CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 375 depositata il 10 gennaio 2023
Lavoro – Infortuni sul lavoro in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto – Responsabilità del Comune appaltante dei lavori – Domanda di regresso dell’INAIL nei confronti del datore di lavoro e dei civilmente responsabili dell’infortunio – Responsabilità del committente anche in caso di subappalto – Rilevanza della sentenza penale di patteggiamento – Rigetto
Con sentenza del 19/3/19 la Corte d’Appello di Campobasso ha confermato la sentenza del 7/4/17 con la quale il tribunale di Isernia aveva accolto la domanda di regresso proposta dall’INAIL nei confronti del datore di lavoro e dei civilmente responsabili dell’infortunio letale occorso il 5.5.97 al lavoratore S.G. (a causa dello smottamento delle pareti di uno scavo fatto nell’esecuzione del lavoro), in relazione al quale infortunio l’Istituto aveva pagato le prestazioni previdenziali in favore della vedova del lavoratore.
Il giudice di merito ha affermato la responsabilità del comune di Frosolone quale committente dei lavori, dei signori B. e M. quali direttori dei lavori del comune, del sig. Z. titolare della ditta appaltatrice dei lavori (e subappaltante), del sig. T. quale responsabile di cantiere della ditta ora richiamata e del sig. C. quale subappaltatore e datore di lavoro dell’infortunato; li ha quindi condannati a pagare in solido tra loro a favore dell’INAIL la somma di 676.277, oltre interessi.
In particolare, la corte territoriale ha affermato: la responsabilità del comune appaltante in relazione all’ingerenza nei lavori manifestata attraverso i direttori dei lavori dallo stesso nominati; la responsabilità dei signori B. e M. quali direttore dei lavori ed in quanto gli stessi avevano fatto il progetto, erano presenti in cantiere ed avevano dato disposizioni in ordine all’esecuzione dei lavori, avevano verificato la regolarità dei lavori anche per la sicurezza, dando indicazioni in merito allo scavo e ai fini di sicurezza del cantiere; la responsabilità dei sig. Z. e T. che avevano elaborato il piano della sicurezza (che prevedeva specificamente il rischio di smottamento delle pareti dello scavo e che però non era stato attuato) e si erano ingeriti nell’esecuzione dei lavori; la responsabilità del sig. C. quale datore di lavoro nonché subappaltatore ed esecutore dei lavori.
Avverso tale sentenza ricorre il comune per tre motivi; B. e M. propongono controricorso e ricorso incidentale per quattro motivi, Z. propone controricorso e ricorso incidentale per due motivi, T. propone controricorso e ricorso incidentale per tre motivi, C. è rimasto intimato. Resiste al ricorso principale ed ai ricorsi incidentali l’INAIL, rispettivamente con due distinti controricorsi. I ricorrenti principale ed incidentali hanno depositato memorie.
Con il primo motivo il comune, ricorrente principale, deduce violazione degli articoli 9, 10 ed il del DPR 1124 del 1965, 1916 del codice civile, 442 del codice di procedura civile, 2055 del codice civile e violazione degli articoli 32 e 51 del capitolato speciale dell’appalto (che escludeva da responsabilità del comune), per avere la corte territoriale ritenuto l’automatismo ex articolo 26 decreto legislativo 81 del 2008 per la responsabilità del committente al di là della concreta incidenza della condotta.
Il motivo è infondato.
In linea generale, infatti, deve rilevarsi che la responsabilità dell’appaltatore non solo non esclude quella del committente (Sez. 3, Sentenza n. 25758 del 15/11/2013, Rv. 629134 – 01), ma anzi quest’ultima è configurabile quando vi sia stata in concreto assunzione di una posizione di garanzia e comunque, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d’appalto, non viene meno se non per i soli rischi specifici delle attività proprie dell’appaltatore o del prestatore d’opera (Sez. 4 penale, Sentenza n. 12348 del 29/01/2008 Ud., dep. 20/03/2008, Rv. 239252 – 01).
