CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 33949 depositata il 5 dicembre 2023
Lavoro – Differenze sul TFR – Risarcimento del danno pensionistico – Cosiddetto “trattamento estero” sul TFR – Indennità estero – Trattamenti economici aggiuntivi corrisposti al lavoratore – Base di calcolo del TFR – Rigetto
Rilevato che
1. la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, definitivamente pronunciando sull’appello principale proposto da A.V. e su quello incidentale di Unicredit Spa, nel contraddittorio con l’INPS, ha – per quel che qui ancora rileva – rideterminato “in complessivi euro 190.833,31, oltre accessori, le differenze dovute sul TFR”, condannando la società al pagamento in favore del dirigente della eccedenza rispetto a quanto già corrisposto; ha inoltre condannato Unicredit Spa: “a) al versamento a favore dell’INPS dei contributi relativi al periodo dal giugno del 2008 al marzo del 2011, pari ad euro 64.304,12 oltre accessori; b) al pagamento in favore di A.V. della somma di euro 848.996,40 a titolo di risarcimento del danno pensionistico, oltre accessori”; ha confermato nel resto la sentenza di primo grado;
2. la Corte territoriale, esaminando i motivi contrapposti di impugnazione relativi alla computabilità del c.d. “trattamento estero” sul TFR, in estrema sintesi ha condiviso con il primo giudice l’inclusione nella base di calcolo della voce “indennità estero”, mentre, riformando la decisione di primo grado sul punto, ha ritenuto computabile nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto anche le voci “indennità costo della vita” e “indennità di alloggio”, anche sulla scorta di precedenti di legittimità;
3. in accoglimento, poi, del gravame proposto dal Voller e dall’INPS, la Corte romana ha disatteso l’assunto del Tribunale secondo cui “nel periodo di continuativa permanenza all’estero (aprile 2001/aprile 2010), rilevante ai fini della pensione retributiva del Voller, la base impositiva dei contributi doveva essere regolata sulla cd. retribuzione convenzionale di cui al comma 8 bis dell’art. 51 del TUIR (le retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale), di talché erano corretti i versamenti effettuati da Unicredit in forza di tale disciplina e nessuna omissione o danno pensionistico si erano verificati”; la Corte ha richiamato a sostegno della riforma Cass. n. 14526 del 2018;
4. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Unicredit Spa con quattro motivi; non hanno svolto attività difensiva gli intimati Voller e INPS;
la parte ricorrente ha comunicato memoria;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Considerato che
1. i primi tre motivi possono essere sintetizzati secondo le rubriche proposte dalla medesima parte ricorrente:
1.1. il primo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c. commi 1 e 2, dell’art. 1362 c.c. e della contrattazione collettiva del settore credito e segnatamente: art. 67 CCNL 27 ottobre 1987; art. 69 CCNL 22 novembre 1990; art. 73 CCNL 22 giugno 1995; art. 28 CCNL 1° dicembre 2000 (dirigenza); art. 28 CCNL 19 aprile 2005; art. 29 CCNL 10 gennaio 2008, così come dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., in ragione del fatto che la sentenza impugnata nega l’esclusione della base di calcolo del TFR, quale prevista dalla legge e dalla contrattazione collettiva, all’intero assegno di sede estera (articolato nelle sue componenti di: indennità costo-vita, indennità di alloggio e indennità di piazza, funzione e rappresentanza ed ogni altra analoga natura) ovvero subordinatamente in alcune delle sue articolazioni. Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 132, co. 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.”;
con esso si contesta l’esclusione dalla base di calcolo dell’intero assegno di sede estera, sulla base sia di considerazioni di ordine generale, sia del disposto della contrattazione collettiva che avrebbe sempre inteso escludere dalla base del TFR, a mente dell’art. 2120 c.c., somme determinate in sede aziendale alla stregua ed in conformità della contrattazione collettiva applicabile e/o, comunque, corrisposte al fine di tenere indenne il prestatore dai maggiori costi che la vita all’estero necessariamente comportava;
