CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza n. 36494 depositata il 13 dicembre 2022
Tributi – Avviso di accertamento – Imposta sugli intrattenimenti (ISI) – Regime speciale IVA – Prestazioni di sponsorizzazione e cessioni o concessioni di diritti di ripresa televisiva e di trasmissione radiofonica – Distinzione tra le attività di intrattenimento e le attività di spettacolo – Natura generale dell’imposta – Rigetto
Fatti di causa
La Società L.P. ha impugnato gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate ha liquidato l’imposta sugli intrattenimenti (ISI) in un ammontare pari a € 37.102,00 per l’anno 2008 ed a € 24.917,00 per l’anno 2009, a seguito del processo verbale di constatazione redatto dai funzionari SIAE in data 29 luglio 2011, ove si contestava la mancata esibizione di documentazione diretta a provare che durante i trattenimenti danzanti vi fosse stata musica dal vivo per un tempo pari o superiore al 50% dell’orario complessivo.
I ricorsi erano accolti in primo grado. L’Agenzia delle Entrate ha proposto appello dinnanzi alla CTR della Liguria, che, riuniti gli appelli proposti avverso le sentenze della CTP di Savona nn. 356/2015 e 357/2015, li ha accolti sul rilievo che l’onere di provare la sussistenza dei presupposti che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi la invoca e che la società non ha provato che la musica dal vivo fosse superiore al 50% dell’orario complessivo di apertura al pubblico; rileva inoltre che l’accesso mirato nei locali della Società compiuto l’11/06/2011 dai funzionari della SIAE aveva consentito di appurare l’utilizzo esclusivo di strumenti meccanici, e, di conseguenza, riteneva la sussistenza del presupposto oggettivo idoneo ad assoggettare l’attività non solo ad IVA ma anche all’ISI.
Avverso la predetta sentenza la società L.P. ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a due motivi.
L’Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine di partecipare ad eventuale discussione orale. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 3 novembre 2022.
La contribuente ha presentato memoria.
Ragioni della decisione
1.- Preliminarmente si osserva che la contribuente, con la memoria depositata ex art. 380 bis c.p.c. ha chiesto la rimessione in pubblica udienza. La questione tuttavia, come meglio si vedrà, non presenta profili di rilievo nomofilattico tali da giustificare la trattazione in udienza pubblica, né alla fattispecie devono applicarsi principi di ordine generale che non abbiano già assunto carattere consolidato. In tali casi, come da costante orientamento di questa Corte di legittimità, il Collegio giudicante può escludere, nell’esercizio della propria discrezionalità, ed anche se vi sia stata istanza di trattazione in pubblica udienza, la rimessione della causa alla udienza pubblica (Cass., Sez. Un., 5 giugno 2018, n. 14437; (Cass., Sez. Un., 23 aprile 2020, n. 8093).
2.- Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., la società censura la legittimità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento: all’art. 1 Tabella delle tariffe dell’imposta sugli intrattenimenti del D.P.R. n. 640/1972; agli artt. 74, comma 6, 74-quater e Tabella C del D.P.R. n. 633/1972; all’art. 10 della l. n. 212/200; all’art. 2697 c.c. ed all’art. 97 Cost.. Lamenta la violazione del principio del legittimo affidamento e di buona fede ed altresì la violazione dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, nonché il difetto di motivazione. Deduce che il giudice d’appello ha erroneamente ritenuto non violato dall’Agenzia l’art. 2697 c.c., sul rilievo che l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la «deroga al normale regime impositivo» spetti a chi invochi a proprio beneficio la deroga agevolativa. Rileva che l’adempimento dell’onere della prova andrebbe valutato alla luce sia della natura tributaria del processo, sia d2elle peculiarità del rapporto tra amministrazione e contribuente: ciò imporrebbe alla prima di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa e del diritto di credito fatto valere nei confronti del secondo, sul quale invece mai graverebbe l’onere di provare i fatti costitutivi ma, semmai, i soli fatti estintivi del debito tributario. Per questa ragione, la contribuente ritiene sussistente l’inadempimento da parte dell’ufficio dell’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa impositiva, anche per il tramite di una mera presunzione semplice, considerando peraltro che l’accesso dell’11 giugno 2011 è un singolo episodio non ricompreso nel periodo di imposta considerato. Osserva che nella sentenza vi è peraltro un’insanabile 6contraddizione nella motivazione laddove, dapprima, si afferma che l’onere della prova incombe sul contribuente, richiamando poi positivamente quanto accertato nel processo verbale di constatazione.
Il motivo è infondato.
