CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 34527 depositata l’ 11 dicembre 2023
Lavoro – Diritto alla pensione di anzianità – Insussistenza indebito – Cessazione del rapporto di lavoro – Instaurazione nuovo rapporto – Requisito della inoccupazione – Accoglimento
Rilevato che
la sentenza n. 418/2016 della Corte d’appello di Venezia, oggetto di impugnazione nel presente giudizio, ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede di accoglimento della domanda proposta da G.T., tesa all’accertamento del diritto a fruire della pensione di anzianità (revocata dall’Inps in ragione del venir meno del requisito della cessazione del rapporto di lavoro richiesto dall’art. 22 comma 1 lett. C. l. n. 153 del 1969) e della insussistenza dell’indebito preteso dall’INPS in ragione dell’avvenuta erogazione della medesima pensione sino alla sua revoca;
la Corte territoriale ha condiviso la decisione del Tribunale che aveva ritenuto che la revoca fosse illegittima in quanto il ricorrente aveva cessato il proprio rapporto di lavoro, come previsto dalla legge, prima del pensionamento, in data 20 gennaio 2008, il giorno successivo aveva presentato domanda di pensionamento e si era rioccupato il primo febbraio 2008 in coincidenza con la decorrenza del trattamento pensionistico, riprendendo a lavorare alle dipendenze dello stesso datore di lavoro con le stesse mansioni ed alle stesse condizioni;
ciò aveva realizzato la soluzione di continuità, tra la formale cessazione del rapporto e la instaurazione del nuovo rapporto, richiesta al fine di conseguire il diritto alla pensione di anzianità (ai sensi del d.lgs. n. 503 del 1992, art. 10, comma 6), in conformità con la circolare dell’INPS n. 89/2009 e con la nota del Ministero del Lavoro 19/2009 che non aveva ritenuto necessario subordinare la liquidazione della pensione alla sussistenza di un lasso temporale minimo tra la cessazione del rapporto di lavoro ed il successivo reimpiego;
avverso tale sentenza, ricorre l’Inps con un motivo;
resiste con controricorso G.T.;
il Collegio ha disposto il termine di giorni sessanta per il deposito della motivazione;
Considerato che
con l’unico motivo di ricorso, si denuncia la violazione e o falsa applicazione della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 22, e del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 10, comma 6, per avere la Corte territoriale erroneamente escluso la necessità del requisito della inoccupazione vigente al momento della domanda di pensione di anzianità (presentata dall’intimato il 21 gennaio 2008), requisito – invece all’epoca previsto non solo dalla L. n. 153 del 1969, art. 22, ma anche dal d.lgs. n. 503 del 1992, art. 10, comma 6;
ritiene l’Istituto che la sentenza impugnata sia viziata da erronea interpretazione della normativa relativa all’accesso alla pensione di anzianità in ragione del fatto che la ratio delle norme indicate nella rubrica del motivo è nel senso di evitare che la percezione della pensione di anzianità avvenga contemporaneamente alla prestazione di attività di lavoro subordinato;
analoga fattispecie è stata esaminata da Cass. n. 14417 del 2019 ed in tale occasione questa Corte di legittimità ha già avuto modo di precisare, accogliendo la tesi dell’Istituto ricorrente, (cfr. Cass. n. 16789/14; Cass. n. 4480/2013; Cass. n. 4898/2012; Cass. n. 11935/04; Cass. n. 6571/02; Cass. n. 6693/96; Cass. n. 5965/84) che il requisito della inoccupazione era ricavabile dalla perdurante vigenza del d.lgs. n. 503 del 1992, art. 10, comma 6, secondo il quale “Le pensioni di anzianità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti ed autonomi e delle forme di essa sostitutive, nonché i trattamenti anticipati di anzianità delle forme esclusive, con esclusione delle eccezioni di cui all’art. 10 del decreto L. 28 febbraio 1986, n. 49, convertito, con modificazioni, nella L. 18 aprile 1986, n. 120, in relazione alle quali trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi 1, 3 e 4, non sono cumulabili con redditi da lavoro dipendente, nella loro interezza, e con quelli da lavoro autonomo nella misura per essi prevista dal comma 1, ed il loro conseguimento è subordinato alla risoluzione del rapporto di lavoro ovvero alla cessazione dal lavoro autonomo quale risulta dalla cancellazione dagli elenchi di categoria”.
