CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 37269 depositata il 20 dicembre 2022
Tributi – Esenzione prevista dall’art. 7 del D.Lgs. n. 504 del 1992 relativamente agli immobili occupati da Inail ed Inpdap e destinati a compiti istituzionali pubblici – Privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico – F.I.P. – Accoglimento
Rilevato
1. Il Comune di Bari ha notificato alla I.I. (S.), in qualità di società di gestione del F.I.P. e del F.O., l’avviso di accertamento relativo all’i.c.i. per l’anno 2010.
2. La società di gestione del risparmio ha impugnato detto avviso, lamentando la violazione del divieto di confusione dei patrimoni gestiti e la violazione dell’esenzione prevista dall’art. 7 del d.lgs. n. 504 del 1992 relativamente agli immobili occupati da Inail ed Inpdap e destinati a compiti istituzionali pubblici.
3. La Commissione tributaria provinciale ha rigettato il ricorso con sentenza confermata in appello. Nella sentenza di appello la vicenda di fatto è descritta in modo chiaro e puntuale:
nell’ambito delle misure dirette alla privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico è stato costituito il F.I.P.; è stata individuata quale gestore del fondo la società ricorrente; al Fondo sono stati trasferiti immobili pubblici, concessi in locazione all’Agenzia del Demanio e contestualmente assegnati agli stessi soggetti pubblici che già li avevano in uso (v. p. 4 della sentenza impugnata). La Commissione regionale tributaria, nel confermare la sentenza di primo grado, ha affermato che la separazione dei patrimoni dei Fondi è irrilevante ai fini i.c.i., “posto che tale imposta vede quale soggetto passivo il formale proprietario dell’immobile che è pur sempre da individuarsi…nella società di gestione del risparmio”; ha, inoltre, escluso l’applicabilità dell’art. 6, comma 2, del d.l. n. 351 del 2001 nell’ipotesi, come quella in esame, in cui i beni immobili siano confluiti nel patrimonio dei Fondi immobiliari di investimento e la gestione degli immobili non sia più finalizzata alla rivendita, ma a ricavare un reddito a beneficio dei titolari delle quote e sia, pertanto, affidata non agli enti pubblici, ma alle società di gestione del risparmio.
4. Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale ha proposto ricorso per cassazione la società di gestione del risparmio, formulando due motivi.
5. Il Comune di Bari si è costituito con controricorso, eccependo, in via preliminare, la inammissibilità del ricorso ex art. 360-bis n. 1 cod.proc.civ. o, comunque, per difetto di autosufficienza e sostenendone, in via subordinata, la infondatezza.
6. Fissata l’adunanza camerale del 2 dicembre 2022, la causa è stata trattata in camera di consiglio. Le parti hanno depositato memoria. La ricorrente ha eccepito la nullità della procura alle liti della controparte, in quanto priva della indicazione ed allegazione della delibera e della determina di conferimento incarico. Tale eccezione è priva di fondamento, atteso che la rappresentanza processuale del Comune, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, dovendo in tal caso la parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione attraverso la produzione di idonea documentazione, mentre resta, comunque, escluso che incomba sul Comune l’onere di produrre la relativa delibera di giunta, trattandosi di atto consultabile presso gli uffici comunali (Sez. 5, n. 34599 del 30/12/2019, Rv. 656464 – 01). Il Comune di Bari ha eccepito giudicato interno in ordine all’inapplicabilità dell’esenzione di cui all’art. 7 lett. i d.lgs. n. 504 del 1992.
Considerato
1. In primo luogo vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità, in quanto, da un lato, la decisione non è affatto conforme alla giurisprudenza consolidata della Corte e, dall’altro, i motivi formulati sono specifici ed autosufficienti, mentre risulta del tutto irrilevante l’eccezione di giudicato interno rispetto all’esclusione della esenzione di cui all’art. 7 lett. i del d.lgs. n. 504 del 1992 (su tale ultimo aspetto, vedi punto 3).