1.2. il secondo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per omessa motivazione o per motivazione apparente in ordine alla contestata inclusione dell’indennità ‘costo vita’ nella base di calcolo del TFR; violazione dell’art. 2120 c.c., commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c.”; con esso, anche alla luce delle considerazioni svolte in relazione al precedente motivo, si censura la più circoscritta circostanza che la sentenza gravata ha incluso nella base di calcolo del TFR, non solo le componenti “alloggio” e “piazza”, ma anche l’indennità “costo-vita”, che – a dire della ricorrente – “è quella che più marcatamente (ed inequivocabilmente) mostra il suo carattere di puro indennizzo”;
1.3. il terzo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c. nonché degli artt. 2697, 2729 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., là dove la Corte territoriale abbia inteso ritenere che, pur a fronte della qualificazione della retribuzione di sede estera, quale ritenuta estranea alla base di calcolo dalla contrattazione collettiva, spetti comunque al datore di lavoro dare prova della loro natura non retributiva. Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.”;
con esso si censura la sentenza gravata per aver ritenuto “che, accertata la natura aggiuntiva e non permanente di alcune voci rispetto alla base presa a riferimento ai fini del calcolo del TFR dalla contrattazione collettiva, spetti comunque al datore dare prova della loro natura non retributiva”;
2. tali motivi, che possono essere trattati congiuntamente per reciproca connessione, non meritano accoglimento, in quanto presentano profili di inammissibilità e di infondatezza;
2.1. sono inammissibili laddove contengono promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di plurime disposizioni di legge, sostanziale ma anche processuale, oltre che della disciplina collettiva, talvolta unitamente a vizi di motivazione omessa e apparente, senza adeguata indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 dell’art. 360 c.p.c., così non consentendo un’adeguata identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da […] irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016; Cass. n. 3141 del 2019, Cass. n. 13657 del 2019; Cass. n. 18558 del 2019; Cass. n. 18560 del 2019);
2.2. per il residuo le censure sono infondate, in quanto la Corte territoriale si è pronunciata in coerenza con i princìpi di legittimità sanciti in materia (per tutte v. Cass. n. 8086 del 2016);
l’art. 2120 c.c., comma 2, stabilisce che, salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto comprende tutte le somme, incluso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese; la detta disposizione è chiara nel prescrivere l’assunzione, nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto, di tutto quanto è servito a compensare le prestazioni rese dal lavoratore e non pagate a titolo occasionale, salvo le due eccezioni della diversa previsione del contratto collettivo e del mero rimborso di spese (ex plurimis, v. Cass. n. 10896 del 2008);
2.2.1. l’emolumento può essere ascrivibile alla categoria del rimborso spese, eccettuato secondo la previsione legale dal computo nella base di calcolo del TFR, ove abbia natura meramente riparatoria e costituisca una reintegrazione di una diminuzione patrimoniale, conseguente ad una spesa che il lavoratore sopporta nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, tenuto perciò a riparare la lesione subita, ed è normalmente collegato ad una modalità della prestazione lavorativa, richiesta per esigenze straordinarie, che trova fondamento in una causa autonoma rispetto a quella della retribuzione; si afferma che le erogazioni effettuate dal datore di lavoro hanno la natura di rimborso di spesa quando, non rivestendo i caratteri della continuità e determinatezza (o determinabilità), consistono nella reintegrazione di somme effettivamente spese dal dipendente medesimo nell’interesse dell’imprenditore e non attinenti, perciò, all’adempimento degli obblighi impliciti nella prestazione lavorativa, cui egli è contrattualmente tenuto (tra le altre, Cass. n. 6563 del 2009; Cass. n. 2015 del 1987);
