Corte di Cassazione ordinanza n. 33097 depositata il 9 novembre 2022
Accise – sanzioni – la nozione di forza maggiore, in materia tributaria e fiscale, comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi – mancanza di motivazione
RITENUTO CHE
1. Con sentenza del 23 marzo 2018, la Commissione tributaria regionale di Torino ha accolto l’appello principale (rigettando l’appello incidentale della società contribuente) proposto dall’ Agenzia delle Dogane e dei Monopoli avverso la sentenza n. 233/6/16 della Commissione tributaria provinciale di Alessandria, che aveva ritenuto fondato il ricorso proposto dalla società contribuente, ritenendo sussistente la causa di non punibilità di forza maggiore di cui all’art. 6, comma 5, del decreto legislativo n. 472/1997, in relazione all’accertamento dell’omesso versamento dell’accisa dovuta per i prodotti alcolici immessi in consumo nel mese di ottobre 2014 per un importo di euro 65.375,07; per i prodotti alcolici immessi in consumo nella prima metà del mese di dicembre 2014 per un importo di euro 64.132,22 e per i prodotti alcolici immessi in consumo nella seconda metà del mese di dicembre 2014 per un importo di euro 60.497,40.
2. La Commissione tributaria regionale, sulla sussistenza della forza maggiore come scriminante ai sensi dell’art. 6 del decreto legislativo n.472/1997, ha affermato che le oggettive difficoltà economiche dell’azienda, da cui derivava l’inadempimento degli obblighi tributari, rientravano nell’ordinario rischio di impresa e non assumevano i connotati di evento eccezionale; che la forza maggiore poteva costituire motivo di giustificato impedimento ad assolvere l’obbligo di tempestivo pagamento dei tributi solo in caso di eventi calamitosi (riconosciuti come tali da decreti ministeriali sospensivi dei termini di pagamento o che avevano previsto la rimessione in termini per il versamento delle imposte senza applicazione di sanzioni) o fatti di terzi; la carenza di liquidità di per sé non legittimava il ritardo nel pagamento dell’accisa, non potendosi rimettere alla discrezionalità del contribuente la scelta di adempiere agli obblighi di versamento delle imposte nei tempi ritenuti più opportuni senza incorrere in alcuna sanzione; anche l’indirizzo giurisprudenziale prevalente era nel senso che, in materia di violazioni tributarie, la crisi di liquidità e carenza di mezzi finanziari, il dissesto o la decozione, comportanti la materiale impossibilità di versare i tributi, non erano idonei a giustificare l’inadempimento in quanto rientravano nell’ordinario rischio di impresa e non costituivano forza maggiore; la mancanza di liquidità nell’esercizio di un’attività d’impresa era evento possibile e prevedibile, riconducibile pur sempre alla condotta dell’imprenditore e imputabile alla sua capacità di valutazione dei fattori economici; neppure poteva invocarsi la forza maggiore quando il mancato pagamento dei tributi alle scadenze di legge configurava una situazione di illegittimità.
3. I giudici di secondo grado, poi, per quel che rileva in questa sede, hanno ritenuto infondato il secondo motivo dell’appello incidentale proposto dalla società contribuente, avente ad oggetto la manifesta sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferiva e la sanzione irrogata, poiché la sanzione irrogata era stabilita dall’art. 13 del decreto legislativo n. 472/1997 in misura fissa, pari al trenta per cento del tributo non versato e versato in ritardo rispetto al termine di legge; si trattava, dunque, di una sanzione applicabile in un ammontare fisso e proporzionale al tributo, in misura predeterminata dal legislatore, senza spazio alcuno per valutazioni soggettive e apprezzamenti discrezionali, a differenza di quanto avveniva per le ipotesi in cui la determinazione della sanzione era fissata tra un minimo e un massimo, graduabile sulla base di parametri oggettivi e soggettivi relativi all’illecito commesso.
