Corte di Cassazione ordinanza n. 32754 depositata il 7 novembre 2022
specificità dei motivi di appello nel rito tributario – principio di specificità del ricorso per cassazione – fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto e delle loro pertinenze
RILEVATO CHE
la Parrocchia di San Fruttuoso propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Liguria aveva parzialmente accolto l’appello avverso la sentenza n. 942/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Genova in rigetto del ricorso proposto avverso avviso di accertamento ICI annualità 2011, ed ha depositato memoria difensiva;
il Comune resiste con controricorso
CONSIDERATO CHE
1.1 con il primo ed il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia nullità della sentenza impugnata per avere la Commissione Tributaria Regionale dichiarato la parziale inammissibilità dell’appello, per difetto di specificità, con riguardo alla parte della pronuncia di primo grado relativa agli immobili di via Vitale 7 e di piazza Martinez 26e e 27r, ed avere dunque omesso di pronunciarsi al riguardo;
1.2 le censure, da esaminare congiuntamente, in quanto strettamente connesse, sono infondate;
1.3 questa Corte, con consolidato orientamento interpretativo, ha statuito che la specificità dei motivi di appello nel rito tributario (d.lgs. 546 del 1992, art. 53), – disposizione questa che, peraltro, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. c.c., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (cfr. Cass. n. 707/2019), – non è esclusa dalla riproposizione delle ragioni, e delle argomentazioni, già poste a fondamento del ricorso introduttivo del giudizio, ovvero delle controdeduzioni, quando queste ex se esprimano le ragioni di critica della pronuncia appellata nel suo intero contenuto (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 32954/2018, 24641/2018; Cass., 20 gennaio 2017, n. 1461; Cass., 1 luglio 2014, n. 14908), e detta specificità va correlata al tenore complessivo dell’atto di gravame, ove, dunque, le ragioni di critica del decisum fatto oggetto di impugnazione debbono desumersi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (cfr., ex plurimis, Cass., 26 gennaio 2021, n. 1571; Cass., 21 novembre 2019, n. 30341; Cass., 24 agosto 2017, n. 20379; Cass., 31 marzo 2011, n. 7393; Cass., 12 gennaio 2009, n. 346; Cass., 19 gennaio 2007, n. 1224);
1.4 va, tuttavia, al contempo evidenziato che il principio di specificità del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. (che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte) si applica anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali siano contestati errori da parte del giudice di merito, per cui, ove il ricorrente censuri (in ipotesi) la statuizione d’inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo d’appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. n. 22880 del 2017);
1.5 secondo giurisprudenza consolidata, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c.;
1.6 v’è da aggiungere, con particolare riferimento alla censura in sede di legittimità della dichiarazione di inammissibilità di un motivo di impugnazione per difetto di specificità, che il ricorrente deve trascrivere, o almeno sintetizzare adeguatamente, tanto il contenuto del provvedimento di primo grado impugnato, quanto il contenuto del motivo di appello proposto avverso tale provvedimento, per mettere così in condizione la Corte di cassazione di rivalutare la correttezza della decisione in rito assunta dal giudice di appello;
1.7 infatti la Corte di Cassazione, qualora venga dedotto un error in procedendo, è giudice anche del fatto processuale e può esercitare il potere- dovere di esame diretto degli atti purché la parte ricorrente li abbia compiutamente indicati, non essendo legittimata a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo alla loro verifica (cfr. Cass. n. 20924 del 05.08.2019; nella specie, è stato ritenuto che la censura di inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi di impugnazione avrebbe potuto essere esaminata solo se nel ricorso per cassazione fossero stati riportati, nelle parti essenziali, la motivazione della sentenza di primo grado e l’atto di appello);
1.8 invero, quando la parte censura la sentenza con la quale il giudice di merito ha affermato l’inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi, oggetto del giudizio di legittimità non è la sola argomentazione della decisione impugnata, bensì sempre e direttamente l’invalidità denunciata e la decisione che ne dipenda, anche quando se ne censuri la non congruità della motivazione, di talché in tali casi spetta al giudice di legittimità accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (cfr. Cass. n. 27368/2020);
1.9 tali principi rimangono validi anche dopo il recente intervento delle Sezioni Unite secondo cui il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Sez. U, n. 8950/2022);
1.10 infatti il motivo, se non deve contenere necessariamente la pedissequa trascrizione degli atti su cui si basa, deve però porre in condizione la Corte di valutare, se, in prospettazione e salvo la verifica in atti quale giudice del <<fatto processuale>>, il vizio denunciato sussista, il che, quanto ai motivi volti a contestare l’affermata genericità dell’impugnazione, esige quantomeno che il ricorrente illustri con sintesi adeguata sia il contenuto della decisione impugnata sia la critica che le aveva rivolto;