2.2.2. la seconda possibilità di deroga al principio di onnicomprensività è demandata ad una disposizione della contrattazione collettiva che apporti un’eccezione a tale regola in modo non indiretto ma chiaro ed univoco (Cass. n. 2781 del 2008; Cass. n. 19917 del 2011); la deroga in effetti deve riguardare specificamente il trattamento di fine rapporto e non il concetto di retribuzione che ad altri fini sia stata determinata dal contratto collettivo, per cui essa può avere rilevanza solo se espressione di una consapevole volontà di derogare alla disciplina legale del calcolo del trattamento di fine rapporto, escludendo con chiarezza compensi corrisposti in maniera continuativa o non occasionale (Cass. n. 5707 del 2009); inoltre la prova di una norma collettiva che neghi espressamente l’inclusione nel TFR incombe su chi la invochi (v. Cass. n. 15889 del 2004);
2.2.3. in ogni caso è incontrastato che sia devoluto al giudice di merito il compito di accertare se la contrattazione collettiva abbia o no escluso gli emolumenti ai fini del calcolo del TFR, con una interpretazione sindacabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale (Cass. n. 12778 del 2005; Cass. n. 11946 del 2004), ovvero per vizi motivazionali, nei limiti in cui siano denunciabili innanzi a questa Corte secondo le formulazioni del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. tempo per tempo vigenti; così come è pacificamente riservato al giudice del merito l’accertamento della natura retributiva o riparatoria del trattamento economico aggiuntivo al fine di verificare se possa essere ritenuto o meno un rimborso spese (cfr. Cass. n. 23622 del 2010; Cass. n. 8086 del 2010);
2.2.4. tali princìpi sono da tempo applicati nel caso di trattamenti economici aggiuntivi (variamente denominati) corrisposti al lavoratore che, alle dipendenze del datore di lavoro italiano, presti la sua opera all’estero (giurisprudenza risalente: v. Cass. n. 4575 del 1988; Cass. n. 540 del 1995; Cass. n. 14388 del 2000; Cass. n. 14835 del 2009; più di recente: Cass. n. 24032 del 2017; Cass. n. 20011 del 2018); invero dette attribuzioni patrimoniali possono essere previste da pattuizioni collettive e/o individuali, per cui natura e funzione non sono identificabili in astratto né sulla base della mera qualificazione nominalistica offerta dalle parti, ma devono essere di volta in volta individuate sulla base delle circostanze del caso concreto;
in mancanza di una deroga espressa contenuta nella contrattazione collettiva, allo scopo di guidare il giudice nell’accertamento circa la natura di retribuzione o meno di un emolumento aggiuntivo corrisposto al lavoratore per lo svolgimento di lavoro all’estero è stato chiarito che la stessa può essere desunta da indici sintomatici, inclusi quelli emergenti in sede di conclusione del contratto individuale, che hanno valore orientativo: a) la continuità, periodicità ed obbligatorietà della somma corrisposta o del beneficio riconosciuto; b) l’assenza di giustificativi di spesa; c) la natura compensativa del disagio o della penosità della prestazione resa; d) il rapporto di necessaria funzionalità con la prestazione lavorativa; e) la funzione di salvaguardia del livello retributivo e di adeguamento ai maggiori oneri derivanti dal nuovo ambiente di lavoro, assumendo significato, quale ulteriore indice sintomatico della natura retributiva, il prelievo contributivo effettuato, la cui mancanza non può tuttavia deporre nel senso di connotare quale esborso l’indennità riconosciuta e di escluderne la natura retributiva (di recente: Cass. 27534 del 2022; in precedenza, Cass. n. 24594 del 2018 e Cass. n. 21519 del 2018);
trattandosi di una pluralità di elementi fattuali che concorrono a formare il convincimento del giudicante, la selezione e l’apprezzamento della loro rilevanza nella concretezza del caso, oltre che il peso da attribuire alla loro combinazione, spetta al giudice del merito, con una valutazione sottratta al sindacato di legittimità, salvo si deduca e si dimostri che sia stato omesso l’esame di un fatto decisivo che, ove non trascurato, avrebbe condotto con giudizio prognostico di certezza, e non di mera probabilità, ad un esito diverso della lite (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014);