Invero, questa Corte ha già ritenuto (Sez. 4 penale, Sentenza n. 7188 del 10/01/2018 Ud., dep. 14/02/2018, Rv. 272221 – 01) che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di subappalto, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l’infortunio, sia per la scelta dell’impresa sia in caso di omesso controllo dell’adozione, da parte dell’appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, specie nel caso in cui la mancata adozione o l’inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini. Si è anche affermato (Sez. 4 penale, Sentenza n. 28728 del 22/09/2020 Ud., dep. 16/10/2020, Rv. 280049 – 01) che, in materia di infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, sussiste la responsabilità del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati, poiché l’obbligo di verifica di cui all’art. 90, lett. a), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, non può risolversi nel solo controllo dell’iscrizione dell’appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo.
Analoga la posizione delle sezioni civili di questa Corte, che hanno affermato (Sez. 3, Sentenza n, 21694 del 20/10/2011, Rv. 620243 – 01) che, in tema d’infortuni sul lavoro, l’art. 2087 cod. civ., espressione del principio del “neminem laedere” per l’imprenditore e l’art. 7 del d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626, che disciplina l’affidamento di lavori in appalto all’interno dell’azienda, prevedono l’obbligo per il committente, nella cui disponibilità permane l’ambiente di lavoro, di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dall’impresa appaltatrice, consistenti nell’informazione adeguata dei singoli lavoratori e non solo dell’appaltatrice, nella predisposizione di tutte le misure necessarie al raggiungimento dello scopo, nella cooperazione con l’appaltatrice per l’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata, tanto più se caratterizzata dall’uso di macchinari pericolosi. Pertanto l’omissione di cautele da parte dei lavoratori non è idonea ad escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del committente che non abbia provveduto all’adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di svolgimento del lavoro, non essendo né imprevedibile né anomala una dimenticanza dei lavoratori nell’adozione di tutte le cautele necessarie, con conseguente esclusione, in tale ipotesi, del cd. rischio elettivo, idoneo ad interrompere il nesso causale ma ravvisabile solo quando l’attività non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di esso.
Secondo Sez. L, Sentenza n. 11311 del 09/05/2017, Rv. 644232 – 01, e Sez. L, Sentenza n. 17092 del 08/10/2012, Rv. 624403 – 01), poi, l’art. 2087 c.c. che, integrando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da leggi speciali, impone all’imprenditore l’adozione delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro, è applicabile anche nei confronti del committente, obbligandolo a provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori, benché da lui non dipendenti, ove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico-organizzativi dell’opera da eseguire.
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha in concreto accertato che, oltre che operare la scelta dell’impresa esecutrice dei lavori, il comune non si era limitato ad un mero controllo della rispondenza dei lavori appaltati al capitolato, ma aveva dettato -tramite i suoi direttori dei lavori- disposizioni specifiche sui lavori e sulla sicurezza, ingerendosi non solo nella determinazione dello svolgimento dei lavori ma anche in materia di sicurezza, con specifiche disposizioni circa l’esecuzione dello scavo, la sua larghezza e profondità.
In relazione a ciò, anche l’assunto difensivo relativo alla carenza di responsabilità dell’ente locale in ragione della sua presunta estraneità al rapporto assicurativo non è condivisibile, in quanto l’azione di regresso è esperibile non solo nei confronti del titolare del rapporto assicurativo, ma anche di chi assume una posizione di garanzia nel luogo di lavoro, e cioè nei confronti di tutti coloro ai quali incomba l’obbligo di tutelare l’incolumità degli occupati al di là della qualifica formale di datore di lavoro, sicché il debito di sicurezza sussiste nei confronti di tutti coloro che in ragione dell’attività svolta siano gravati di specifici obblighi di prevenzione nei confronti dei lavoratori a rischio (Cass. 18/5/2017 n. 12561).
Con il secondo motivo il comune, ricorrente principale, deduce, ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., vizio della sentenza impugnata per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione sulla responsabilità dell’appaltante.
Il motivo lamenta inammissibilmente un vizio motivazionale ben al di la dei limiti in cui lo stesso è censurabile in sede di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.. Anche a volere inquadrare il vizio dedotto nella norma richiamata dalla parte, il motivo è privo di pregio in quanto la corte territoriale, come evidenziato nel punto precedente, ha reso una motivazione effettiva e non apparente.
Con il terzo motivo si deduce, ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., violazione dell’articolo 2055 codice civile, per aver limitato la graduazione delle colpe al previo regresso.
Il motivo è inammissibile se riguardato alla luce della norma ex n. 5 richiamata, non essendovi i presupposti applicativi della norma, ed è comunque infondato per quanto si dirà infra (in relazione al simile motivo di ricorso, proposto però ex n. 3, dai ricorrenti incidentali).