1.11 nel caso in esame, va quindi rilevato che la ricorrente si è astenuta dal dar conto nel ricorso per cassazione del contenuto dell’appello in rapporto alla parte della decisione di primo grado relativa agli immobili dianzi indicati, non solo non trascrivendo, ma neppure sintetizzando adeguatamente l’uno e l’altra, e così non innesca il potere di verifica degli atti processuali da parte del giudice della legittimità, non essendo, pertanto, sufficiente la sola parziale trascrizione dell’atto di gravame che si legge alle pagine 10, 11 e 12, che non consentono alla Corte di apprezzarne, in base alla sola lettura del ricorso, l’assunta specificità, non essendo menzionati gli immobili in questione, né poteva ritenersi idonea, a sanare l’eventuale formulazione di specifiche censure alla sentenza di primo grado, la successiva integrazione e specificazione dei motivi di gravame contenuta nella memoria illustrativa depositata nel corso del giudizio di appello;
1.12 come già affermato da questa Corte, l’omessa formulazione o il difetto di specificità di un motivo di gravame, costituendo un limite alla possibilità stessa per il giudice di appello di rilevare d’ufficio questioni attinenti al merito della res iudicanda, non possono essere rimossi dalla specificazione dei motivi che avvenga, in corso di causa, con la comparsa conclusionale (o memoria illustrativa, nel caso in esame), neppure se con essa si prospetti una questione che sarebbe rilevabile d’ufficio dal giudice (cfr. sostanzialmente, in tal senso, Cass. n. 1093072022);
1.13 alteris verbis, l’atto di appello deve contenere tutte le argomentazioni volte a confutare le ragioni poste dal primo giudice a fondamento della propria decisione, non essendo al riguardo ammissibile che l’esposizione delle argomentazioni venga rinviata a successivi momenti o atti del giudizio, ovvero addirittura al deposito della comparsa conclusionale (cfr. n. 1924 del 2011; Cass. n. 6396 del 2004; Cass. n. 10401 del 2001), conseguentemente, nemmeno poteva considerarsi sorto il potere-dovere della Giudice d’appello di pronunciarsi sulla questione di cui è denunciato l’omesso esame;
2.1 con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia nullità della sentenza <<per irriducibile contraddittorietà e illogicità>> avendo la Commissione Tributaria Regionale, da una parte, escluso che l’immobile di via D’Albertis 2/1 potesse ritenersi quale residenza del Parroco, risultando, invece, non contestata la residenza in altro immobile, e dall’altra ritenuto applicabile l’esenzione d’imposta per l’immobile di via Vitale 5/9, quale abitazione del Vice Parroco;
2.2 la censura va parimenti disattesa;
2.3 come già affermato da questa Corte in relazione a controversia tra le medesime parti (cfr. Cass. n. 34451/2021), ai fini dell’applicazione dell’esenzione prevista dall’art. 7, comma primo, lett. d), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, a favore dei fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto e delle loro pertinenze, il rapporto pertinenziale tra la chiesa parrocchiale ed una casa sita nei pressi della stessa e destinata ad abitazione del parroco presuppone una verifica in ordine alla persistenza dell’effettiva destinazione, in quanto il rapporto pertinenziale può ben essere risolto anche da comportamenti concludenti (cfr. Cass. n. 11437/2010);
2.4 va inoltre menzionata la sentenza, di questa Corte n. 11437 del 12 maggio 2010, che ha analizzato il caso di due immobili adiacenti ad una Parrocchia che, ancorché destinati a dimora abituale del parroco (con decreto dell’Arcivescovo), negli anni oggetto di contestazione non erano stati utilizzati in conformità alla loro destinazione pertinenziale, avendo il parroco assunta la residenza in altro luogo
2.5 è stato dunque ritenuta «incongrua la decisione dei giudici di merito che …(avevano)… ritenuto ricorrente nella specie il rapporto di pertinenzialità fra le case di abitazione e la Chiesa sulla scorta di un risalente atto di destinazione dell’autorità ecclesiastica senza verificare se negli anni in riferimento quella destinazione fosse stata realizzata. Nella sua assolutezza, l’affermazione che “l’utilizzo o meno della casa canonica come dimora abituale del parroco non è da ritenere rilevante ai fini del rapporto pertinenziale” non è condivisibile, perché il rapporto pertinenziale può essere risolto anche da comportamenti concludenti, ed il fatto che l’abitazione del parroco sia stata trasferita altrove non solo saltuariamente, ma (almeno) per due anni interi, non potrebbe non aver comportato la cessazione della destinazione degli immobili abitativi alla funzionalità dell’edificio di culto»;
2.6 ne consegue che, in difetto di ulteriori elementi di prova, che dovevano essere forniti dalla contribuente, la circostanza, non contestata, della residenza del Parroco in altro immobile sito nello stesso Comune di Genova, escludeva l’applicazione della richiesta esenzione;
3.1 con il quarto motivo la ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti circa gli immobili indicati anche nei motivi di ricorso dianzi illustrati, con riguardo alla dedotta abitazione del Parroco in via D’Albertis 2/1 ed alla sussistenza dei presupposti fattuali per la richiesta esenzione ICI con riguardo agli immobili di via Vitale 7 e di piazza Martinez 26e e 27r;
3.2 le censure vanno respinte sulla scorta di quanto dianzi illustrato per il rigetto dei prime tre motivi di ricorso, con conseguente effetto assorbente;
4. in conclusione, il ricorso va integralmente respinto;
5. le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.700,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge (se dovuti).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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