Corte di Cassazione ordinanza n. 32742 depositata il 7 novembre 2022
legittimazione ad causam della persona fisica che agisce in rappresentanza di un ente – vizio di mancata pronuncia su una eccezione – IMU ICI la esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i, d.lgs. n. 504 del 1992 può applicarsi, in caso di uso misto dell’immobile proporzionalmente, a quella porzione dell’immobile destinata all’attività esente
RILEVATO CHE
1. La C.S.C.G. ha impugnato, con due distinti ricorsi, gli avvisi di accertamento con cui, disconosciuta l’esenzione di cui all’art. 7, i, del d.lgs. n. 504 del 1992, le è stato richiesto il pagamento dell’i.mu. per gli anni 2012/2013 per l’immobile sito in Roma, Via Casilina n. 235, ove esercita attività di culto e attività di casa per ferie.
2. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, riuniti i ricorsi, li ha accolti parzialmente, riconoscendo l’esenzione per la parte dell’immobile destinata al culto (accertata in virtù di perizia giurata prodotta in corso di causa) e non per quella destinata ad attività di casa per ferie, in assenza di qualsiasi prova dello svolgimento dell’attività con modalità non commerciale.
3. La Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello di Roma Capitale in ordine al riconoscimento dell’esenzione per la parte dell’immobile destinata ad attività di culto e rigettato quello della contribuente in ordine al disconoscimento dell’esenzione per la parte dell’immobile destinata all’attività di casa per ferie. Nella sentenza si legge che “per gli immobili che hanno un utilizzo misto ovvero adibito a culto e ad attività commerciale, l’esenzione spetta sì alla parte predisposta al culto, ma questa parte di immobile deve essere identificabile o deve essere iscritta in catasto con una propria terna catastale: foglio, particella, subalterno. Nel caso in esame, l’unità immobiliare ….risulta essere un’intera unità immobiliare da cielo a terra con un’unica rendita catastale; pertanto l’Ufficio non è stato messo in grado di ricalcolare l’imposta”.
4. La contribuente ha proposto ricorso per cassazione, formulando quattro motivi.
5. Roma Capitale ha resistito con contro-ricorso, sostenendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso.
6. Per la trattazione della causa è stata fissata l’adunanza camerale del 19 ottobre 2022.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente ha denunciato la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione ai precedenti artt. 11, comma 3, e 18, comma 3, non essendo stata rilevata d’ufficio l’inammissibilità dell’appello, nonostante la sottoscrizione da parte del Direttore Antonella Palumbo in luogo del Direttore Giulia Formai, indicata nell’intestazione dell’atto quale dirigente dell’ufficio competente.
1.2 La censura è infondata.
1.3 In primo luogo occorre osservare che per la rappresentanza processuale della persona giuridica è sufficiente l’indicazione della funzione e del potere del soggetto che ha rilasciato la procura, senza che, in assenza di una puntuale e tempestiva contestazione relativa all’effettiva esistenza del potere esercitato, si configuri l’onere di dimostrare il proprio potere rappresentativo (Sez. U, n. 31963 del 5/11/2021, Rv. 663240 – 01).
Ad ogni modo, secondo quanto allegato nel contro-ricorso, Antonella Palumbo è uno dei dirigenti del Comune con potere di rappresentanza (anche in giudizio) del Comune. Tale deduzione difensiva deve ritenersi tempestiva, essendo stata formulata l’eccezione, per la prima volta, in sede di legittimità. In proposito occorre ricordare che la previsione dell’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo cui l’ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio, deve essere letto alla luce dei successivi artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 267 del 2000, in virtù del quali i Comuni, con il proprio statuto e con i propri regolamenti, disciplinano la propria organizzazione ed, in particolare, le attribuzioni degli organi ed i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio. Ne deriva che i soggetti legittimati alla sottoscrizione degli atti processuali del Comune devono essere identificati in base al suo statuto ed ai suoi regolamenti e che, come già affermato da questa Corte (Sez. V, n. 577 del 2017), i regolamenti comunali possono legittimamente prevedere che, nel contenzioso avanti alle commissioni tributarie, a rappresentare in giudizio l’ente sia un dirigente del servizio di competenza, ancorché diverso da quello dell’ufficio-tributi, senza necessità di specifica delibera autorizzativa della giunta comunale.
Per completezza va aggiunto che nel processo tributario il difetto di legittimazione ad causam della persona fisica che agisce in rappresentanza di un ente può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato dell’effettiva rappresentanza dell’ente stesso, che manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator (Sez. 5, n. 5110 del 21/02/2019, Rv. 652955 – 01). Anche in sede tributaria, difatti, trova applicazione l’art. 182, secondo comma, cod.proc.civ., secondo cui, quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza, o l’assistenza, o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa; l’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione. In definitiva, l’eventuale difetto di rappresentanza del soggetto che ha sottoscritto l’atto di appello non ne determinerebbe l’inammissibilità, ma comporterebbe piuttosto la necessità di avviare il procedimento per regolarizzare la costituzione della parte.
