CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 35034 depositata il 14 dicembre 2023
Tributi – Silenzio-inadempimento – Cartella di pagamento – Istanza di sgravio parziale – Sanzioni pecuniarie – Comunicazione di irregolarità – Motivazione apparente – Accoglimento – la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture – non ha esposto il ragionamento logico giuridico seguito nel riformare integralmente la sentenza impugnata
Rilevato che
1. In data 6 maggio 2011 B.D. presentava all’Agenzia delle Entrate richiesta di sgravio parziale degli importi iscritti a ruolo a titolo di sanzioni pecuniarie, indicati nella cartella di pagamento n. (…), sostenendo di non avere mai ricevuto la preventiva comunicazione di irregolarità.
2. Proposto dal contribuente ricorso avverso il silenzio-inadempimento dell’Amministrazione, la Commissione tributaria provinciale di Brindisi, con sentenza n. 281/04/2012 del 9 novembre 2012, lo dichiarava inammissibile, compensando le spese.
3. Interposto gravame dal contribuente, la Commissione tributaria regionale della Puglia – sezione staccata di Lecce, con sentenza n. 1227/22/2019, pronunciata il 21 novembre 2016 e depositata in segreteria il 15 aprile 2019, accoglieva l’appello, con compensazione delle spese di giudizio.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di tre motivi.
5. La discussione del ricorso è stata fissata dinanzi a questa sezione per la camera di consiglio del 20 settembre 2023, ai sensi degli art. 375, comma 2 e art. 380-bis.1 c.p.c.
Considerato che
1. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, come si è detto, è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio eccepisce vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).
Deduce, in particolare, che la C.T.R. avrebbe dovuto motivare, seppur in via sintetica, sulle ragioni per le quali avrebbe ritenuto di risolvere la questione di ammissibilità del ricorso introduttivo in senso opposto a quanto deciso dal giudice di prime cure, che aveva dichiarato il ricorso inammissibile, a fronte, inoltre, di un’espressa riproposizione dell’eccezione di inammissibilità da parte dell’Ufficio.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2-quater convertito, con modificazioni, dalla L. 30 novembre 1994, n. 656, nonché del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).
Precisa, nello specifico, che il giudice a quo avrebbe errato nel ritenere implicitamente ammissibile il ricorso introduttivo, essendo il silenzio-inadempimento su una richiesta di sgravio un atto non impugnabile dinanzi al giudice tributario. La richiesta di agire in autotutela, infatti, non farebbe sorgere in capo al contribuente un diritto soggettivo con il conseguente obbligo per l’Amministrazione finanziaria di provvedere, potendo il contribuente impugnare per l’annullamento gli atti che ritiene illegittimi.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, l’Ufficio deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cit. codice.
Secondo il ricorrente, il giudice di seconde cure, di fronte all’espressa eccezione di inammissibilità, avrebbe dovuto motivare, seppur in modo sintetico, in ordine all’infondatezza dell’eccezione e, di conseguenza, all’ammissibilità del ricorso introduttivo del contribuente.
2. Procedendo quindi allo scrutinio dei motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
2.1. I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono fondati.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (cfr., tra le altre, Cass. 8 febbraio 2023, n. 3799; Cass. 9 settembre 2019, n. 22507; Cass., sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232).
Nel caso di specie, sussiste il vizio di motivazione apparente perché, a fronte della decisione di primo grado, con cui si è dichiarata l’inammissibilità del ricorso introduttivo, il giudice di seconde cure ha stabilito laconicamente che “la decisione emessa dai primi giudici è senz’altro da riformare. Infatti, l’Agenzia delle Entrate non ha fornito alcuna prova certa di avere notificato al contribuente la comunicazione di irregolarità D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36-bis“.
La C.T.R., invero, non ha esposto il ragionamento logico giuridico seguito nel riformare integralmente la sentenza impugnata, così non riuscendo la relativa motivazione a superare il c.d. minimo costituzionale. Non è dato cogliere all’interprete, in particolare, il fondamento giuridico adottato dal giudice a quo nel decidere su quei motivi di appello e su quelle eccezioni afferenti al nucleo centrale della decisione di primo grado.