2. Con il primo motivo la società di gestione del risparmio ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod.proc.civ., la violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 58 del 1998, atteso che l’autonomia patrimoniale dei fondi di investimento comporta che gli stessi siano gli effettivi titolari dei beni in essi confluiti e, quindi, i soggetti passivi del tributo e non la società di gestione, titolare di una proprietà meramente formale, svuotata di ogni sostanza, come confermato anche dall’art. 6, comma 1, della legge di stabilità del 2016 (che autorizza il Ministero dell’Economia e delle Finanze a trasferire beni immobili dello Stato a fondi di investimento). Da tale premessa deriva, quindi, secondo la ricorrente, la nullità dell’avviso di accertamento nei confronti della società di gestione del risparmio, che non può essere considerata la proprietaria dei beni immobili e, pertanto, il soggetto passivo del tributo (peraltro, riferito ad immobili di Fondi diversi e, cioè, del F.O. e del Fondo FIP). In definitiva, la società ricorrente ha dedotto di non essere il soggetto passivo del tributo e non poterle, quindi, essere indirizzato l’avviso di accertamento per l’i.c.i. del 2010.
2.1. Il motivo formulato, con cui la ricorrente ha dedotto il suo difetto di legittimazione passiva rispetto al tributo, è fondato, sia pure in base ad una norma diversa da quella indicata. In proposito deve ribadirsi che la Corte di cassazione può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, sempre che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non può comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio d’una eccezione in senso stretto (Sez. 3, n. 18775 del 2017, Rv. 645168 – 01).
2.2. Dalle allegazioni di entrambe le parti si evince che la società ricorrente è una società costituita per il trasferimento e la dismissione di una parte del patrimonio pubblico e soggetta, dunque, ad una disciplina speciale. In particolare, ai fini dell’i.c.i., l’art. 2, comma 6, del d.l. n. 351 del 2001, conv. in l. n. 410 del 2001, ancora vigente, recita che “Soggetti passivi dell’imposta comunale sugli immobili sono i gestori individuati ai sensi del comma 1, lettera d), dell’articolo 3 per tutta la durata della gestione, nei limiti in cui l’imposta era dovuta prima del trasferimento di cui al comma 1 dell’articolo 3”. Il successivo art. 3 stabilisce che “i beni immobili individuati secondo la procedura di cui all’art. 1 ai sensi dell’articolo 1 possono essere trasferiti a titolo oneroso alle società costituite ai sensi del comma 1 dell’articolo 2 con uno o più decreti di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. L’inclusione nei decreti produce il passaggio dei beni al patrimonio disponibile. Con gli stessi decreti sono determinati: … d) la gestione dei beni immobili trasferiti e dei contratti accessori, da regolarsi in via convenzionale con criteri di remuneratività”. Dalla lettura congiunta delle due disposizioni si desume, pertanto, che soggetti passivi dell’i.c.i. sono non le società di gestione del risparmio titolari dei fondi in cui sono confluiti i beni immobili trasferiti, ma piuttosto i soggetti a cui i beni sono assegnati per la gestione ed utilizzazione, da individuarsi di volta in volta. In questo senso si è già espressa, più volte, questa Corte, anche in una serie di precedenti tra le stesse parti.
2.3. E’ sufficiente rinviare a Sez. 5, n. 4138 del 2021, Rv. 660665 – 01, secondo cui, in tema di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, sono soggetti passivi dell’imposta comunale sugli immobili e dell’imposta municipale propria, ai sensi dell’art. 2, comma 6, del d.l. n. 351 del 2001, conv., con modif., dalla l. n. 410 del 2001, non già le società veicolo costituite in base al disposto del comma 1 del citato art. 2 o i fondi a tali società collegati, ma i soggetti che hanno in uso i beni e che li hanno ricevuti in assegnazione dall’Agenzia del demanio ex art. 4, comma 2 ter, del menzionato d.l. n. 351 del 2001; pertanto, è nei confronti di questi ultimi soggetti che va accertata la sussistenza dei requisiti per godere delle esenzioni dai detti tributi previste dalla normativa vigente.