I sig. B. e M. ricorrono incidentalmente per tre motivi.
Con il primo motivo si deduce violazione degli articoli 132 c.p.c., 1916 c.c., 10 ed 11 testo unico infortuni, per assenza di motivazione sull’ammissibilità del regresso verso soggetti diversi dal datore, non avendo la corte chiarito se essi erano responsabili in ragione della nomina a direttore dei lavori ovvero perché vi era un obbligo di garanzia della stazione appaltante (da cui erano stati nominati).
Il motivo è infondato in quanto la corte ha reso motivazione logica ed adeguata sul punto, evidenziando diffusamente le ragioni della responsabilità dei ricorrenti incidentali, basata come detto in premessa non solo sulla titolarità formale della carica di direttore dei lavori, ma specificamente sulla concreta ingerenza da parte loro nell’esecuzione dei lavori e nella specifica materia della sicurezza; in altri termini, si tratta di responsabilità propria diretta per assunzione di posizione di garanzia e non di responsabilità indiretta.
Né può dubitarsi che sia legittima l’azione in regresso esperita dall’INAIL invece della surroga nei confronti dei preposti del committente, avendo chiarito questa corte (Sez. U, Sentenza n. 3288 del 16/04/1997, Rv. 503736 – 01; Sez. L, Sentenza n. 16141 del 18/08/2004, Rv. 575826 – 01) che l’azione, esercitata dall’I.N.A.I.L. nei confronti delle «persone civilmente responsabili», per la rivalsa delle prestazioni erogate all’infortunato, nel caso di responsabilità penale accertata nei confronti del datore di lavoro o dei suoi preposti alla direzione dell’azienda o alla sorveglianza dell’attività lavorativa configura – non già un’azione surrogatoria ex art. 1916 cod. civ., che l’Istituto può esercitare, facendo valere in sede ordinaria il diritto al risarcimento del danno spettante all’assicurato, contro il terzo responsabile dell’infortunio che sia esterno al rischio protetto dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro – bensì la speciale azione di regresso spettante (“jure proprio”) all’Istituto ai sensi degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, che è esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso i soggetti responsabili o corresponsabili dell’infortunio a causa della condotta da essi tenuta in attuazione dei loro compiti di preposizione o di meri addetti all’attività lavorativa, giacché essi, pur essendo estranei al rapporto assicurativo, rappresentano organi o strumenti mediante i quali il datore di lavoro ha violato l’obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro, senza che a ciò sia di ostacolo la possibile affermazione della loro responsabilità solidale atteso che l’art. 2055 cod. civ. consente la diversità dei rispettivi titoli di responsabilità (contrattuale per il datore di lavoro ed extracontrattuale per gli altri). Nel medesimo senso, si è detto (Sez. L, Sentenza n. 8136 del 28/03/2008, Rv. 602521 – 01) che la speciale azione di regresso spettante “jure proprio” all’INAIL ai sensi degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, esperibile nei confronti del datore di lavoro, si estende automaticamente anche verso i soggetti responsabili civili dell’infortunio sul lavoro chiamati in causa dal datore di lavoro medesimo, gravando su di essi un comune obbligo di sicurezza a causa della condotta da essi tenuta ed in relazione al loro concreto ruolo, sicché essi sono direttamente responsabili dell’infortunio e dei conseguenti obblighi patrimoniali nei confronti dell’istituto assicuratore. Tale azione (Sez. L, Sentenza n. 6212 del 07/03/2008, Rv. 602495 – 01) è esperibile anche verso i soggetti responsabili o corresponsabili dell’infortunio a causa della condotta da essi tenuta in attuazione dei loro compiti di preposizione o di meri addetti all’attività lavorativa, a prescindere dal titolo contrattuale e dalla tipologia lavorativa che li lega al datore di lavoro.