La normativa nazionale, fino al 31 dicembre 1999, prevedeva l’assoggettamento degli introiti derivanti dalle attività di spettacolo alla omonima imposta, di cui al DPR n. 640 del 26 ottobre 1972. Con decorrenza dal 1^ gennaio 2000, si applicano le disposizioni del D.lgs. n. 60 del 26 febbraio 1999, che ha riordinato la materia, abrogando l’imposta sugli spettacoli ed istituendo l’imposta sugli intrattenimenti, apportando modifiche al DPR n. 640/1972. E’ stato inoltre introdotto nel DPR n. 633 del 26 ottobre 1972 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto) l’art. 74-quater, che ha disciplinato il nuovo regime fiscale per le attività elencate nella tabella allegata al predetto D.lgs. Per effetto di questo riordino normativo, le attività di spettacolo, dall’anno 2000, non sono più soggette a due diverse imposte, ma alla sola imposta sul valore aggiunto (IVA). L’art. 74, al comma 6, stabilisce inoltre per le imprese che organizzano intrattenimenti – soggette alla relativa imposta – un regime IVA speciale, in deroga.
La norma prevede infatti che: “Per gli intrattenimenti, i giochi e le altre attività di cui alla tariffa allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, l’imposta (n.d.r. l’IVA) si applica sulla stessa base imponibile dell’imposta sugli intrattenimenti ed è riscossa con le stesse modalità stabilite per quest’ultima. La detrazione di cui all’articolo 19 è forfettizzata in misura pari al cinquanta per cento dell’imposta relativa alle operazioni imponibili.
Se nell’esercizio delle attività incluse nella tariffa vengono effettuate anche prestazioni di sponsorizzazione e cessioni o concessioni di diritti di ripresa televisiva e di trasmissione radiofonica, comunque connesse alle attività di cui alla tariffa stessa, l’imposta si applica con le predette modalità ma la detrazione è forfettizzata in misura pari ad un decimo per le operazioni di sponsorizzazione ed in misura pari ad un terzo per le cessioni o concessioni di ripresa televisiva e di trasmissione radiofonica. I soggetti che svolgono le attività incluse nella tariffa sono esonerati dall’obbligo di fatturazione, tranne che per le prestazioni di sponsorizzazione, per le cessioni o concessioni di diritti di ripresa televisiva e di trasmissione radiofonica e per le prestazioni pubblicitarie; sono altresì esonerati dagli obblighi di registrazione e dichiarazione, salvo quanto stabilito dall’articolo 25; per il contenzioso si applica la disciplina stabilita per l’imposta sugli intrattenimenti. Le singole imprese hanno la facoltà di optare per l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari dandone comunicazione al concessionario di cui all’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, competente in relazione al proprio domicilio fiscale, prima dell’inizio dell’anno solare ed all’ufficio delle entrate secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 442; l’opzione ha effetto fino a quando non è revocata ed è comunque vincolante per un quinquennio”. A sua volta, la tabella allegata al DPR 640/1972 stabilisce una tariffa del 16% per “esecuzioni musicali di qualsiasi genere ad esclusione dei concerti e strumentali, e trattenimenti danzanti anche in discoteche sale da ballo quando l’esecuzione di musica dal vivo di durata inferiore al cinquanta per cento dell’orario complessivo di apertura al pubblico dell’esercizio”.
Occorre dunque distinguere tra le attività di intrattenimento e le attività di spettacolo: come chiarito dal Ministero delle Finanze con circolare n. 165/E del 7 settembre 2000, le “attività di intrattenimento”, sono caratterizzate da un prevalente aspetto ludico e che implicano la partecipazione attiva del soggetto all’evento, e le altre “attività di spettacolo” sono caratterizzate dalla partecipazione prevalentemente passiva dello spettatore all’evento rappresentato, che assume anche una connotazione culturale.
In estrema sintesi, con riguardo alle attività di discoteche, night-club e altri locali che organizzano trattenimenti musicali e danzanti, può dirsi che se nel locale si produce musica dal vivo per più del 50% dell’orario complessivo di apertura al pubblico, si ha attività di spettacolo (vale a dire che il fruitore è spettatore passivo) soggetta solo ad IVA, secondo il regime speciale ovvero ordinario su opzione;
se di contro non si supera la soglia del 50 % (quindi con musica prevalentemente da mezzo meccanico e DJ), si ha attività di intrattenimento (il fruitore è attivo con partecipazione ludica), soggetta sia ad IVA (speciale o ordinaria), sia ad ISI nella misura del (16%).
