Corte di Cassazione ordinanza n. 32499 depositata il 4 novembre 2022

condotta elusiva – interposizione del gestore “uti dominus” alla società 

Rilevato che:

1. Con sentenza della commissione tributaria regionale del Lazio, veniva rigettato l’appello di Vanessa Valente avverso la sentenza della commissione tributaria provinciale di Roma n.168/26/2013 che, a sua volta, aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di accertamento per IVA 2006. In particolare, l’Agenzia delle Entrate contestava la violazione della disciplina IVA con riferimento alla cessione dalla società Ristrutturazione d’Interni S.r.l. a Vecchi Franco, avvenuta il 19.12.2006, di un bene immobile per il valore dichiarato di Euro 3.014.182,00. L’avviso di accertamento veniva dunque emesso nei confronti della società per omessa dichiarazione IVA ed emissione di fattura circa un’operazione oggettivamente inesistente, e notificato anche a Vanessa Valente quale autrice materiale della violazione.

2. Il giudice di appello riteneva dimostrato il coinvolgimento della contribuente nella compravendita, già socia al 90% della Ristrutturazione d’interni S.r.l., dal momento che la Valente, anche dopo la cessione delle quote di partecipazione intervenuta il 9.5.2005, era rimasta procuratrice della stessa e, dunque, riteneva che correttamente i giudici di primo grado avessero affermato la responsabilità della Valente per l’omesso versamento dell’IVA. Per il resto, la CTR riteneva l’appello non specifico, dichiarava nuove le censure introdotte con l’atto di gravame e confermava la decisione del giudice di prime cure.

3. Avverso la decisione la contribuente propone ricorso, affidato a quattro motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso. La ricorrente deposita istanza datata 1.6.2022 di discussione orale e, in data 15.9.2022, memoria illustrativa.

Considerato che:

4. Preliminarmente, l’istanza di trattazione del procedimento mediante discussione orale, rectius di remissione della causa in pubblica udienza proposta dalla contribuente va disattesa. In adesione all’indirizzo espresso dalle sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., un., 5 giugno 2018, n. 14437), e allorquando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., sez. un., 23 aprile 2020, n. 8093). In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è neppure incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo. Nel caso in questione, alla data della presente decisione il tema oggetto del giudizio, riprese per operazioni oggettivamente inesistenti (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18118 del 14/09/2016, Rv. 641109 – 01; Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018, Rv. 649610 – 01; Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 28628 del 18/10/2021, Rv. 662471 – 01), non è certo nuovo nella giurisprudenza di questa Corte e anche il profilo della posizione dell’autore materiale della violazione uti dominus è stato ampiamente vagliato, da ultimo da (Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 23231 del 25/07/2022, Rv. 665344 – 02 e Rv. 665344 – 01).

5. Dev’essere quindi dichiarata inammissibile perché tardiva la memoria illustrativa depositata dalla ricorrente in data 14.9.2022, mancando di rispettare il termine previsto dal codice di rito che, si rammenta, è fino a 5 giorni prima della data dell’udienza (art. 378 cod. proc. civ.), sino a 5 giorni prima della data dell’adunanza camerale non partecipata ex art. 380-bis cod. proc. civ. e fino a 10 giorni prima della data dell’adunanza camerale non partecipata ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ..

6. Con il primo motivo, senza indicazione del pertinente paradigma dell’art.360 primo comma cod. proc. civ., si prospetta la violazione ed errata applicazione dell’art.57 del d.lgs. n.546 del 1992 sulla pretesa natura di motivi nuovi delle censure proposte nel gravame di secondo grado, perché, a differenza di quanto ritenuto dalla CTR, non ci sarebbe stato alcun motivo nuovo in seno all’atto di

7. Il motivo è L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, e il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione (Cass. n. 24048 del 2021 conforme a Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 22880 del 29/09/2017, Rv. 645637 – 01), affinché la censura possa considerarsi decisiva. Pertanto, ove il ricorrente denunci la statuizione di inammissibilità, per novità dei motivi di appello, ha l’onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e adeguatamente specifici, invece, i motivi di gravame sottoposti al giudice d’appello, riportandone i contenuto nella misura indispensabile ad evidenziarne la pretesa rituale e tempestiva introduzione nel processo, non potendo limitarsi a rinviare all’atto di appello, considerato oltretutto che nel caso di specie non sono in alcun modo precisati quali sarebbero stati i motivi in questione, quale il loro contenuto, quale la prova della loro tempestiva introduzione in primo grado e riproposizione in appello.

8. Il secondo motivo, formulato a sua volta senza indicazione del pertinente paradigma dell’art.360 primo comma cod. proc. civ., deduce la violazione degli artt.12 comma 7 della I. n.212 del 2000, 37 bis comma 4 del d.P.R. n.600 del 1973, anche in riferimento alle disposi­ zione della n.241 del 1990, nonché dell’art.97 Cost., in quanto l’avviso impugnato avrebbe dovuto essere dichiarato nullo per violazione del contraddittorio endoprocedimentale non instaurato.