Il principio opera anche nel caso di subappalto, posto che (come evidenziato da Sez. L, Sentenza n. 12561 del 18/05/2017, Rv. 644498 – 01) l’azione di regresso in discorso è esperibile verso tutti i soggetti – come l’appaltante o il subappaltante – che, chiamati a collaborare a vario titolo nell’assolvimento dell’obbligo di sicurezza in ragione dell’attività svolta, siano gravati di specifici obblighi di prevenzione a beneficio dei lavoratori assoggettati a rischio.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale B. e M. deducono violazione degli articoli 99, 101, 444 e 445 c.p.c., 2729 c.c., 654 codice di procedura penale, per avere la corte territoriale posto a fondamento della decisione della responsabilità della parte la sentenza di patteggiamento ed i verbali di sommarie informazioni rese nel corso delle indagini preliminari, trascurando che la sentenza di patteggiamento non ha effetto nei giudizi civili e che le sommarie informazioni non hanno efficacia nel civile a scapito delle prove testimoniali di quel giudizio.
Il motivo viene qui esaminato unitamente ai motivi analoghi presentati -come si dirà infra- dagli altri ricorrenti, ed in particolare il secondo motivo del ricorso incidentale di Z. ed il terzo motivo del ricorso incidentale di T.: i motivi sono infondati.
Quanto alla rilevanza della sentenza di patteggiamento, questa Corte ha già affermato (Sez. U, Sentenza n. 17289 del 31/07/2006, Rv. 591413 – 01) che la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Pertanto la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presupponendo pur sempre una ammissione di colpevolezza, esonera la controparte dall’onere della prova.
Si è per altro verso rilevato (Sez. 3, Sentenza n. 20170 del 30/07/2018, Rv. 650182 – 01) che la sentenza penale di patteggiamento, nel giudizio civile di risarcimento e restituzione, non ha efficacia di vincolo né di giudicato e neppure inverte l’onere della prova, costituendo, invece, un indizio utilizzabile solo insieme ad altri indizi se ricorrono i tre requisiti previsti dall’art. 2729 c.c., atteso che una sentenza penale può avere effetti preclusivi o vincolanti in sede civile solo se tali effetti siano previsti dalla legge, mentre nel caso della sentenza penale di patteggiamento esiste, al contrario, una norma espressa che ne proclama l’inefficacia agli effetti civili (art. 444 c.p.p.).
Applicati i detti principi al caso di specie, deve rilevarsi che la corte territoriale nella sentenza impugnata ha attribuito la corretta rilevanza alla sentenza di patteggiamento, pervenendo all’affermazione di responsabilità in considerazione della stessa non in sé ma unitamente alle altre emergenze probatorie, ritenute univoche, derivanti per un verso dagli elementi probatori evincibili dalle indagini preliminari e, per altro verso, dall’istruttoria espletata (documenti e prove orali) nel corso del giudizio di primo grado.
Con il terzo motivo si deduce violazione degli articoli 10 e 11 del testo unico infortuni, 2043 codice civile, del decreto legislativo 494 del 1996, per avere la corte territoriale attribuito rilevanza ad un ordine di servizio da cui era stata desunta l’ingerenza dei direttori dei lavori, nonostante i fatti si fossero svolti in modo diverso, senza alcun nesso causale con l’infortunio e nonostante l’autonomia dell’appaltatore, e sebbene il direttore dei lavori non avesse in concreto alcun potere di ingerenza.
Il motivo è infondato. Occorre premettere che la responsabilità dei signori B. e M. è stata affermata dalla corte territoriale quali direttori dei lavori ed in quanto gli stessi avevano fatto il progetto, erano presenti in cantiere, avevano dato disposizioni in ordine all’esecuzione dei lavori, avevano verificato la regolarità dei lavori anche per la sicurezza, dando indicazioni in merito allo scavo e ai fini di sicurezza del cantiere. In linea generale, quanto poi alla specifica posizione del direttore dei lavori del committente, si è già precisato (Sez. 3 penale, Sentenza n. 19646 del 08/01/2019 Ud., dep. 08/05/2019, Rv. 275746 – 01) che il direttore dei lavori nominato dal committente, pur svolgendo normalmente una attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all’esecuzione del progetto nell’interesse di questi, risponde dell’infortunio subito dal lavoratore qualora gli venga affidato il compito di sovrintendere all’esecuzione dei lavori, con possibilità di impartire ordini alle maestranze in virtù di una particolare clausola inserita nel contratto di appalto o qualora, per fatti concludenti, risulti la sua concreta ingerenza nell’organizzazione del lavoro.