4. La Distilleria C. C. B. & C. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.
5. L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli resiste con
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 6, comma 5, del decreto legislativo n. 472/1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in considerazione del fatto che la Commissione tributaria, con affermazione apodittica, aveva ritenuto, in contrasto con la ratio legis della norma richiamata, che la difficoltà economica non rientrava nell’ambito applicativo dell’art. 6, citata, mentre il legislatore aveva individuato, con formula elastica, il concetto di «forza maggiore», intendendo così rimettere all’interprete la valutazione, con un giudizio da affrontare in concreto e sulla base delle effettive circostanze fattuali.
1.1 Il motivo è infondato, dovendosi richiamare, sul punto, il principio statuito da questa Corte secondo cui «In tema di accise, la sussistenza di una situazione di illiquidità o di crisi aziendale non costituisce, di per sé, forza maggiore, ai fini dell’operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 6, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997, essendo invece necessaria la sussistenza di un elemento oggettivo, costituito da circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, correlato al dovere del contribuente di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, mediante l’adozione di misure appropriate, pur senza incorrere in sacrifici eccessivi» (Cass., 22 marzo 2019, 8175).
Questa Corte, nella sentenza richiamata, ha affermato che:
-con riguardo alla materia dell’IVA (Cass., 22 settembre 2017, n. 22153) e con affermazione estesa anche alla materia, pure comunitarizzata, delle accise (Cass., 8 febbraio 2018, n. 3049), il concetto di forza maggiore, richiamato dalla norma in esame deve interpretarsi in modo conforme a quello elaborato dalla giurisprudenza eurounitaria;
-quest’ultima ha chiarito che la nozione di forza maggiore, in materia tributaria e fiscale, comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (Corte di Giustizia, C/314/06, punto 24, nonché Corte di Giustizia, 18 gennaio 2005, causa C-325/03 P, Zuazaga Meabe/UAMI, punto 25);
– non rilevano, dunque, necessariamente circostanze tali da porre l’operatore nell’impossibilità assoluta di rispettare la norma tributaria bensì quelle anomale ed imprevedibili, le cui conseguenze, però, non possono essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso (Corte di Giustizia, 15 dicembre 1994, causa C-195/91 P, Bayer/Commissione, punto 31, nonché Corte di Giustizia, 17 ottobre 2002, causa C-208/01, Parras Medina, punto 19);
sotto il profilo naturalistico, infine, la forza maggiore si atteggia come una causa esterna che obbliga la persona a comportarsi in modo difforme da quanto voluto, di talché essa va configurata, relativamente alla sua natura giuridica, come una esimente poiché il soggetto passivo è costretto a commettere la violazione a causa di un evento imprevisto, imprevedibile ed irresistibile, non imputabile ad esso contribuente, nonostante tutte le cautele adottate.
1.2 Tanto premesso, la Commissione tributaria regionale, nel caso in esame, in relazione al procedimento di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta di forza maggiore, ha correttamente applicato i superiori principi, affermando, peraltro con alcune autonome ragioni del decidere che non sono state censurate, che le oggettive difficoltà economiche dell’azienda, da cui derivava l’inadempimento degli obblighi tributari, non rientravano nell’ordinario rischio di impresa e non assumevano i connotati di evento eccezionale; che non sussistevano eventi calamitosi, riconosciuti come tali da decreti ministeriali sospensivi dei termini di pagamento o che avevano previsto la rimessione in termini per il versamento delle imposte senza applicazione di sanzioni, o fatti di terzi rilevanti ai fini del riconoscimento della forza maggiore; che non poteva essere rimesso alla discrezionalità del contribuente la scelta di adempiere agli obblighi di versamento delle imposte nei tempi ritenuti più opportuni senza incorrere in sanzione alcuna e che, in ogni caso, la mancanza di liquidità nell’esercizio di un’attività d’impresa era evento possibile e prevedibile, riconducibile pur sempre alla condotta dell’imprenditore e imputabile alla sua capacità di valutazione dei fattori economici, non potendosi configurare la forza maggiore in una situazione (illegittima) di mancato pagamento dei tributi alle scadenze di legge.
