CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 34393 depositata l’ 11 dicembre 2023
Lavoro – Licenziamento per giusta causa – Attività extralavorativa in costanza di astensione dal lavoro – Reintegrazione nel posto di lavoro – Pagamento indennità – Accoglimento
Rilevato che
1. con sentenza 16 giugno 2021, la Corte d’appello di Roma ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato per giusta causa il 16 maggio 2017 da L. s.r.l. al proprio dipendente, indicato in epigrafe, per svolgimento di attività extralavorativa in costanza di astensione dal lavoro, condannando la società datrice alla sua reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, di un’indennità pari a otto mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, oltre accessori di legge:
così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece ritenuto legittimo il licenziamento;
2. in esito a critica e argomentata valutazione delle emergenze istruttorie, in particolare della C.t.u. medico – legale, nella sua progressione dalle conclusioni iniziali nella fase sommaria a quelle a chiarimenti nella successiva a cognizione piena del giudizio di primo grado, la Corte territoriale ha accertato la modifica del fatto inizialmente contestato al lavoratore (avere lavorato come cameriere e cassiere presso l’agriturismo della moglie nelle due serate dell’11 marzo 2017 e dell’8 aprile 2017, ritardando così la guarigione dalla distrazione cervico-dorso-lombare procuratasi, nello svolgimento dell’attività lavorativa, con la movimentazione di una bombola metallica il 9 marzo 2017; essere stato assente dalla visita di controllo dell’11 aprile 2017 alle ore 17.05) nel fatto invece ritenuto dal Tribunale, sulla base delle diverse conclusioni del supplemento peritale alla luce delle risultanze istruttorie della fase sommaria. E ciò per la decisiva incidenza sul nesso causale di due circostanze nuove (il mancato utilizzo del lombostato prescritto e il compimento quotidiano di viaggi in auto per raggiungere il ristorante, lungo l’intero arco della malattia di circa due mesi), in violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare;
3. essa ha pertanto ritenuto insussistente il fatto contestato e, sul rilievo dell’assunzione del lavoratore l’11 agosto 2010 da società diversa da quella odierna (nella quale era transitato per passaggio diretto per il cambio d’appalto del 16 maggio 2015), il suo rapporto di lavoro istituito in epoca anteriore al 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del d.lgs. 23/2015): così applicando la tutela reintegratoria attenuata, prevista dal testo novellato dell’art. 18, quarto comma legge n. 300/1970, nell’entità suindicata;
4. con atto notificato il 14 luglio 2021, la società ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi, cui il lavoratore ha resistito con controricorso;
5. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. la ricorrente ha dedotto nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, primo comma, n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost., per avere la Corte territoriale affermato, senza indicarne le fonti giustificative, che il Tribunale avrebbe, recependo la diversa valutazione del C.t.u. nel supplemento peritale, fondato il proprio diverso convincimento su circostanze nuove non contestate, in assenza di un tale riferimento nella decisione del primo giudice e pertanto con motivazione apparente. La medesima ricorrente si è quindi doluta di una pari apparenza dell’ulteriore argomentazione decisoria della Corte di “inesistenza del nesso causale tra la condotta contestata e la compromissione delle garanzie di pronta ripresa del servizio” (primo motivo);
2. esso è fondato;
3. è noto che il vizio di motivazione apparente della sentenza sia denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. – circoscritto dalla sua novellazione con d.l. 83/2012 conv. con mod. in legge n. 134/2012 alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma Cost. (individuabile nelle ipotesi di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà”, di “motivazione perplessa od incomprensibile” e appunto di “motivazione apparente”, che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., dando luogo a nullità della sentenza: Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. 16 aprile 2019, n. 10573) – quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, per l’obiettiva inidoneità delle argomentazioni a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento; sicché, essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. S.U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. 23 maggio 2019, n. 13977; Cass. 1° marzo 2022, n. 6758);
4. nel caso di specie, la Corte d’appello capitolina ha ritenuto:
a) avere il Tribunale accertato la legittimità del licenziamento in riferimento a due “fatti nuovi” – quali il mancato utilizzo, da parte del lavoratore, del lombostato prescritto e il suo compimento quotidiano di viaggi in auto per raggiungere il ristorante, lungo l’intero arco della malattia di circa due mesi (primo capoverso di pg. 5 della sentenza), così “facendo proprie le … nuove conclusioni del CTU” (primo periodo di pg. 5 della sentenza), più sopra illustrate agli ultimi due capoversi di pg. 4) – “e diversi rispetto a quelli contestati” (primo periodo di pg. 7 della sentenza);
b) il rilievo marginale, rispetto a quello preponderante attribuito dal C.t.u. e dallo stesso Tribunale, dell’efficienza causale dell’attività extralavorativa contestata sul ritardo della guarigione (primo capoverso di pg. 7 della sentenza);
c) il “vulnus nella difesa del dipendente”, comportato dalla “mancata contestazione di circostanze fattuali poi considerate ai fini della sanzione espulsiva”, non avendo così egli “avuto modo di giustificare … la propria condotta” (secondo capoverso di pg. 7 della sentenza);
d) l’insussistenza del“la condotta contestata” (avere il lavoratore prestato attività come cameriere e cassiere presso l’agriturismo della moglie nelle due serate dell’11 marzo 2017 e dell’8 aprile 2017), “in quanto non causalmente collegata, con giudizio ex ante, ad alcuna compromissione delle garanzie di pronta ripresa del servizio” (terzo capoverso di pg. 7 della sentenza), con applicazione al “l’impugnato licenziamento illegittimo … per insussistenza del fatto contestato” (quarto capoverso di pg. 7 della sentenza) – in esito ad articolato ragionamento argomentativo sulla data di istituzione del rapporto di lavoro tra le parti (al terz’ultimo e penultimo capoverso di pg. 7 della sentenza) – della tutela reintegratoria attenuata prevista dall’art. 18, quarto comma legge n. 300/1970, come novellato dalla legge n. 92/2012;
5. appare evidente l’intrinseca contraddittorietà tra le concorrenti argomentazioni decisorie adottate dalla Corte territoriale: da una parte, sub a) e c) (di illegittimità del licenziamento per violazione del principio d’immutabilità della contestazione: Cass. 9 luglio 2018, n. 17992; Cass. 10 febbraio 2022, n. 4412); dall’altra, sub b) e d) (di illegittimità del licenziamento per idoneità del nesso causale tra l’attività extralavorativa contestata e il ritardo della guarigione e della conseguente ripresa del lavoro, comportante insussistenza del fatto contestato: Cass. 7 febbraio 2019, n. 3655).