9. La censura è radicalmente inammissibile. Infatti, da un lato la doglianza non fa alcun riferimento alla sentenza impugnata, ai fini della necessaria sua specificità, dal momento che la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa (Cass. (Cass. 28 novembre 2014 n. 25332).

Dall’altro, il ricorso non dà evidenza della tempestiva introduzione della questione del mancato rispetto del contraddittorio in fase procedimentale nei due gradi di merito, ulteriore concorrente profilo di inammissibilità della doglianza per novità.

10. Con il terzo motivo, indicato come proposto anche ai fini dell’art. 360 primo comma n.5 cod. proc. civ., si prospetta la violazione ed errata applicazione dell’art.37 bis comma 3 del d.P.R. n.600 del 1973, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e cioè l’effettiva esistenza di una condotta elusiva della Valente e la prova della medesima.

11. Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi censurata in questa sede espressa dalla sentenza, la quale alle 3 e 4 non ha compiuto un accertamento sull’abuso del diritto, ma ha ribadito la correttezza della statuizione dei giudici di prime cure confermandola, tra l’altro perché il giudice d’appello ha ritenuto rilevante la condotta materiale posta in essere dalla ricorrente la quale, pur avendo ceduto le quote sociali anteriormente all’operazione contestata come oggettivamente inesistente ha agito “uti dominus” in una fattispecie di evasione d’imposta e non elusiva.

12. Con il quarto motivo, indicato come proposto anche ai fini dell’art. 360 primo comma n.5 cod. proc. civ., viene dedotta la violazione ed errata applicazione degli artt. 1388, 1470 e ss. e 2462 cod. civ., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e cioè l’effettiva qualità di procuratrice o socia della Valente e, in caso di riconoscimento di tale qualità, l’insussistenza della qualifica di autore della violazione della medesima.

13. Il motivo non è inammissibile, come eccepito in controricorso perché il riferimento alla posizione di Giulio Bovi è un mero elemento narrativo nel corpo della censura per ricostruire il contenuto della doglianza e, se è vero che il mezzo di impugnazione cumula profili di violazione di legge e di vizio motivazionale, essi restano nondimeno autonomamente enucleabili in due distinte censure, da un lato di violazione di legge circa i criteri legali di individuazione della condotta rilevante con richiamo della disciplina codicistica della rappresentanza falsamente applicati dalla CTR e, dall’altro, di censura circa il contenuto della prova nella valutazione del fatto.

14. Il motivo è fondato, nei termini che seguono. Questa Sezione ha stabilito proprio in tema di accertamento su IVA e imposte dirette che, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nei confronti del soggetto che abbia gestito “uti dominus” una società di capitali si determina la traslazione del reddito d’impresa, e delle relative imposte, quale effettivo possessore del reddito della società interposta, e si instaura, inoltre, un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore “uti dominus” e la mandante è la società, sicché, ove le prestazioni di servizi cui il primo abbia partecipato per conto della seconda siano soggette a Iva, vi è soggetto pure il rapporto giuridico tra il mandatario e la società interposta, incombendo sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, ed al contribuente quello di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione, ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto (Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 23231 del 25/07/2022, Rv. 665344 – 01).

15. Siffatta ricostruzione rileva anche ai fini delle sanzioni, perché nell’interposizione del gestore “uti dominus” alla società di capitali in­ terposta, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 non ha rilievo il rapporto fiscale di quest’ultima, ma quello che fa capo direttamente all’interponente, in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, sicché, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 del d.I. n. 269 del 2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività (cfr. sent. ult. cit., Rv. 665344 – 02).

E’ stato così chiarito che la fattispecie, non dissimile da quella in esame nella presente controversia in cui è contestata una condotta “uti dominus” in capo alla ricorrente nei confronti di una società di capitali interposta, va ricondotta all’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 e di tale qualificazione terrà conto il giudice del rinvio. Inoltre, quanto alla prova, la norma prevede che l’Ufficio possa utilizzare elementi indiziari, dotati di pregnanza presuntiva e, ai fini del soddisfacimento dell’onere probatorio incombente sull’Amministrazione finanziaria, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass. n. 13807 del 22/05/2019; Cass. n. 4168 del 21/02/2018; Cass. n. 17833 del 19/07/2017; Cass. n. 25129 del 7/12/2016; già Sez. U. n. 9961 del 13/11/1996).

L’oggetto della prova peraltro, non attiene agli elementi costitutivi dell’interposizione ma solo, precisa la norma da ultimo citata, circa il fatto che il soggetto terzo ne è l’effettivo possessore per interposta persona e anche di tale profilo terrà conto il giudice della fase rescissoria.

16. Per effetto dell’accoglimento del quarto motivo, inammissibili i primi tre, va disposta la cassazione della sentenza impugnata con rin­vio, ai sensi della legge 130/2022, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, in relazione ai profili, oltre che per la liquidazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte: accoglie il quarto motivo di ricorso, inammissibili i primi tre, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, in relazione ai profili oltre che per la liquidazione delle spese di lite.