il fatto che la legge abbia poi consentito il cumulo tra pensione di anzianità e redditi da lavoro dipendente non toglie che la prestazione non poteva essere erogata se non dopo la cessazione del rapporto di lavoro, che è un requisito indefettibile, prescritto dalla norma che ha introdotto la pensione di anzianità (v. L. n. 153 del 1969, art. 22);
tale requisito è così rilevante che è stato esteso anche alla pensione di vecchiaia dal d.lgs. n. 503 del 1992, art. 1 commi 7 e 8;
la stessa L. n. 388 del 2000, art. 72, ha vietato il cumulo anche tra pensione di anzianità e reddito da lavoro autonomo superiore ad un certo ammontare ed ha, quindi, confermato la totale incumulabilità tra detta pensione ed il reddito da lavoro dipendente;
il diritto alla pensione, nella generalità dei casi, ai sensi della L. n. 153 del 1969, art. 22, comma 1, lett. c), matura, in capo al lavoratore interessato, alla presenza di un duplice requisito, rappresentato dal raggiungimento dell’anzianità contributiva e dalla cessazione dell’attività lavorativa subordinata alla data di presentazione della relativa domanda;
con la riforma introdotta dal d.lgs. n. 503 del 1992, il legislatore ha confermato come s’è detto – che il diritto alla pensione di anzianità è subordinato alla cessazione dell’attività di lavoro dipendente (art. 10, comma 6), estendendo tale requisito anche alla pensione di vecchiaia (art. 1, comma 7);
come già rilevato da questa Corte (v. sentenza n. 4900/12), per entrambe le disposizioni citate il requisito della cessazione del rapporto di lavoro costituisce infatti, una “presunzione di bisogno” che giustifica ai sensi dell’art. 38 Cost., l’erogazione della prestazione sociale;
infatti, la prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato e la produzione, che ne consegue, di reddito da lavoro – dopo il perfezionamento dei requisiti – esclude lo stato di bisogno del lavoratore e, quindi, anche l’esigenza di garantire al lavoratore medesimo (ai sensi dell’art. 38 Cost., comma 2) mezzi adeguati alle esigenze di vita;
per tali ragioni il conseguimento del diritto alla pensione è subordinato alla cessazione di qualsiasi rapporto di lavoro in essere, anche diverso da quello in riferimento al quale sono stati versati i contributi alla gestione deputata ad erogare la prestazione (cfr. Cass. n. 17530/2005);
peraltro, è stato anche chiarito che la cessazione del rapporto di lavoro – che condiziona il conseguimento della pensione di vecchiaia – risulta, all’evidenza, affatto diversa (ex d.lgs. n. 503 del 1992, ex art. 10, in tema di disciplina del cumulo tra pensioni e redditi da lavoro dipendente e autonomo) rispetto al cumulo tra la pensione medesima – una volta che questa sia stata conseguita – e i redditi da lavoro oppure da altra pensione, con la conseguenza che, dalla comparazione delle discipline rispettive, non può risultare, in nessun caso, la violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), attesa la non omogeneità;
l’interpretazione giurisprudenziale in materia, oltre a considerare la cessazione dell’attività lavorativa, al pari dell’anzianità contributiva ed assicurativa, quale presupposto necessario per l’insorgenza del diritto alla pensione di anzianità (v. Cass. n. 6571/2002), ha ritenuto momento fondante quello di presentazione della domanda (Cass. n. 14132/2004);
la giurisprudenza più recente ha rimarcato che per conseguire il diritto al trattamento pensionistico è comunque necessaria, in caso di medesimo o diverso datore di lavoro, una soluzione di continuità fra i successivi rapporti di lavoro al momento della richiesta della pensione di anzianità e della decorrenza della pensione stessa (così Cass. n. 4898/2012 cit.) e ciò al fine di evitare che la percezione della pensione di anzianità avvenga contemporaneamente alla prestazione dell’attività lavorativa subordinata (in tal senso cfr. Cass. n. 4900/2012 cit.);
nell’individuazione di tale discontinuità tra la precedente attività lavorativa e quella successiva, non si dovrà, dunque ricercare un mero iato temporale più o meno significativo ma partire dalla considerazione che, laddove l’attività lavorativa successiva al pensionamento intercorra con il medesimo datore di lavoro ed alle medesime condizioni di quelle proprie del rapporto precedente a tale evento, si configura una presunzione di simulazione dell’effettiva risoluzione del rapporto di lavoro al momento del pensionamento. Tale presunzione, tuttavia, può essere vinta mediante il ricorso a plurimi potenziali indici sintomatici, ulteriori rispetto ad un mero dato temporale, idonei a provare il carattere realmente novativo del rapporto di lavoro successivo al pensionamento;
in sostanza, può affermarsi il principio secondo il quale: “Il regime di cumulabilità dei redditi da lavoro dipendente e della pensione di anzianità non esclude che quest’ultima possa essere erogata solo se al momento della presentazione della relativa domanda il rapporto di lavoro dipendente sia effettivamente cessato. A riguardo, deve ravvisarsi una presunzione semplice del carattere simulato della cessazione di tale rapporto ove essa sia seguita da immediata riassunzione del lavoratore, alle medesime condizioni, presso lo stesso datore di lavoro“;
il ricorso va, quindi, accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, perché, in applicazione del principio sopra indicato, accerti il carattere realmente novativo o meno del rapporto di lavoro del controricorrente, instauratosi a decorrere dal primo febbraio 2008 dopo la cessazione del precedente rapporto verificatasi il 20 gennaio 2008; il giudice del rinvio provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
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