E’ bene precisare inoltre che l’affermazione della responsabilità del direttore dei lavori si ricollega all’ingerenza in genere nell’organizzazione del lavoro, ciò che implica l’assunzione di una posizione di garanzia, mentre la responsabilità non si ricollega all’essere l’infortunio una specifica conseguenza dell’ingerenza, ossia di uno specifico ordine o disposizione di servizio (la quale fonderebbe invece una responsabilità immediata per l’evento causalmente ricollegato).
In riferimento a caso simile a quello oggetto della presente controversia, Sez. 4 penale, Sentenza n. 49900 del 2019, ha affermato che, in tema di prevenzione degli infortuni, il direttore dei lavori nominato dal committente, pur svolgendo normalmente una attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all’esecuzione del progetto nell’interesse di questi, risponde dell’infortunio subito dal lavoratore qualora gli venga affidato il compito di sovrintendere all’esecuzione dei lavori, con possibilità di impartire ordini alle maestranze in virtù di una particolare clausola inserita nel contratto di appalto o qualora, per fatti concludenti, risulti la sua concreta ingerenza nell’organizzazione del lavoro (nel medesimo senso anche Sez. 3 n. 19646 del 08/01/2019 ud., dep. 08/05/2019, Rv. 275746 – 01).
Nel caso qui in disamina, come ripetuto, la corte territoriale ha accertato la responsabilità dei due direttori dei lavori nominati dal committente in quanto essi hanno ammesso di aver partecipato attivamente alla gestione del cantiere edile, avendo seguito i lavori di cui verificavano la regolarità anche sotto il profilo della sicurezza, direttamente ingerendosi dell’esecuzione dei lavori e dando specifiche disposizioni sulle modalità di esecuzione dello scavo, ricollegando a ciò l’assunzione di una posizione di garanzia e la specifica responsabilità civile.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione degli articoli 1294, 2043 e 2055 codice civile, per non avere la corte territoriale graduato le colpe dei vari soggetti responsabili.
Il motivo va esaminato unitamente ai motivi analoghi presentati dagli altri ricorrenti, ed in particolare i motivi terzo del ricorso principale e primo del ricorso incidentale T. (per il secondo dei profili ivi evidenziati, come si chiarirà infra): tali motivi sono infondati.
Questa Corte ha infatti già detto (Sez. L, Sentenza n. 8372 del 09/04/2014, Rv. 630460 – 01) in tema di infortuni sul lavoro che, quando un danno di cui si chiede il risarcimento è determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta contribuisce alla produzione dell’evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell’art. 1294 cod. civ. fra tutti costoro, qualunque sia il titolo per il quale ciascuno di essi è chiamato a rispondere, dal momento che, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se un unico evento dannoso è ricollegabile eziologicamente a più persone, è sufficiente, ai fini della responsabilità solidale, che tutte le singole azioni od omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni (patrimoniali e non) da risarcire. Nel medesimo senso, si è osservato (Sez. 3, Sentenza n. 21664 del 08/11/2005, Rv. 584984 – 01) che la persona danneggiata in conseguenza di un fatto illecito imputabile a più persone legate dal vincolo della solidarietà, può pretendere la totalità della prestazione risarcitoria anche nei confronti di una sola delle persone coobbligate, mentre la diversa gravità delle rispettive colpe di costoro e la eventuale diseguale efficienza causale di esse possano avere rilevanza soltanto ai fini della ripartizione interna del peso del risarcimento fra i corresponsabili; conseguentemente il giudice del merito, adito dal danneggiato può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei detti condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri, atteso che solo nel giudizio di regresso può discutersi della gravità delle rispettive colpe e delle conseguenze da esse derivanti.
Quanto al ricorso incidentale di Z., con il primo motivo si deduce violazione degli articoli 112, 115 c.p.c., 2734 c.c., per avere la corte territoriale trascurato che i lavori erano stati subappaltati senza alcuna culpa in eligendo né ingerenza nell’esecuzione dei lavori, come confermato dall’assenza di operai del subcommittente nel cantiere, e per avere attribuito una responsabilità indiretta mai allegata dall’istituto.
Occorre premettere che la responsabilità dello Z. deriva secondo la sentenza impugnata dall’essere Z. titolare della ditta appaltatrice dei lavori, ciò che gli imponeva di attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, provvedendo ad eliminare il rischio dell’esposizione del lavoratore al pericolo di smottamento: in particolare, la responsabilità si ricollegava alla diretta elaborazione del piano della sicurezza (che prevedeva specificamente il rischio di smottamento delle pareti dello scavo e che però non era stato attuato) e nell’accertata ingerenza nell’esecuzione dei lavori.