La giurisprudenza di legittimità ha ormai chiarito che l’art. 2, comma 6, del d.l. n. 351 del 2006, conv. in l. n. 410 del 2001, introduce, ai fini ICI, una disciplina speciale che deroga ai normali criteri di individuazione dei soggetti passivi dell’imposta, in genere coincidenti con i titolari di diritti reali nel possesso dell’immobile, precisando che, nella specie, viene in rilievo, invece, la posizione dei “gestori individuati ai sensi del comma 1, lettera d), dell’articolo 3”.
Per l’esattezza, come precisato dalle decisioni della Cass., Sez. V, n. 25152 e n. 25153 del 7 dicembre 2016, in tema di ICI concernente la diversa, ma simile, operazione S., che coinvolgeva la società veicolo S. srl, le società di cartolarizzazione, che sono mere società veicolo incaricate degli adempimenti necessari alla proficua vendita degli immobili, non sono soggette all’imposta, che continua a gravare sull’ente proprietario e gestore, come si desume dal combinato disposto degli articoli 2, commi 2 e 6, e 3, comma 1, del d.l. n. 351 del 2001 (conv., con modif., dalla legge n. 410 del 2001), e del d.m. n. 18765 del 3 novembre 2001. L’intero sistema delle privatizzazioni immobiliari che fa capo al d.l. n. 351 del 2001 si fonda sull’individuazione di una società veicolo (prima la S. srl, ora la S. spa) che è incaricata di occuparsi del collocamento sul mercato di alcuni immobili, direttamente o tramite dei titoli. I compiti della detta società veicolo sono, quindi, specifici. Nell’eventualità che gli immobili siano conferiti ad un fondo, la stessa società veicolo si limita a rappresentare formalmente all’esterno il fondo de quo, che ha la titolarità sostanziale dei beni, tanto che questi non entrano del tutto nel patrimonio della medesima società, ma restano separati. La concreta gestione dei cespiti, pertanto, non spetta alla S. spa, la quale, al massimo, si occupa della gestione, all’esterno, del fondo nel suo complesso, ma non delle sue singole componenti, così come la S. srl procedeva alla cartolarizzazione, ma non seguiva i singoli immobili. Ne deriva che il presupposto per l’applicazione dell’articolo 2, comma 6, del d.l. n. 351 del 2001, in tema di individuazione dei soggetti passivi ai fini ICI, non è la semplice costituzione della società veicolo e il trasferimento dei beni a quest’ultima od al fondo ad essa collegato, ma l’individuazione dei soggetti cui è affidata la gestione degli immobili, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del d.l. n. 351 del 2001. Pertanto, al fine di individuare il soggetto passivo di imposta ai fini ICI nelle operazioni come quelle de quibus, occorre verificare se i singoli beni oggetto dell’accertamento siano rimasti nella disponibilità dell’ente proprietario o di quello utilizzatore e con quale impiego, in modo da potere così stabilire se trovi applicazione il disposto dell’articolo 2, comma 6, del d.l. n. 351 del 2001, per il quale “soggetti passivi dell’imposta comunale sugli immobili sono i gestori individuati ai sensi del comma 1, lettera d), dell’articolo 3 per tutta la durata della gestione, nei limiti in cui l’imposta era dovuta prima del trasferimento di cui al comma 1 dell’articolo 3”.
D’altronde, l’articolo 2, comma 6, del d. n. 351 del 2001, nel derogare ai criteri generali di individuazione dei soggetti passivi ICI, ha introdotto una regolamentazione generale concernente le privatizzazioni immobiliari disciplinate dal medesimo d.l. n. 351 del 2001, in base alla quale gli enti in origine titolari degli immobili dismessi mantengono, fino alla cessione definitiva, la gestione degli stessi e, qualora continuino ad avvalersene per i loro scopi istituzionali o per le altre ragioni indicate dalla normativa, sono considerati soggetti passivi per ICI, nonostante la proprietà degli stessi sia ormai riferibile alla società vettore e/o al fondo immobiliare. Ciò si giustifica in quanto la società vettore è solo titolare formale del diritto reale, mentre il fondo, titolare sostanziale del diritto, è, però, un patrimonio separato privo di soggettività giuridica esterna.
