Corte di Cassazione ordinanza n. 33244 depositata il 10 novembre 2022
momento impositivo di una plusvalenza – compravendita
RILEVATO CHE
1. Z.R. e P.Z. ricorrono, con due motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di rigetto dell’appello proposto dalle stesse contribuenti avverso la sentenza n. 223/2014 emessa dalla Commissione tributaria di primo grado di Trento.
2. Il Giudice di primo grado rigettò l’impugnazione dei provvedimenti di diniego avverso le istanze di rimborso presentate dalle contribuenti relative alla presunta maggiore Irpef (pari, rispettivamente ad euro 70.067 ed euro 70.950) corrisposta in relazione al modello unico 2008, per il periodo di imposta 2007.
3. Dagli atti di causa emerge che il recupero a tassazione, effettuato dall’Agenzia delle entrate, originava dalla cessione di partecipazione sociale tra i coniugi Z.R. e P.P. (di cui P.Z. è l’erede) e la società N. r.l. (cessionaria), per il corrispettivo di euro 775.000,00, di cui euro 100.000,00 in contanti e, per il rimanente, con cessione di immobile da edificare del valore di euro 675.000,00, da ultimarsi entro il 31/12/2010. Nella dichiarazione dei redditi presentata per il periodo di imposta 2007, Z.R. e Piergiorgio Pedron, indicavano nel quadro riguardante “Plusvalenze derivante dalla cessione di partecipazione qualificate”, il prezzo di euro 775.000,00. Successivamente, presentarono istanza di rimborso per la maggiore Irpef corrisposta in relazione al modello unico 2008, presentato per il periodo di imposta 2007, assumendo che erano successivamente intervenuti degli accordi di rettifica tra le parti in cui si concordava la riduzione del prezzo da pagare alla società cessionaria per euro 362.500,00.
3. Le contribuenti proposero appello avverso la sentenza di primo grado che veniva rigettato dalla Commissione di secondo grado di Trento sull’assorbente considerazione secondo cui «[…] la plusvalenza fiscalmente rilevante collegata alla cessione di un’azienda si realizza al momento della conclusione del contratto mentre non hanno rilievo alcuno le vicende successive, relative all’adempimento degli obblighi contrattuali o all’estinzione dell’obbligazione per effetto di una transazione con carattere novativo, ovvero di un negozio di risoluzione del precedente contratto per mutuo dissenso.».
4. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso
5. Z.R. e P.Z. hanno presentato memoria ex 380 bis -1, cod. proc. civ.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo di ricorso – così rubricato: «violazione e/o falsa applicazione dell’art 38 del P.R. 602/73 in relazione agli articoli 67 e ss. TUIR e 1363 c.c. alla luce del principio di legalità dei tributi e delle attività della PA oltre che di proporzionalità ex artt. 23, 52 e 97 della Costituzione» – si denuncia l’erronea interpretazione dell’articolo 38 d.P.R. del 29 settembre 1973 n. 602 che, se interpretato alla luce dei principi costituzionali avrebbe consentito ai giudici di merito, attraverso la disamina dei documenti prodotti da parte contribuente, avrebbe consentito di giungere alla conclusione che l’arricchimento, determinante plusvalenza, non si è realizzato al momento della stipula del contratto di cessione delle quote, ma successivamente a seguito degli accordi in cui il prezzo era stato ridotto. Assumono le ricorrenti che la Commissione di secondo grado avrebbe errato nella parte in cui ha affermato che «la plusvalenza fiscalmente rilevante collegata alla cessione di azienda si realizza al momento della conclusione del contratto», in quanto l’articolo 67 t.u.i.r. prevede che, nei casi di dilazione e rateazione del pagamento del corrispettivo, le plusvalenze devono essere calcolate con riferimento alle somme percepite nel periodo d’imposta; imputano, altresì, alla Commissione di secondo grado, l’errore di avere individuato nella stipulazione del contratto di cessione di partecipazione il momento determinativo della plusvalenza, deducendo che, invece, nell’interpretazione contrattuale, avrebbero dovute essere considerate sia le clausole contrattuali, che gli altri documenti necessari alla loro interpretazione.
