CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 34669 depositata il 12 dicembre 2023
Lavoro – Ferie, permessi ed ex festività non goduti – Differenze retributive – Indennità di preavviso – Inammissibilità
Rilevato che
1. con sentenza 23 settembre 2019, la Corte d’appello di Genova ha condannato F.A.G.B.F. s.n.c. (quale appaltante) e, nella sua contumacia, Livorno società cooperativa (quale società datrice) al pagamento in solido, in favore dell’ex dipendente della seconda indicato in epigrafe a titolo di ferie e permessi non goduti ed ex festività fino al 31 dicembre 2016, della complessiva somma di € 5.448,17 oltre accessori di legge, in aggiunta a quella di € 4.629,94 (pure oltre accessori), per differenze retributive e indennità di preavviso, riconosciuta dal Tribunale: così riformandone parzialmente la sentenza di primo grado;
3. con atto notificato il 16 ottobre 2019, la società appaltante ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, cui il lavoratore ha resistito con controricorso e memoria finale;
il F.L. società cooperativa non ha svolto attività difensiva;
4. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 132 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente dichiarato la contumacia della società cooperativa, in realtà fallita il 20 novembre 2018 nel corso del giudizio di primo grado, pertanto interrotto ope legis a norma dell’art. 43 l. fall., mai riassunto davanti al Tribunale, né successivamente instaurato in grado d’appello nei confronti della curatela fallimentare, con la conseguente nullità della sentenza impugnata per la mancata instaurazione del contraddittorio nei suoi confronti e comunque per la non corretta individuazione della parte (unico motivo);
2. esso è inammissibile;
3. in caso di apertura del fallimento, l’interruzione del processo è automatica ai sensi dell’art. 43, terzo comma l. fall., ma il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione stabiliti dall’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 l. fall. per le domande di credito, decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte. E tale dichiarazione, qualora non sia già conosciuta in ragione della sua pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176, secondo comma c.p.c., deve essere notificata alle parti o al curatore da uno degli interessati o comunque comunicata dall’ufficio giudiziario (Cass. S.U. 7 maggio 2021, n. 12154, in particolare, in motivazione sub p.ti da 35 a 37; Cass. 30 maggio 2023, n. 15227).
Ferma, pertanto, l’automatica interruzione del processo ai sensi dell’art. 43, terzo comma l. fall., esso resta di fatto quiescente, per la preclusione di ogni ulteriore attività processuale; e, se essa sia compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza (Cass. 15 febbraio 2007, n. 3459; Cass. 2 novembre 2010, n. 22268; Cass. 15 gennaio 2018, n. 790). Ma al suo rilievo, essendo le norme regolanti l’interruzione del processo preordinate alla tutela della parte colpita dal relativo evento, essa è l’unica legittimata, sola a potersi dolere dell’irrituale continuazione del processo nonostante il verificarsi della causa interruttiva; sicché la mancata interruzione del processo non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, né essere eccepita dall’altra parte come motivo di nullità (Cass. 13 novembre 2009, n. 24025; Cass. 19 agosto 2016, n. 17199; Cass. 26 agosto 2021; Cass. 2 ottobre 2023, n. 27688);
3.1. nel caso di specie, il giudizio, indubbiamente interrotto ope legis già nel corso del primo grado, è entrato in una condizione di quiescenza di fatto e l’attività processuale (atti difensivi e sentenze pronunciate) successivamente compiuta è viziata da nullità relativa, non rilevabile d’ufficio dal giudice, né deducibile da altra parte, bensì esclusivamente da quella che sia stata colpita dall’evento interruttivo (la società cooperativa fallita), in quanto unica legittimata;
4. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, per difetto d’interesse, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza; senza, tuttavia, la richiesta condanna risarcitoria, ai sensi dell’art. 96, primo comma c.p.c., in difetto (nelle circostanze indicate al quart’ultimo e terz’ultimo capoverso di pg. 10 del controricorso) del presupposto di temerarietà della lite (Cass. 21 luglio 2000, n. 9579; Cass. 9 febbraio 2017, n. 3464); con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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