Corte di Cassazione ordinanza n. 33092 depositata il 9 novembre 2022
litisconsorzio necessario – società di fatto
ritenuto che:
dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata nonché dagli atti di causa si evince che: L.M., quale partecipante, e L.F., quale partecipante e legale rappresentante della comunione ereditaria Azienda Agricola C.C. V., avevano proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento emesso in relazione ad una vendita di vino non riconducibile all’attività della comunione ereditaria, ma al solo L.G., anch’egli facente parte della medesima comunione ereditaria; la Commissione tributaria provinciale di Pisa aveva accolto il ricorso; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale della Toscana ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che fossero tassabili in capo ad un ente le somme entrate nella disponibilità del medesimo, non assumendo rilevanza, ai fini fiscali, la circostanza che le suddette somme fossero state, poi, distratte dal legale rappresentante a proprio vantaggio, riguardando solo il rapporto tra l’ente ed il proprio legale rappresentante;
avverso la suddetta pronuncia L.F., quale partecipante e legale rappresentante della comunione ereditaria Azienda Agricola C.C. V., nonché L.M., quale partecipante della medesima comunione ereditaria, hanno quindi proposto ricorso per la cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato con successiva memoria, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso, illustrato con successiva memoria;
considerato che:
con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 14, legge n. 537/1993, come interpretato dall’art. 36, comma 34bis, d.l. n. 223/2006 e dell’art. 627, cod. pen.;
ai fini della definizione del presente giudizio, deve essere rilevato, in via preliminare ed assorbente, il difetto di litisconsorzio originario sin dal primo grado di giudizio;
dal contenuto del ricorso si evince che la pretesa dell’amministrazione finanziaria aveva avuto riguardo a maggiori Irperf, Iva e Irap, relative all’anno di imposta 2006, in conseguenza della vendita, da parte dell’Azienda Agricola C.C. V., di una rilevante partita di vino in favore della società C. s.p.a., presso la quale la merce era stata rinvenuta, in quanto era stata omessa la relativa fatturazione;
nel ricorso, inoltre, si evidenzia che, a seguito della successione degli eredi nella titolarità della suddetta azienda agricola, si era costituita tra di essi una comunione ereditaria avente ad oggetto la medesima azienda agricola, e gli eredi avevano stabilito che la conduzione materiale dell’attività era stata affidata all’attuale ricorrente L.F.;
nel ricorso, inoltre, è stato precisato che, proprio con riferimento alla vendita della partita di vino in contestazione, i partecipanti alla comunione ereditaria avevano invece concordato di volere disporre la vendita in favore della società Ruffino s.p.a. e che la sentenza di primo grado aveva accertato che il comportamento di uno dei partecipanti alla comunione era “in contrasto con la maggioranza dei comunisti”; va quindi osservato, in generale, che il decesso del titolare di un’impresa determina la cessazione dell’impresa individuale e il sorgere di una comunione ereditaria, la quale assume i caratteri della società di fatto con l’esercizio in comune, fra gli eredi, dell’attività commerciale;
la stessa, in particolare, è individuabile in quella società che nasce implicitamente da un comportamento delle parti che realizzi, nei contenuti, i presupposti di cui all’art. 2247, cod. civ., cioè l’affectio societatis, il conferimento di beni o servizi in comune per l’esercizio dell’attività economica nonché l’alea dei guadagni e delle perdite;
la sussistenza della suddetta società di fatto è evincibile, nel caso di specie, dalla circostanza che nello stesso ricorso è stato evidenziato che la gestione dell’attività di impresa propria dell’azienda agricola era stata svolta a maggioranza dei partecipanti alla comunione, il che implica, nei confronti di tutti gli eredi, non solo una titolarità dell’azienda, che seguita a far capo alla comunione ereditaria, ma anche una titolarità dell’impresa, che fa capo ai coeredi che scelgono di esercitare in comune l’attività di impresa;
ai fini fiscali, trova applicazione la previsione di cui all’art. 5, Tuir, secondo cui: “1. I redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. (2). 3.Ai fini delle imposte sui redditi: (…) b) le società di fatto sono equiparate alle società in nome collettivo o alle società semplici secondo che abbiano o non abbiano per oggetto l’esercizio di attività commerciali”;
in sostanza, il legislatore ha operato una equiparazione della società di fatto alle società in nome collettivo o alle società semplici, sottoponendole al principio, di cui al primo comma, della imputazione diretta al socio dei redditi prodotti in forma associata;
la applicazione della suddetta disciplina al caso di specie ha conseguenze ai fini della valutazione della integrità del contraddittorio sin dal primo grado di giudizio;
poiché l’avviso di accertamento ha avuto riguardo ad una pretesa che atteneva alla contestazione del reddito da imputare a ciascun socio, tutti i partecipanti alla comunione ereditaria, esercenti l’attività in forma di impresa, dovevano essere parti del giudizio, ciò a prescindere dalle ragioni di contestazione dell’atto impositivo, quindi dalla deduzione, da parte dei ricorrenti, che la merce era stata sottratta dall’altro partecipante che aveva, autonomamente ed in dissenso dalla maggioranza dei soci, provveduto alla vendita dei beni ed incassato i proventi;
si deve, quindi, fare applicazione di quanto costantemente precisato da questa Corte, in particolare del principio che: “In materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio.” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 14815 del 04/06/2008);
nel medesimo senso, si è quindi detto che “In tema di contenzioso tributario, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci comporta, in linea di principio, la configurabilità di un litisconsorzio necessario, con il conseguente obbligo per il giudice, investito dal ricorso proposto da uno soltanto dei soggetti interessati, di procedere all’integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, pena la nullità assoluta del giudizio stesso, rilevabile – anche d’ufficio – in ogni stato e grado del processo.” (Cass. civ., 14 marzo 2022, n. 8211);
ne consegue che al presente giudizio avrebbe dovuto partecipare, sin dal primo grado di giudizio, anche l’altro socio di fatto, con la conseguenza che la sua mancata partecipazione comporta la non integrità del contraddittorio, con conseguente nullità del processo; pertanto, pronunciando sul ricorso, va dichiarata la nullità dell’intero giudizio per violazione del litisconsorzio necessario, con rimessione delle parti davanti alla Corte di giustizia di primo grado di Pisa per l’integrazione del contraddittorio nei confronti di L.G., nella sua qualità, nonché per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte:
pronunciando sul ricorso, dichiara la nullità dell’intero giudizio, cassa la sentenza impugnata e rimette le parti, anche per le spese, davanti alla Corte di giustizia di primo grado di Pisa per l’integrazione del contraddittorio nei confronti di L.G., nella sua qualità.