Non ha quindi errato il giudice d’appello a fare riferimento al principio generale secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo (nella specie IVA) è sempre a carico di chi invoca la predetta deroga (cfr. Cass., n. 10355 del 31/03/2022: «Come più volte espresso da questa Corte […], l’onere di provare l’esistenza dei presupposti della deroga al regime della territorialità IVA è a carico del contribuente, anche in ragione del principio generale secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è sempre a carico di chi invoca detta deroga»).
Inoltre, il giudice d’appello ha osservato che nella specie è stata positivamente accertata la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi per l’applicazione dell’imposta sugli intrattenimenti. Ed invero nella sentenza impugnata si sottolinea che al momento dell’accesso non si eseguiva musica dal vivo (e ciò costituisce un elemento indiziario) sicché i verbalizzanti hanno ritenuto di operare ulteriori accertamenti ed hanno chiesto la esibizione dei documenti fiscali comprovanti la esibizione nel tempo di artisti dal vivo, senza però ottenere riscontro; questo dato è stato valorizzato dal giudice d’appello il quale utilizza il meccanismo delle presunzioni osservando che, di regola, gli artisti si esibiscono dietro compenso (e pertanto ove il compenso fosse stato corrisposto ne sarebbe rimasta traccia nella contabilità). Ed è appena il caso di rilevare che tale tipo di accertamento, volto ad appurare se alcun orchestrale fosse mai stato sul libro paga ovvero se fossero stati stipulati altri “contratti privatistici” con artisti, consente di estendere l’indagine non solo alla sera dell’accesso ma anche ai periodi precedenti.
Non si tratta, dunque, di una motivazione contraddittoria, ma che al contrario esamina, sia pure in sintesi, tutti i profili della complessiva fattispecie, che riguarda i presupposti applicativi di due diverse imposte (IVA e ISI), sia in riferimento al regime agevolativo previsto dall’art. 74 cit. che in relazione alla indagine compiuta dai funzionari della SIAE.
2.- Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c., la società ricorrente censura la legittimità della sentenza per violazione dell’art. 401 della Direttiva CE n. 2006/112, che ha sostituito l’art. 33 della VI Direttiva CE n. 1977/388, in relazione agli artt. 1 e tabella delle tariffe dell’imposta sugli intrattenimenti del D.P.R. n. 640/1972, in relazione ai quali ha sollevato questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE; nonché degli artt. 74, comma 6, 74-quater e Tabella C del D.P.R. n. 633/1972, con riferimento alla doppia imposizione ISI/IVA. Deduce inoltre la violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza e dei principi di capacità contributiva e di progressività del sistema tributario di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con riferimento ai quali ha sollecitato il giudice a sollevare la questione di legittimità costituzionale.
La parte deduce che, rispetto alla sentenza della Corte di Giustizia UE citata dal giudice di appello (Causa C-109/90 del 19 Marzo 1991, tra la NV Giant e il Comune di Overijse), vi sono delle sostanziali differenze nel caso di specie. In primo luogo, osserva che mentre l’imposta oggetto del giudizio deciso dalla CGUE era comunale e, quindi, territorialmente limitata, e pertanto non avrebbe carattere generale, l’ISI è al contrario applicabile su tutto il territorio della Repubblica Italiana; in secondo luogo, data l’identità della base imponibile, si tratterebbe di imposta sulla cifra di affari e, quindi, di doppia imposizione, in quanto tale vietata ai sensi dell’art 401 della Direttiva 2006/112/CE.
Su tali premesse, censurando la legittimità della sentenza impugnata per aver il giudice di appello omesso di motivare le ragioni del generico richiamo alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, la società ricorrente chiede che si sollevi questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, affinchè la Corte di Giustizia si pronunci sull’interpretazione dell’art. 401 della citata Direttiva, per dire se allo stesso osti la sopra richiamata legislazione nazionale nella parte in cui si prevede che tutte le attività di intrattenimento che si svolgono nel territorio della Repubblica Italiana sono assoggettate sia all’imposta il valore aggiunto sia all’imposta sugli intrattenimenti, applicate sulla stessa base imponibile e riscosse con le stesse modalità. Osserva inoltre che la predetta doppia imposizione viola gli artt. 3 e 53 della Costituzione nella parte in cui la normativa applicabile opera una irragionevole discriminazione tra le attività di spettacolo e le attività di intrattenimento gravando le prime della sola IVA e la seconda sia dell’IVA che dell’ISI, atteso che situazioni analoghe vengono sottoposte a un regime fiscale notevolmente differenziato e che alla predetta differenziazione consegue anche la violazione dell’53 della Costituzione, poiché gli operatori del settore intrattenimenti sono gravati con una doppia e del tutto ingiustificata imposizione che si pone in evidente contrasto con i principi di capacità contributiva e di progressività del sistema tributario
Il motivo è infondato.