Con un tale incedere argomentativo, la Corte capitolina non è riuscita a far comprendere l’iter logico seguito per la formazione del proprio convincimento, che neppure alla fine è chiarito quale sia stato, sicché la motivazione resa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio seguito;
5.1. tale intrinseca contraddittorietà investe anche la selezione della sanzione, per l’applicazione, in relazione all’insussistenza del fatto contestato, della tutela reintegratoria attenuata, prevista dall’art. 18, quarto comma legge n. 300/1970, come novellato (Cass. 26 aprile 2022, n. 13063, in motivazione sub p.ti da 8 a 8.3), nonostante l’evidente riferimento di quanto ritenuto dalla Corte territoriale (indicato al superiore p.to 4, lett. c), alla violazione di norme di garanzia procedimentale (segnatamente all’art. 7 legge cit.), sanzionata invece in via indennitaria attenuata, a norma dell’art. 18, sesto comma legge cit. (Cass. 9 luglio 2018, n. 17992; Cass. 10 febbraio 2022, n. 4412: entrambe già citate);
6. d’altro canto, il Tribunale neppure ha ritenuto illegittimo il licenziamento del lavoratore, immutando l’addebito contestato, posto che esso risulta averne invece giustificato l’illegittimità sulla base dell’attività extralavorativa contestatagli, semplicemente utilizzando l’integrazione istruttoria (in particolare, il supplemento di C.t.u.) legittimamente disposta in sede di opposizione, senza modificare le circostanze contestate; e pertanto, senza ledere in alcun modo il diritto di difesa del lavoratore (come si evince dalla trascrizione della sentenza dal primo capoverso di pg. 15 al secondo di pg. 16 del ricorso).
Sicché, anche sotto questo profilo, le argomentazioni della Corte territoriale sopra scrutinate paiono obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del proprio convincimento decisorio;
7. la fondatezza del primo motivo comporta allora l’assorbimento di tutti gli altri: violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2104, 2105, 2119 c.c., per il mancato rispetto dei principi di diligenza, fedeltà e leale collaborazione del lavoratore, da parte della Corte territoriale, per avere escluso l’incidenza della sua attività extralavorativa prestata nell’aggravamento della patologia, senza valutarne l’idoneità potenziale, nell’ottica dell’illecito di pericolo e non di danno (secondo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la prestazione dal lavoratore, durante il periodo di assenza per infortunio, nelle giornate dell’11 marzo 2017 e dell’8 aprile 2017, di attività extralavorativa gravosa presso l’agriturismo della moglie, nonostante le reiterate certificazioni mediche di prescrizione di riposo, senza alcun esame dalla Corte territoriale della “sequenza di eventi connessi” e “della tempistica emergente dalla sequenza” (terzo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300/1970, per non avere, contrariamente a quanto affermato la Corte territoriale, ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore, in base a circostanze nuove, non oggetto di contestazione disciplinare, così violando il principio della sua immutabilità (quarto motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., per erronea interpretazione, da parte dalla Corte territoriale, della C.t.u. definitiva, non avendo applicato il principio di concorso causale (con il mancato utilizzo del lombostato prescritto e il compimento quotidiano di viaggi in auto per raggiungere il ristorante, lungo l’intero arco della malattia di circa due mesi dell’attività:
circostanze peraltro non considerate dal Tribunale) all’attività extralavorativa del lavoratore assente per malattia (quinto motivo);
violazione e falsa applicazione dell’art. 18, quarto e quinto comma legge n. 300/1970, per erronea applicazione della tutela reintegratoria, anziché indennitaria, non ricorrendo l’ipotesi di insussistenza del fatto contestato, non esaurito dall’attività extralavorativa, ma anche dalla violazione delle prescrizioni di riposo dei sanitari e dall’assenza alla visita di controllo (sesto motivo);
8. dalle superiori argomentazioni discende l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione
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