1.2. Col secondo mezzo – così rubricato: «violazione e/o falsa applicazione dell’art 38 del d.lgs. 546 del 1992, art. 21, comma 2, in relazione agli artt. 1372, comma 2 e 1362 c.c.; oltre che violazione e falsa applicazione del principio iura novit curia dell’art. 113 del codice di procedura civile» – si censura la sentenza impugnata (a) nella parte ha ritenuto che la parte contribuente non poteva invocare il principio dell’emendabilità della dichiarazione, ex art. 38, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, in quanto il presupposto dell’istanza di rimborso è costituito da un errore materiale e non da una scelta volontaria del contribuente, senza considerare che, invece, la dichiarazione dei redditi è una dichiarazione di scienza e come tale sempre emendabile; (b) nella parte in cui ha ritenuto rettamente applicato l’art. 1372 cod. civ. (secondo cui gli accordi sopravvenuti rispetto all’atto produttivo della plusvalenza sono inopponibili ai terzi e, quindi, all’Erario), mentre, al contrario, se avesse indagato, ex art. 1362 cod. civ., sulla comune intenzione della parti, anche successiva alla stipula del contratto, avrebbe compreso che trattavasi di contratto di cessione condizionato sospensivamente (richiama all’uopo la clausola contenuta nell’ art. 3 del contratto dell’8/07/2007, secondo cui «la società N. s.r.l. attraverso l’acquisto di interni Pedron s.r.l. possa sfruttare in proprio, nel PA 23° del Comune di Cles le relative potenzialità sopra descritte») per cui l’imposta doveva applicarsi al momento del verificarsi della condizione; (c) anche qualora avesse voluto interpretare la rettifica dell’originario accordo inter partes quale fonte di un fatto nuovo, avrebbe dovuto trarre conclusioni a favore di parte contribuente, in quanto ai fini del rimborso dei versamenti per imposte non dovute, ove il diritto al rimborso sia sorto in epoca successiva al versamento, è applicabile l’art. 21 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, secondo il quale l’istanza di rimborso può essere presentata entro due anni.
2. Il ricorso, per le ragioni di seguito esposte, non può essere accolto.
2.1 Come rilevato nella parte narrativa, la controversia origina dalla plusvalenza scaturente dal contratto, concluso in data 8 agosto 2007, in cui Z.R. e Piergiorgio Pedron cedevano, alla società N. r.l., le quote di partecipazione sociale della Interni Pedron s.r.l. dietro pagamento, regolato in parte in denaro (euro 100.000,00) ed in parte in cessione di immobile da edificare (euro 675.000,00).
Le contribuenti hanno presentato istanza di rimborso assumendo che, come da contratto, il momento impositivo andasse individuato nell’anno in cui si era realizzato l’effetto obbligatorio, ovvero quando la parte cedente (Interni Padron s.r.l.) avesse acquistato la proprietà della cosa (immobile da edificare del valore di euro 675.000,00).
E’ pacifico, oltre che accertato dalla sentenza qui impugnata, che, in data 21 marzo 2012, è intervenuto accordo di rettifica tra le parti in cui si concordava la riduzione del prezzo da pagare, da parte cessionaria, ad euro 362.500,00. E’, altresì, dato pacifico che l’accordo del 21 marzo 2012 non menzionava le ragioni della modifica contrattuale e che, nella dichiarazione dei redditi per l’anno di posta 2007, parte contribuente dichiarava l’intero prezzo concordato dalla cessione dell’8 agosto 2007.
2.2 La Commissione di secondo grado ha rigettato l’appello di parte contribuente in base all’interpretazione delle clausole contrattuali dell’ 8 agosto 2007 e del 21 marzo 2012, per la quale ha ritenuto prive di pregio le tesi di parte contribuente sulla natura del contratto (permuta di cosa futura) e sull’esistenza di una condizione sospensiva (art. 3 contratto dell’8/07/2007), in quanto contrastanti con la univoca volontà espressa dalle parti tesa ad effettuare una vendita i cui effetti obbligatori non sono stati differiti nel tempo, o sottoposti a condizione, ma si sono verificati all’atto della conclusione del contratto, con “modalità di corresponsione del prezzo” differite successivamente.
In altri termini, nell’interpretare la comune intenzione delle parti, quale risultante dalle pattuizioni espresse in contratto (artt. 1362 e ss. cod. civ.), i giudici di secondo grado hanno qualificato il contratto di cessione di cui trattasi come un normale contratto di vendita, ovvero di un contratto consensuale (che si perfeziona, cioè, col consenso delle parti) ad efficacia reale non differita, ma immediata, ove le parti hanno inteso indicare apposite modalità di determinazione del corrispettivo che, tuttavia, non hanno inciso sugli elementi costitutivi del contratto stesso.