Questa interpretazione dell’articolo 2, comma 6, del d.l. n. 351 del 2001, che esclude la società veicolo dal novero dei gestori individuati ai sensi del comma 1, lettera d), ha il pregio di essere coerente: con l’indirizzo giurisprudenziale in tema di operazioni S. e con quello che ha escluso la qualifica di soggetto passivo ICI dell’Agenzia del Demanio (Cass., Sez. 5, n. 10655 del 17 aprile 2019); con la lettera dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del d. n. 351 del 2001, che chiaramente distingue il trasferimento dei beni dalla loro gestione, rendendo palese come non basti il primo perché si abbia automaticamente pure la seconda; con la parte dell’articolo 2, comma 6, del d.l. in questione, ove è scritto che “soggetti passivi dell’imposta comunale sugli immobili sono i gestori individuati ai sensi del comma 1, lettera d), dell’articolo 3 per tutta la durata della gestione, nei limiti in cui l’imposta era dovuta prima del trasferimento di cui al comma 1 dell’articolo 3”, atteso che la frase “nei limiti in cui l’imposta era dovuta prima del trasferimento di cui al comma 1 dell’articolo 3” non avrebbe senso compiuto se non si riferisse all’occupazione dei cespiti da parte dei soggetti, pubblici, che, prima della privatizzazione, erano proprietari ed utilizzatori degli stessi e che, quindi, in ragione della loro attività istituzionale, non erano tenuti a corrispondere l’ICI; con la circostanza che, quando nel medesimo articolo 2 del d.l. n. 351 del 2001 il legislatore ha voluto riferirsi, ai commi 1, 2, 3, 4, 5 e, persino, 6, alle società veicolo, le ha indicate espressamente come “società”, “società costituite ai sensi del comma 1” e “società di cui al comma 1”, ma mai come “gestori” o “gestori individuati ai sensi del comma 1, lettera d), dell’articolo 3”; con il fatto che, ai sensi della lettera a) dell’allegato 1 al decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 15 dicembre 2004, che regola i contenuti del rapporto fra il Fondo e l’Agenzia del demanio, gli immobili in questione sono concessi in locazione dal Fondo all’Agenzia del demanio e “il contratto di locazione prevede l’assegnazione da parte dell’Agenzia del demanio degli immobili locati ai soggetti che li avevano in uso prima dell’apporto ovvero del trasferimento al Fondo; gli immobili sono utilizzati conformemente all’uso cui sono stati destinati sino alla data di efficacia…”; con la lettera a) dell’allegato 2 del menzionato decreto del 15 dicembre 2004, che concerne il disciplinare di assegnazione in uso degli immobili da parte dell’Agenzia del demanio, per cui gli immobili sono assegnati in uso dall’Agenzia del demanio ai soggetti che avevano in uso prima del trasferimento, nello stesso stato di fatto e di diritto nel quale si trovavano in precedenza; con la lettera e) dell’allegato 2 del decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 15 dicembre 2004, per il quale “è a carico di ciascun soggetto assegnatario ogni spesa, costo e/o onere di qualsiasi genere connessi agli immobili ed al loro utilizzo, ivi comprese le utenze…le tasse di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, le concessioni di passi carrabili e le altre tasse, oneri e contributi locali riferibili agli immobili”.
3. L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo e la conseguente irrilevanza dell’eccezione di giudicato interno formulata dal Comune relativamente alla sussistenza di una delle possibili esenzioni di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 504 del 1992.
4. In definitiva, va accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo. La sentenza impugnata va conseguentemente cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, visto che la ricorrente non è il soggetto passivo del tributo preteso dal Comune, la causa può essere decisa nel merito, con accoglimento dell’originario ricorso. Le spese devono essere integralmente compensate tre le parti, stante la novità e complessità della questione.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso; dichiara integralmente compensate le spese di lite tra le parti.