributaria Regionale d Palermo, sez. 30 in data 30.09.2014: violazione dell’art. 360, comma 1 4 c.p.c., in relazione agli artt. 132, co. 2 n. 4 c.p.c., 36 co 2 n. 2 e 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 118 disp. att. c.p.c. nella parte della sentenza di secondo grado in cui non v’è traccia dell’avvenuto deposito in giudizio della sentenza 197/1/13 della CTP Trapani»], il contribuente censura l’error in procedendo della sentenza impugnata che non ha bene esposto lo svolgimento del processo ed i fatti rilevanti della controversia;
7.1 il motivo non è fondato;
al contrario di quanto prospetta il contribuente, ogni sentenza di appello appare chiara ed esaustiva sia nell’illustrazione della dinamica processuale sia nell’esposizione dei fatti rilevanti di causa e dei motivi di appello;
8. con l’ottavo motivo [«8. Illegittimità delle sentenze nn. 3267/30/14, 3268/30/14, 3269/30/14 per violazione e falsa applicazione combinato disposto articoli 32 lgs. 546/92, 42 co. 2 e 3 d.p.r. 600/73, 7 co. 1 legge 27 luglio 2000 n. 212, 3 della legge 7.8.1990, 241, 1 lett. 1 (sic) d.lgs. 74/2000, 112, 115 e 116 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3»], si censura l’errore della sentenza impugnata che ha ritenuto nuovo, e perciò inammissibile, il profilo di critica attinente al difetto di motivazione dell’avviso, che non era stato dedotto nel ricorso introduttivo, ma esclusivamente nella successiva memoria illustrativa. Il contribuente rimarca che con la memoria depositata in primo grado aveva semplicemente puntualizzato le argomentazioni difensive già svolte nel ricorso introduttivo ed aveva insistito sul fatto che l’organo di controllo non aveva precisato se la contestazione riguardasse fatture oggettivamente o soggettivamente inesistenti;
8.1 il motivo è inammissibile;
la censura non è decisiva in ragione del fatto che, come sopra accennato (cfr. punto 4.1.), per la C.T.R. l’atto impositivo era ben motivato e il contribuente era consapevole che la contestazione poggiava sull’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti;
9. ne consegue che, accolto il sesto motivo, dichiarati infondati gli altri motivi ed inammissibile l’ottavo motivo, ciascuna sentenza è cassata, nei limiti del motivo accolto, con rinvio al giudice a quo, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa le sentenze impugnate in relazione al sesto motivo e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia (Palermo), in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.