2. Il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., non avendo la sentenza impugnata preso in considerazione le ragioni della società ricorrente tese a spiegare che effettivamente (non) era venuta a sussistere la causa di forza maggiore, alle pagine 6 e 7 del ricorso di primo grado e alle pagine 7 e 8 delle controdeduzioni rese nel giudizio di secondo grado (riportate alle pagine 6 e 7 del ricorso per cassazione).
2.1 Il motivo è infondato.
2.2 In proposito, va richiamato il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili, restando, in ogni caso, esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (Cass., 18 settembre 2009, n. 20112), mentre nel caso in esame, la motivazione è, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne il percorso logico, con riferimenti specifici e puntuali al rapporto tributario in contestazione e richiamando espressamente, a pagina 1 della sentenza impugnata, le difese svolte relativamente alla situazione di grave illiquidità in cui versava la società contribuente al tempo in cui avrebbe dovuto far fronte al pagamento delle accise per i mesi di ottobre e dicembre 2014, situazione di oggettiva impossibilità di puntuale adempimento, tale da giustificare la condotta omissiva.
Non sussiste, pertanto, il dedotto vizio di nullità della sentenza per motivazione apparente.
3. Il terzo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 7 del decreto legislativo 472/1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., non avendo la Commissione proceduto a valutare le circostanze che rendevano oggettiva la sproporzione, limitandosi ad affermare che detta norma non era riferibile alle sanzioni per omesso versamento in quanto queste erano applicabili in un ammontare fisso e proporzionale al tributo, in misura predeterminata dal legislatore, senza spazio alcuno per valutazioni soggettive ed apprezzamenti discrezionali; l’art. 7 citato non aveva nulla a che vedere con le norme che prevedevano le sanzioni, essendo invece una norma speciale che consentiva all’Ente di scendere al di sotto dei minimi previsti dalla legge quanto ci si trovava in presenza di sproporzione tra l’entità del tributo e la sanzione.
3.1 Il motivo è fondato.
3.2 L’art. 7, comma 4, del decreto legislativo 18 dicembre 1992, n. 472, recante «Criteri di determinazione della sanzione», nella versione applicabile ratione temporis, prima della modifica dall’ 16, comma 1, lett. c), n. 2), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2016, ex art. 32, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 158/201) dispone che: «qualora concorrano eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo».
3.3 Questa Corte, in proposito, ha espresso il principio che «In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, la disposizione contenuta nel comma quarto dell’art. 7 del d. lgs 18 dicembre 1997, n. 472 – che consente di ridurre la sanzione fino alla metà del minimo, quando concorrono eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione stessa – si applica, in mancanza di specifiche eccezioni, ad ogni genere di sanzioni, comprese quelle che la legge stabilisce in misura proporzionale o fissa, dovendosi in tal caso considerare che il minimo ed il massimo si identificano in detta misura fissa o proporzionale» (Cass., 13 dicembre 2017, 29998; Cass., 4 marzo 2011, n. 5209).
Inoltre, la Corte ha affermato che «Ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro questa forbice, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, di modo che la Corte di cassazione non può censurare la statuizione adottata ove tali limiti siano stati rispettati (Cass. 17 aprile 2013, n. 9255; 8 febbraio 2016, n. 2406). Ed a maggior ragione il principio vale in relazione all’apprezzamento, tipicamente di merito (in termini, vedi Cass. 4 marzo 2011, n. 5209), in ordine alla ricorrenza delle eccezionali circostanze contemplate dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 472/97» (Cass., 9 giugno 2017, n. 14406).
3.4 Ciò posto, i giudici tributari non hanno fatto corretta applicazione dei principi enunciati, avendo affermato che, poiché si trattava di una sanzione applicabile in un ammontare fisso e proporzionale al tributo, non sussisteva alcuno spazio per valutazioni soggettive e apprezzamenti discrezionali e ciò diversamente dall’ipotesi in cui la determinazione della sanzione era fissata tra un minimo e un massimo graduabile sulla base di parametri oggettivi e soggettivi relativi all’illecito commesso.
4. In conclusione, il terzo motivo va accolto e il primo e il secondo motivo vanno rigettati; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta il primo e il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
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