Deve qui rilevarsi che l’art. 267 TFUE stabilisce un meccanismo di rinvio obbligatorio allorché una questione di interpretazione o di validità del diritto dell’Unione sorga di fronte ad un giudice nazionale di ultima istanza. Tale obbligo, tuttavia, è stato oggetto di una profonda riflessione giurisprudenziale nazionale e sovranazionale, posto che esso ha una funzione sua propria, che è quella di evitare interpretazioni giurisprudenziali contrastanti all’interno della Unione Europea, ma non quella di spogliare il giudice nazionale dalla funzione giurisdizionale che gli appartiene, vale a dire quella di individuare la norma giuridica applicabile alla fattispecie e di interpretare il diritto interno; tantomeno la sua funzione è quella di ottenere un parere su questioni generali od ipotetiche, essendo deputato a risolvere una controversia effettiva ed attuale, fondata sulla rilevanza della questione pregiudiziale. Da escludersi quindi ogni automatismo tra la richiesta della parte e l’obbligo di sollevare la questione; segnatamente, qualora la questione sollevata sia identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale. L’esonero dall’obbligo del rinvio sussiste anche qualora una giurisprudenza consolidata della Corte UE risolva il punto di diritto di cui trattasi, quale che sia la natura dei procedimenti che hanno dato luogo a tale giurisprudenza, pure in mancanza di una stretta identità delle questioni controverse. Infine, non sussiste obbligo qualora la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (Corte di Giustizia UE, 6 ottobre 1982, Cilfit in C-283/81; Cass. sez. un. n. 20701 del 10/09/2013; Cass. sez. V, n. 15041 del 16/06/2017; Cass. civile, sez. III, 21/06/2011, n. 13603; Cass. sez. I n. 4776 del 26/03/2012 e molte altre).
Deve quindi osservarsi che il testo dell’art., 401 della Direttiva CE n. 2006/112, che ha sostituito l’art. 33 della VI Direttiva CE n. 1977/388, è sostanzialmente uguale a quello della norma sostituita.
Pertanto, deve ritenersi che con la sentenza Giant, cui correttamente ha fatto riferimento il giudice d’appello, la Corte di Giustizie UE si sia già pronunciata sulla questione, dando una definizione di imposta generale, nonché affermando che il diritto comunitario ammette l’esistenza di regimi d’imposta concorrenti con l’IVA quale, nel caso di specie, una imposta sugli intrattenimenti.
Secondo la Corte Europea, gli Stati membri hanno facoltà di istituire imposte che non abbiano natura d’imposta sulla cifra d’affari, dovendosi intendere, secondo la predetta sentenza Giant, che l’imposta sugli intrattenimenti non abbia natura di imposta sulla cifra di affari, se in primo luogo, essa non costituisce un’imposta generale, giacché si applica solo ad una “categoria limitata di beni e di servizi”; questa ultima definizione rende peraltro manifesta la infondatezza del rilievo della contribuente, sulla circostanza che la CGUE si sia pronunciata su una imposta locale. Non è la dimensione territoriale che configura (o meno) l’imposta come generale; la natura generale dell’imposta si esclude quando essa abbia ad oggetto una categoria limitata di beni e servizi, come è il caso della imposta nazionale sugli intrattenimenti, che riguarda le sole attività di intrattenimento, nei circoscritti termini sopra precisati, distinguendo tra intrattenimento e spettacolo. In secondo luogo, il tributo non ha natura di imposta sulla cifra di affari se non viene riscossa in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione, giacché colpisce annualmente l’insieme degli introiti realizzati dalle imprese ad essa soggette; ciò è quanto avviene nel caso dell’ISI che – estranea a qualsiasi meccanismo di rivalsa – si calcola sul prezzo pagato per assistere o partecipare agli intrattenimenti al netto dell’imposta sul valore aggiunto. Infine, rileva la necessità che il tributo non si basi sul valore aggiunto nella fase di ciascuna operazione, bensì sull’ammontare lordo di tutte le entrate. Analogamente nel caso dell’ISI, la cui base imponibile è costituita sia dal corrispettivo dei singoli titoli di accesso, sia dal prezzo pagato per assistere o prendere parte agli intrattenimenti o alle altre attività contenute dell’elenco della tariffa allegata, al netto dell’imposta sul valore aggiunto.