2.3. tanto premesso in diritto, le doglianze della ricorrente non pongono realmente questioni di diritto, ma pretendono una indagine che, secondo la richiamata giurisprudenza, è invece di pertinenza del giudice del merito;
in particolare, la Corte territoriale ha motivato, anche attraverso il riferimento a precedenti di legittimità, sia per escludere che le voci del trattamento estero in contesa fossero riconducibili alla nozione legale di “rimborso spesa“ sia che tali voci potessero essere escluse dal computo del TFR per la disposizione della contrattazione collettiva, più volte sostanzialmente reiterata nel settore del credito, secondo cui vanno esclusi da detto computo i trattamenti “corrisposti ai sensi del capitolo XI del presente contratto e, comunque, corrisposti con finalità similari” (specificamente: Cass. n. 21519 del 2018; conf. Cass. n. 38168 del 2022; su censure di aziende di credito che proponevano la medesima tesi su analogo tenore della disposizione collettiva, cfr. Cass. n. 29286 del 2019; Cass. n. 21383 del 2019; Cass. n. 15124 del 2019; Cass. n. 24875 del 2005; Cass. n. 3278 del 2004);
deve, altresì, escludersi che la motivazione criticata abbia carattere apparente, il che ricorre solo laddove la stessa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016); mentre nella specie è certamente comprensibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per includere gli emolumenti in contesa nella base di computo del TFR e non è sufficiente a determinare la cassazione della sentenza impugnata il diverso avviso di chi è risultato soccombente;
parimenti infondata la denuncia di violazione dell’art. 2697 c.c., atteso che la Corte di Appello non ha affatto alterato criteri di riparto dell’onere probatorio (non decidendo la causa sulla base della regola formale di giudizio ivi prevista) ma, piuttosto, ha espresso il suo convincimento circa la natura degli emolumenti in contesa sulla base degli elementi acquisiti;
3. con il quarto motivo del ricorso la Banca denuncia:
“Violazione e falsa applicazione di legge dell’art. 51 TUIR, comma 8-bis, nonché della legge delega n. 662 del 1996, art. 3, co. 19, che si pone a monte di quel decreto, ex art. 360, n. 3, c.p.c., quale precetto che impone di tenere conto di un valore convenzionale dei redditi prodotti (tassati e consumati) integralmente all’estero, in conformità del principio di piena equiparazione fra imponibile fiscale e contributivo. Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.”;
il motivo è infondato;
la questione devoluta risulta già affrontata e decisa dalla Corte con affermazione del principio secondo cui «Le retribuzioni convenzionali, di cui all’art. 51, comma 8-bis, del T.U.I.R., hanno valenza esclusivamente fiscale. Di conseguenza, i datori di lavoratori che inviano dipendenti in Paesi che hanno sottoscritto accordi internazionali di sicurezza sociale, che consentono il mantenimento della copertura assicurativa in Italia, devono assumere come parametro per la determinazione della base imponibile contributiva le retribuzioni effettivamente corrisposte ai lavoratori all’estero, cui sono correlativamente commisurate, nelle forme e nei modi previsti, le prestazioni dovute»; detto principio, espresso da Cass. n. 17646 del 2016, si è andato consolidando con numerose pronunce (Cass n. 24032 del 2017; Cass. n. 30427 del 2017; Cass. nr. 14526 del 2018; più di recente, in motivazione, v. anche Cass. n. 9809 del 2020 – con la medesima Azienda attuale ricorrente – e n. 6294 del 2022; da ultimo, Cass. n. 31483 del 2022), cui si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dalle quali il Collegio non ravvisa ragione per discostarsi;
4. in conclusione, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso; nulla per le spese in difetto di attività difensiva degli intimati;
tuttavia, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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