2. Con il secondo motivo la ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., la violazione dell’art. 112 proc.civ., non essendosi la Commissione Tributaria Regionale pronunciata sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 546 del 1992 (spedizione in busta chiusa) e per tardività dello stesso (consegna della busta solo in data 1° marzo 2018 e, cioè, dopo la scadenza del termine semestrale per la proposizione dell’appello, in data 17 febbraio 2018).
Pure tale doglianza è infondata, atteso che non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione (di merito come di rito) sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento dell’impugnazione, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione (v. in questo senso Sez. 3, n. 24953 del 6/11/2020, Rv. 659772 – 01). Ad ogni modo la spedizione del ricorso o dell’atto d’appello a mezzo posta in busta chiusa, pur se priva di qualsiasi indicazione relativa all’atto in esso racchiuso, anziché in plico senza busta come previsto dall’art. 20 del d.lgs. n. 546 del 1992, costituisce una mera irregolarità se il contenuto della busta e la riferibilità alla parte non siano contestati, essendo, altrimenti, onere del ricorrente o dell’appellante dare la prova dell’infondatezza della contestazione formulata (Cass., Sez. 5, 4 luglio 2014, n. 15309 e Cass., 5 ottobre 2016, n. 19864) – irregolarità che non incide sull’operatività del principio della scissione degli effetti della notifica per il notificante ed il notificante, in base al quale è superato ogni problema di tempestività dell’appello.
3. Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., la violazione degli artt. 7 del d.lgs. n. 504 del 1992 e 91-bis, comma 3, del d.l. n. 1 del 2012, convertito in l. n. 27 del 2012, essendo pacifico che una parte del fabbricato oggetto di imposizione sia destinata al culto (più precisamente, come accertato in primo grado, grazie alla perizia giurata prodotta, una porzione di mq. 3.370) e dovendo, pertanto, applicarsi l’esenzione in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile, nota al Comune.
Neppure tale doglianza può essere accolta, sebbene la motivazione della sentenza appellata sul punto debba essere integrata.
Invero, ai sensi dell’art. 91-bis, commi 2 e 3, d.l. n. 1 del 2012, convertito in l. n. 27 del 2012, qualora l’unità immobiliare abbia un’utilizzazione mista, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i, d.lgs. n. 504 del 1992 si applica solo alla frazione di unità nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale, se identificabile attraverso l’individuazione degli immobili o porzioni di immobili adibiti esclusivamente a tale attività; solo qualora non sia possibile procedere ai sensi del precedente comma 2, a partire dal 1º gennaio 2013, l’esenzione si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile quale risulta da apposita dichiarazione. Come specificato nel decreto n. 200 del 2012 del Ministero delle Finanze gli enti non commerciali presentano la dichiarazione di cui all’articolo 9, comma 6, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, indicando distintamente gli immobili per i quali è dovuta l’IMU, anche a seguito dell’applicazione del comma 2 dell’articolo 91-bis, del d.l. n. 1 del 2012, nonchè gli immobili per i quali l’esenzione dall’IMU si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale degli stessi, secondo le disposizioni del presente regolamento; la dichiarazione non è presentata negli anni in cui non vi sono variazioni. Il modello di dichiarazione in esame (per un’utilizzazione mista della unità immobiliare) è stato approvato con d.m. 26 giugno 2014 che ha differito al 30 settembre 2014 (poi al 30 novembre 2014) la presentazione della dichiarazione per gli anni 2012 e 2013 (esattamente gli anni qui in contestazione).
In definitiva, pur dovendo precisarsi che la esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i, d.lgs. n. 504 del 1992 può applicarsi, in caso di uso misto dell’immobile proporzionalmente, a quella porzione dell’immobile destinata all’attività esente anche laddove non sia possibile procedere alla autonoma identificazione catastale di tale parte dell’unità immobiliare, resta necessaria una specifica indicazione, da parte del contribuente, nella apposita dichiarazione – indicazione nel caso di specie assente, atteso che la ricorrente non ha allegato di averla fatta, pretendendo originariamente l’esenzione per l’intero immobile e facendo, comunque, riferimento solo alle proporzioni accertate tramite la perizia giurata prodotta in corso di causa. Nè può condividersi la prospettazione difensiva della ricorrente, secondo cui è superfluo ogni adempimento formale in considerazione della circostanza che il Comune fosse a conoscenza della destinazione di una parte dell’immobile all’attività di culto.
4. Con l’ultimo motivo la ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 5, cod.proc.civ., l’omesso esame di un fatto decisivo e, cioè, della prova fornita (tramite il deposito del listino prezzi praticato e dell’indice Trivago dei prezzi hotel per l’anno 2012) della circostanza che l’importo delle rette fosse significativamente inferiore ai prezzi di mercato.
La censura è inammissibile, non presentando l’elemento indiziario indicato il carattere della decisività e non essendo, dunque, idoneo a determinare una diversa soluzione della controversia, atteso che la mera inferiorità dei prezzi praticati rispetto a quelli di mercato non è un indice inequivocabile dell’esercizio dell’attività con modalità non commerciali.
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la società ricorrente a rifondere, in favore della parte controricorrente, le spese di lite, che liquida in complessivi euro 7.400,00, oltre euro 200,00 per spese vive, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge;
ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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