In altri termini, il giudice di seconde cure avrebbe dovuto esplicitare le ragioni per le quali il ricorso introduttivo doveva ritenersi ammissibile, in senso diametralmente opposto a quanto in precedenza statuito dal giudice di primo grado, la cui decisione si fondava principalmente su tale questione.
Peraltro, con riferimento al merito della questione sulla ammissibilità o inammissibilità di un’impugnazione avverso il silenzio-inadempimento dell’Ufficio sull’istanza di sgravio parziale, va rilevato che tale situazione si sostanzia, in pratica, in un silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria rispetto a un’istanza di autotutela, in quanto con la richiesta di sgravio il contribuente mira ad ottenere un autoannullamento (integrale o parziale) di un atto impositivo.
Orbene, a tal proposito occorre richiamare la costante giurisprudenza di legittimità che ritiene che, in tema di contenzioso tributario, il sindacato del giudice sul provvedimento di diniego dell’annullamento in sede di autotutela dell’atto tributario divenuto definitivo è limitato all’accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute, dovendo invece escludersi che possa essere accolta l’impugnazione del provvedimento di diniego proposta dal contribuente che contesti vizi dell’atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo (cfr. Cass. 7 febbraio 2022 n. 7318, Cass. 2 novembre 2021, n. 31063, Cass. 28 marzo 2018, n. 7616).
In particolare, questa Corte ha affermato che il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento o comunque un atto divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto, giacché, fuori dalla ridetta situazione, l’atto con il quale l’Amministrazione finanziaria manifesta il rifiuto di ritirare in autotutela un atto impositivo divenuto definitivo – stante la relativa discrezionalità – non è suscettibile di essere impugnato innanzi alle Commissioni tributarie (cfr. Cass., sez. U., 16 febbraio 2009, n. 3698).
Anche la Corte costituzionale, con la pronuncia n. 181 del 13 luglio 2017, ha affermato che non esiste un dovere dell’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di autotutela e, mancando tale dovere, il silenzio su di essa non equivale ad inadempimento, né, d’altro canto, il silenzio stesso può essere considerato un diniego, in assenza di una norma specifica che così lo qualifichi giuridicamente (cfr. Cass., sez. U., 27 marzo 2007 n. 7388), con la conseguenza che il silenzio dell’Amministrazione finanziaria sull’istanza di autotutela non è contestabile davanti ad alcun Giudice, anche perché affermare il dovere dell’Amministrazione di rispondere all’istanza di autotutela significherebbe, in altri termini, creare una nuova situazione giuridicamente protetta del contribuente, per giunta azionabile sine die dall’interessato, il quale potrebbe riattivare in ogni momento il circuito giurisdizionale, superando il principio della definitività del provvedimento amministrativo e della correlata stabilità della regolazione del rapporto che ne costituisce oggetto (da ultimo, Cass. 22 marzo 2023, n. 8211).
In conclusione, pertanto, la sentenza impugnata appare sostanzialmente priva di motivazione, in quanto accoglie l’appello della parte privata, senza porsi la preliminare questione dell’ammissibilità del ricorso in primo grado, e ciò a fronte di una sentenza di primo grado dichiarativa proprio dell’inammissibilità del ricorso, e dell’espressa riproposizione in appello, da parte dell’Agenzia delle Entrate, della relativa eccezione di inammissibilità, che peraltro appare pienamente fondata.
3. Tanto considerato, la sentenza impugnata deve quindi essere cassata; non apparendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto, la causa può quindi essere decisa nel merito, con la declaratoria di inammissibilità del ricorso originario proposto da B.D..
Le spese di giudizio seguono la soccombenza dell’intimato, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Sussistono giustificati motivi per la compensazione integrale tra le parti delle spese delle fasi di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso originario proposto da B.D..
Condanna B.D. alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Compensa integralmente le spese di giudizio dei gradi di merito.
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