Come già anticipato, nell’ambito del contratto di appalto la responsabilità in materia di sicurezza fa capo all’appaltatore, salvo che non vi sia una previsione contrattuale che contenga una deroga a tali principio generale, essendosi il committente riservato i poteri tecnico organizzativi dell’opera da realizzare (nel quale caso risponderà solo il committente) (Cass. 28/10/2009, n. 22818).
Si aggiunge in tema (con Sez. L, Sentenza n. 9065 del 19/04/2006, Rv. 588497 – 01 e Sez. L, Sentenza n. 21540 del 15/10/2007, Rv. 600139 – 01) che, in tema di appalto per una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso o quando si versi nella ipotesi di culpa in eligendo, la quale ricorre qualora il compimento dell’opera o del servizio siano stati affidati ad un’impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi. Tali principi valgono anche in materia di subappalto perché il subcommittente risponde nei confronti dei terzi in luogo del subappaltatore, ovvero in via solidale con lui, quando – esorbitando dalla mera sorveglianza sull’opera oggetto del contratto al fine di pervenire alla corrispondenza tra quanto pattuito e quanto viene ad eseguirsi – abbia esercitato una concreta ingerenza sull’attività del subappaltatore al punto da ridurlo al ruolo di mero esecutore ovvero agendo in modo tale da comprimerne parzialmente l’autonomia organizzativa, incidendo anche sull’utilizzazione dei relativi mezzi. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto dalla subcommittente in ordine all’affermazione della sua corresponsabilità con riferimento ai danni subiti da un lavoratore dipendente della ditta subappaltatrice, alla stregua della corretta valutazione contenuta nella sentenza impugnata circa la sua ingerenza e l’assunzione dell’obbligo di attuazione delle misure di prevenzione relative all’esecuzione dei lavori oggetto del contratto di subappalto).
Per altro verso (Sez. 4 penale, Sentenza n. 12440 del 07/02/2020 Ud., dep. 20/04/2020, Rv. 278749 – 01), il subappaltante è esonerato dagli obblighi di protezione solo nel caso in cui i lavori subappaltati rivestano una completa autonomia, sicché non possa verificarsi alcuna sua ingerenza rispetto ai compiti del subappaltatore.
Nel caso di specie, come evidenziato la responsabilità dell’appaltatore non trovava limite né in quella del committente, né in quella del subappaltatore, cumulandosi invece le relative responsabilità in relazione alla posizione di garanzia assunta congiuntamente da tutti i soggetti della catena produttiva, secondo quando detto per ciascuno di essi nella sentenza impugnata.
Quanto al secondo profilo rilevato nel motivo, la sentenza impugnata ha operato una mera modifica dell’argomentazione invocata dall’appellato per fondare la responsabilità del subcomminttente, sempre però sulla base dei fatti allegati dalla parte. Contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti incidentali (primo motivo di Z. e secondo motivo di T., che a tal fine possono essere trattati congiuntamente), la decisione dei giudici di merito non ha comportato alcun mutamento del petitum né della causa petendi, essendovi mere diverse argomentazioni addotte per fondare il giudizio di responsabilità, basato non su culpa in eligendo (come asserito dai ricorrenti incidentali), bensì sulla violazione dell’obbligo proprio di sicurezza, correlato al dovere di approntare la sicurezza del cantiere proprio del titolare della ditta appaltatrice destinataria delle norme antinfortunisitche e, per altro verso, del responsabile di cantiere.
Quanto detto vale tanto più in presenza di un rischio non specifico del subappaltatore, ma di un rischio del tutto generico, apprezzabile come tale da tutti i soggetti coinvolti nel sistema di sicurezza del cantiere (v. pure Sez. 4 penale, Sentenza n. 5946 del 18/12/2019 Ud., dep. 17/02/2020, Rv. 278435 – 01).
Con il secondo motivo del ricorso incidentale del sig. Z., si deduce violazione degli articoli 445, 112, 113, 115 c.p.c., 2729 e 2737 c.c., per avere la corte territoriale fondato la responsabilità sulla sentenza di patteggiamento in assenza di altri indizi e trascurando da un lato le risultanze di apposita perizia geologica che aveva evidenziato la solidità del terreno oggetto dello scavo e, per altro verso, l’assenza di dipendenti sul cantiere (che era invece nella disponibilità del subappaltatore).