Quanto sopra esposto, oltre ad escludere in radice qualsivoglia incompatibilità dell’imposta sugli intrattenimenti con il diritto eurounitario – neppure sotto lo specifico profilo, dedotto dalla società ricorrente, di una asserita differenziazione spazio-temporale rispetto al tributo già esaminato dalla CGUE – rende evidente che è altresì manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale. Deve qui ricordarsi che rientra nella discrezionalità del legislatore la determinazione dei singoli fattori espressivi della capacità contributiva, purché non si superi il limite della irragionevolezza ed arbitrarietà. Ciò significa, in primo luogo, che deve rispettarsi il principio di uguaglianza, nel senso che «ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione» (Corte Cost. n. 10 del 2015, n. 104 del 1985). Nel caso di specie, la distinzione tra intrattenimenti e spettacoli, lungi dall’essere discriminatoria, è funzionale a circoscrivere la categoria di beni e servizi ai quali si applica l’imposta, in relazione alla intrinseca differenza tra le due fattispecie: come precisato infatti dalla 1 vi è differenza tra il caso in cui il soggetto assista passivamente ad uno spettacolo ed il caso in cui il soggetto prenda parte attivamente ad un “intrattenimento”.
Inoltre, deve rispettarsi il principio di capacità contributiva posto dall’art. 53 Cost., nella consapevolezza che si tratta di misurare la forza economica non già solo di unità statiche (il patrimonio) ma anche di attività economiche e giuridiche. La Corte Costituzionale ha precisato che «in un contesto complesso come quello contemporaneo, dove si sviluppano nuove e multiformi creazioni di valore, il concetto di capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica» (Corte Cost. n. 288 del 2019). Ciò significa che l’osservazione della realtà sociale e l’analisi della rilevanza economica delle attività che ivi si svolgono, spetta al legislatore, il quale osservando e valutando detti fenomeni orienta le proprie scelte (anche) in termini tributari, così esprimendo delle scelte di indirizzo politico ed economico.
Tanto chiarito, occorre, tuttavia, ulteriormente precisare che il legislatore, quando assume un determinato presupposto, economicamente valutabile, quale indice di una capacità contributiva in riferimento solo a determinati soggetti, rimane sottoposto al vincolo della non arbitrarietà con riguardo alla misura della imposizione, che deve risultare proporzionata al presupposto stesso.
E, con riferimento al rispetto del criterio di proporzionalità, possono qui richiamarsi le già esposte considerazioni sulla circostanza che non si tratta di una doppia imposizione, che è ammessa – nei termini sopra precisati – l’esistenza di regimi di imposta concorrenti con l’IVA e che per le imprese soggette sia ad ISI che ad IVA è previsto un regime speciale forfetario, salvo che l’impresa opti per il regime IVA ordinario.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Nulla sulle spese in difetto di svolgimento di attività difensiva della controparte
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione ordinanza n. 21169 deposita il 5 luglio 2022 - Nell'ambito del processo tributario, la proposizione di motivi di revocazione ordinaria ex art.395 comma 1 nn.4) e 5) cod. proc. civ. avverso le sentenze delle Commissioni Tributarie…
- MINISTERO CULTURA - Decreto ministeriale 13 agosto 2021 - Disposizioni applicative del credito d'imposta per la promozione della musica, nonché degli eventi di spettacolo dal vivo di portata minore
- CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE - Sentenza 18 novembre 2021, n. C-358/20 - L’articolo 168 e l’articolo 213 nonché il principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), letti alla luce dei principi di certezza del diritto, di tutela del legittimo…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 giugno 2020, n. 11378 - In tema di contributi previdenziali per i lavoratori dello spettacolo, i compensi corrisposti a titolo di cessione dello sfruttamento del diritto d'autore, d'immagine e di replica, nell'ambito…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 15674 depositata il 17 maggio 2022 - La scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l'effetto sostanziale…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 luglio 2022, 21999 - Il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, prevede una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Alla parte autodifesasi in quanto avvocato vanno l
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7356 depositata il 19…
- Processo Tributario: il principio di equità sostit
Il processo tributario, costantemente affermato dal Supremo consesso, non è anno…
- Processo Tributario: la prova testimoniale
L’art. 7 comma 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 (codice di procedura tributar…
- L’inerenza dei costi va intesa in termini qu
L’inerenza dei costi va intesa in termini qualitativi e dunque di compatibilità,…
- IMU: la crisi di liquidità non è causa di forza ma
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 7707 depositata il 21 m…