CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 36713 depositata il 15 dicembre 2022

Tributi – Avviso di liquidazione – Cessione di ramo d’azienda – Titolarità passiva dell’obbligazione tributaria – Opponibilità della sentenza resa tra creditore e condebitore solidale – Consolidamento dell’atto impositivo a seguito di mancata riassunzione del giudizio – Rigetto

Premesso che

1. Si legge nella sentenza n.8452/2016 di questa Corte: “all’esito di una verifica fiscale nei confronti della P.I. spa, successivamente incorporata nella P.I. srl, veniva notificato avviso di liquidazione a carico della P.I., nonché della Curia generalizia della Congregazione dei figli dell’Immacolata Concezione e del suo legale rappresentante P.N., con il quale si accertava che i due atti con i quali la P. aveva dapprima conferito il ramo d’azienda relativo a ” ricerca e sviluppo” in una società di nuova costituzione, la N.M.S. srl e successivamente ceduto le relative quote alla Curia generalizia, realizzavano in realtà un’unica operazione di cessione del ramo d’azienda. La CTP di Milano accoglieva i ricorsi proposti dai contribuenti. La CTR della Lombardia … confermava integralmente la sentenza di primo grado, affermando la nullità degli avvisi di liquidazione nei confronti della Curia generalizia e del P., in quanto essi erano stati notificati a soggetti privi di legittimazione passiva, e, quanto all’avviso nei confronti della P. , per violazione dell’art. 12 comma 7 L.212/00. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi, l’Agenzia delle Entrate. La P. ha resistito con controricorso, mentre la Curia Generalizia ed il P. non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia denunzia la violazione degli art. 75 e 100 cpc, nonché degli artt. 20 e 567 Dpr 131/1986 in relazione all’art. 360 n.4) cpc, censurando la statuizione della sentenza della Ctr che aveva affermato la nullità degli atti impositivi sul presupposto essi non avrebbero dovuto essere notificati alla Curia generalizia ed al suo legale rappresentante, N.P., ma alla società destinataria dell’atto di conferimento del ramo d’azienda. La censura è fondata. L’Agenzia delle Entrate ha infatti posto a fondamento dei distinti avvisi di liquidazione oggetto della presente controversia la ricostruzione come un’unica operazione, avente ad oggetto la cessione di un ramo d’azienda, dei due negozi con i quali la P.I. ha dapprima conferito in una newco, la N.M.S., un ramo d’azienda e successivamente ceduto le relative quote di partecipazione alla Curia Generalizia. Da ciò, ai sensi dell’art. 20 Dpr 131/1986… l’eventuale sussistenza della titolarità passiva dell’obbligazione tributaria in capo ai soggetti che, nella prospettazione dell’Agenzia, erano le parti sostanziali del negozio di cessione effettivamente realizzato … Con il secondo motivo si denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 12 comma 7 L.212/00, in relazione all’art. 360 nn.3) e 4) codice di rito, censurando la statuizione della sentenza della CTR che ha affermato la nullità dell’avviso di liquidazione nei confronti della P.I. srl, per inosservanza del termine di 60 gg. di cui all’art. 12 comma 7 L.212/00. Il motivo è infondato. Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, infatti, I’ art. 12 comma 7 dev’essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di 60 gg. per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni — determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus (Cass.Ss.Uu.18184/2013 principio ribadito, ancora di recente, da Ss.Uu. 24823/2015). La reiezione dell’unico motivo comporta il passaggio in giudicato della pronuncia di annullamento dell’avviso di accertamento nei confronti della P.I.. La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, quanto alla domanda di annullamento proposta da Curia Generalizia e P.N., ad altra sezione della CTR della Lombardia…”.

2. la causa non veniva riassunta;

3. l’Agenzia iscriveva a ruolo le imposte di registro, ipotecarie e catastale oggetto dell’originario avviso di liquidazione e notificava alla Curia la cartella per il relativo pagamento;

4. la Curia impugnava la cartella e ne chiedeva l’annullamento invocando l’art.1306, comma 2, c.c., in riferimento al giudicato formatosi per effetto della sentenza 8452/2016 in favore della condebitrice P.I. srl, riguardo alla illegittimità dell’avviso per inosservanza dell’art.12, comma 7, L.212/00;

5. la CTP di Milano accoglieva il ricorso;

6. con la sentenza in epigrafe, la CTR della Lombardia ha confermato la decisione di primo grado;

7. l’Agenzia ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza. Ha denunciato la violazione degli artt. 1306, comma 2, c.c., 63 e 68 d.lgs. 546/92 e 393 c.p.c. per aver la CTR ritenuto applicabile l’art. 1306, comma 2, c.c. malgrado che, “a fronte della mancata riassunzione del giudizio da parte della Curi, con conseguente estinzione dello stesso, si [fosse] prodotto un effetto di irretrattabilità degli atti impositivi notificati alla Curia”;