In base a tale qualificazione, i giudici di secondo grado hanno, dunque, ritenuto l’inefficacia, ex art. 1372 cod. civ., nei confronti dei terzi (Fisco), degli accordi intervenuti inter partes.
3. Orbene, a fronte di tale opera ermeneutica, le censure di parte ricorrente tese a dimostrare l’esistenza di un indebito oggettivo, avente la sua fonte nelle pattuizioni successive all’atto di vendita con il quale è stato ridotto il prezzo del trasferimento, appaiono, in realtà, riguardare l’interpretazione – che si assume erronea – che il giudice di merito ha dato del contratto originativo dell’asserito indebito.
3.1 Tale essendo il chiaro tenore dei entrambi i motivi di ricorso, essi risultano inammissibili essendo principio assolutamente pacifico (ex plurimis, , 15/11/2017, n. 27136; Cass., 09/04/2021, n. 9461; Cass., 04/04/2022, n. 10754) che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, ovvero per vizi di motivazione, qualora la sentenza impugnata risulta contraria alla logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo, riservato al giudice di legittimità, del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.
E’ principio altrettanto pacifico che il motivo di ricorso che voglia censurare la violazione dei canoni interpretativi da parte del giudice di merito non può limitarsi a riferirsi alle regole generali di interpretazione ma deve necessariamente specificare, in rispetto del principio di autosufficienza, i canoni in concreto violati precisando il modo e le considerazioni attraverso quali giudice se ne è discostato anche raffrontando le statuizioni della sentenza impugnata con il testo integrale della regolamentazione pattizia o della parte in contestazione e senza limitarsi ad una mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (v. Cass., 28/11/2017, 28319).
3.2 Nel caso in esame, la parte ricorrente propone censure che tendono a rimettere in discussione l’opera ermeneutica riservata al giudice di merito – che appare, invero, logica e coerente in tutto il suo sviluppo argomentativo – senza, però, dedurre specificamente la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale cui i secondi giudici sarebbero incorsi e senza contrapporre specifiche censure al metodo ermeneutico da questi adottato, risolvendosi, così, tutto l’impianto difensivo, ad una mera contrapposizione tra l’interpretazione che parte contribuente vuole dare al contratto e quella accolta nella sentenza
4. Va aggiunto, sul piano squisitamente fiscale, che l’impostazione difensiva delle contribuenti è del tutto fuori centro, atteso che persino nel caso in cui la vendita sia realizzata con patto di riservato dominio, il guadagno è immediatamente tassabile, a nulla rilevando il mancato pagamento delle rate. E’, infatti, opinione unanime, sia in dottrina che in giurisprudenza, che il presupposto per la realizzazione di una plusvalenza deve essere individuato nella stipulazione del contratto, sulla base sia della natura intrinseca e della configurazione giuridica dell’atto che opera il trasferimento del bene – prescindendo dalla natura delle clausole inserite nell’atto stesso quando siano estranee agli elementi essenziali del tipo di contratto concluso -, sia dell’onerosità del negozio posto in essere, circostanza che ne determina la tassabilità (conf. Cass., n. 20098, resa all’udienza del 16/11/2012; Cass., 23/02/2011 n. 4366; Cass., 19/12/2008 n. 29745; Cass., 22/02/2004 n. 3370 e Cass., 15/02/2002, n. 2807).
4.1 Pertanto, se il contratto realizza una compravendita (qualificazione data, nella specie, dalla Commissione di secondo grado), per il cui perfezionamento è sufficiente il consenso delle parti, la sola stipula del contratto costituisce il presupposto richiesto dalla legge ai fini dell’imposizione sulle plusvalenze, a nulla rilevando il mancato pagamento del corrispettivo pattuito o la risoluzione dello stesso contratto per mutuo dissenso (conf., , 19/12/2008, n. 29745 cit., Cass., 09/01/2019 n. 348; Cass., 07/06/2018 n.14848; Cass., 03/10/2018 n. 23997 quest’ultima, sulla irrilevanza, ai fini della plusvalenza, delle clausole di retrodatazione).
4.2 Da qui l’inopponibilità al fisco degli accordi modificativi del 2012.
5. Il ricorso va, dunque, rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza di parte ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessivi euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.