Il motivo è già stato oggetto di disamina supra, unitamente ai motivi analoghi presentati dagli altri ricorrenti.
Quanto al ricorso incidentale del sig. T., si premette che la responsabilità di questo secondo la sentenza impugnata derivava dall’essere il T. responsabile dei lavoro nominato dall’appaltatore, ciò che imponeva ad entrambi i soggetti di attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, provvedendo ad eliminare il rischio dell’esposizione del lavoratore al pericolo di smottamento: in particolare, anche la responsabilità del sig. T. secondo la corte territoriale si ricollegava all’elaborazione del piano della sicurezza (che prevedeva specificamente il rischio di smottamento delle pareti dello scavo e che però non era stato attuato), all’accertata presenza in cantiere ed alla responsabilità del sito proprio con riguardo all’osservanza delle norme sulla sicurezza, nonché infine alle disposizioni che lo stesso dava proprio in relazione all’esecuzione dello scavo; la sentenza inoltre ricorda che con delibera di Giunta comunale precedente l’infortunio si era espressamente previsto che tutti i piani, compreso quello della sicurezza, dovevano essere coordinati e resi compatibili con i propri a cura dell’appaltatore e che gravava sul direttore tecnico del cantiere la responsabilità del rispetto del piano da parte di tutte le imprese impegnate nella esecuzione dei lavori.
Il primo motivo del ricorso incidentale del sig. T. deduce violazione dell’articolo 2055 c.c., per avere la corte territoriale trascurato che l’esecuzione dei lavori operava sulla base di disposizioni del committente e per non aver graduato le colpe tenendo conto che il cantiere era affidato al subappaltatore.
Il primo motivo del ricorso T. pone due distinti problemi, da un lato quella dell’esonero da responsabilità in ragione del ruolo svolto dal committente, in secondo luogo il profilo della graduazione delle colpe dei vari soggetti responsabili.
Mentre del secondo profilo si è già detto supra, in relazione a motivo analogo di altri responsabili civili, quanto al primo profilo, questa Corte (Sez. L, Sentenza n. 11757 del 27/05/2011, Rv. 617454 – 01) ha già affermato la responsabilità del committente nei riguardi dei terzi ove risulti provato che il fatto lesivo è stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, il quale, esorbitando dalla mera sorveglianza sull’opera oggetto del contratto, abbia in tal modo esercitato una concreta ingerenza sull’attività dell’appaltatore, al punto da ridurlo al ruolo di mero esecutore.
Ora, a parte il fatto che la responsabilità del committente non esclude quella dell’appaltatore ove questo abbia assunto comunque una posizione di garanzia, va rilevato che nella specie dagli atti non risulta in alcun modo che l’appaltatore sia stato mero esecutore delle disposizioni di sicurezza del committente, essendo emerso di contro che entrambi i soggetti hanno assunto una posizione di garanzia.
Con il secondo motivo si deduce violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c., 2734 c.c. per avere affermato la responsabilità indiretta, modificando la causa petendi della domanda che era ancorata invece alla responsabilità diretta quale incaricato del piano di sicurezza.
Con il terzo motivo si deduce violazione degli articoli 445, 112, 113 e 115 c.p.c., 2729 e 2737 c.c., per avere la corte territoriale fondato la responsabilità sulla sentenza di patteggiamento in assenza di altri indizi, trascurando inoltre che il cantiere era nella disponibilità del subappaltatore.
Entrambi i motivi sono stati esaminati in precedenza, unitamente ai motivi analoghi presentati dagli altri ricorrenti, e sono come detto infondati.
Per tutto quanto detto, tutti i ricorsi, sia quello principale, sia quelli incidentali, devono essere rigettati.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo, tenuto conto della diversa attività difensiva posta in essere dall’Inail per contrastare da un lato il ricorso principale e, per altro verso, i ricorsi incidentali.
Sussistono i presupposti processuali -a carico del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali- per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi (principale ed incidentali).
Condanna il ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali il pagamento delle spese a favore del dell’INAIL, spese che si liquidano in euro 8000 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi a carico del comune, ed euro 16.000 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi a causa delle altre parti in solido, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.