8. la Curia Generalizia resiste con controricorso;

9. le parti hanno depositato memorie;

Considerato che

1. l’art. 1306, c.c., dopo avere, al comma 1, disposto che “la sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori”, prevede, al comma 2, che “gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore; gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi”;

2. l’art.63 del d.lgs.546/92 dispone che “1. Quando la Corte di cassazione rinvia la causa alla commissione tributaria provinciale o regionale la riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza nelle forme rispettivamente previste per i giudizi di primo e di secondo grado in quanto applicabili. 2. Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui al comma precedente o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio l’intero processo si estingue”;

3. questa Corte ha affermato che “Nel processo tributario, la sentenza resa tra creditore e condebitore solidale è opponibile al creditore da parte di altro condebitore ove ricorrano le seguenti condizioni: 1) la sentenza sia passata in giudicato; 2) non si sia già formato un giudicato tra il condebitore solidale che intende avvalersi del giudicato e il creditore; 3) ove si tratti di giudizio pendente, la relativa eccezione sia stata tempestivamente sollevata (non dovendo il giudicato essersi formato prima della proposizione del giudizio di impugnazione nel corso del quale viene dedotto); 4) il giudicato non sia fondato su ragioni personali del condebitore solidale (Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n.18154 del 05/07/2019; v. altresì, in tema di applicazione dell’art. 1306 c.c. alla solidarietà tributaria, SU 22 giugno 1991, n. 7053);

4. la questione sollevata dall’Agenzia verte sulla seconda condizione;

5. la tesi dell’Agenzia secondo cui, l’art. 1306, comma 2, c.c., sarebbe stato erroneamente ritenuto applicabile dalla CTR in quanto, “a fronte della mancata riassunzione del giudizio da parte della Curia, con conseguente estinzione dello stesso, si è prodotto un effetto di irretrattabilità degli atti impositivi notificati alla Curia”, frutto di una sovrapposizione tra definitività dell’atto, e giudicato sulla legittimità dell’atto, è infondata.

5.1. Per effetto della mancata riassunzione dopo il rinvio disposto dalla sentenza 8452/92, il processo tra la Curia e l’Agenzia delle Entrate è venuto meno per intero. Non vi è alcun giudicato (sfavorevole alla Curia) sulla legittimità dell’avviso di liquidazione.

5.2. La ripetuta affermazione da parte della Corte del principio secondo il quale l’estinzione del processo per effetto della mancata riassunzione dopo la cassazione con rinvio della sentenza di merito, ai sensi degli artt. 393 c.p.c. e 63, comma 2, d.lgs. 546/92, si estende all’intero giudizio, con il conseguente effetto di consolidamento dell’atto impositivo (tra molte, Cass. 23922/2016; Cass. 9521/2017; Cass. 32276/2018), non solo non esclude che la Curia possa avvalersi del giudicato favorevole alla società coobbligata ma, al contrario, conferma tale possibilità, dato che la Curia, a seguito dell’estinzione del processo, è venuta a trovarsi nella stessa condizione in cui si sarebbe trovata se non avesse mai impugnato l’avviso, valendo dunque per essa il principio secondo il quale “In tema di limiti soggettivi del giudicato tributario, ove, in presenza di più coobbligati solidali, uno solo di essi impugni l’avviso di accertamento, mentre la sentenza che respinga il ricorso non ha effetti nei confronti degli altri, ex art. 1306, comma 1, c.c., al contrario, la pronunzia favorevole, con la quale venga annullato, anche parzialmente, l’unico atto impositivo, esplica i suoi effetti verso tutti i condebitori cui lo stesso sia stato notificato, poiché il processo tributario è di natura costitutiva e volto all’annullamento di atti autoritativi e, pertanto, di essa potrà giovarsi anche il condebitore rimasto processualmente inerte per opporsi alla pretesa di pagamento” (Cass. Sez. 5-, ordinanza n.3204 del 09/02/2018).

5.3. Deve infine osservarsi che del tutto infondatamente l’Agenzia, nella propria memoria, prospetta che la mancata riassunzione del processo dopo il rinvio della Corte configuri, da parte della odierna controricorrente, un abuso del processo. L’abuso del processo ricorre “quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede, nonché dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti” (Cass.25210/2018). Omettere la riassunzione del giudizio costituisce un comportamento neutro, in nessun modo qualificabile come abusivo e in nessun modo censurabile. Peraltro l’abuso, se fosse configurabile, sarebbe stato neutralizzato dall’identico abuso commesso dall’Agenzia dato che essa stessa non ha riassunto quel processo;

6. il ricorso deve essere rigettato;

7. le spese seguono la soccombenza;

8. non si applica l’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna l’Agenzia delle entrate a rifondere alla contribuente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 22.000,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre agli accessori di legge, ed € 200,00 per esborsi.