CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 3784 depositata l’ 8 febbraio 2023
Tributi – Credito di imposta spettante in relazione agli investimenti per aree svantaggiate – Crediti non spettanti e crediti inesistenti – Utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti – Sanzioni applicabili
Fatti di causa
La F. s.r.l. e il suo legale rappresentante, D.F., anche in proprio, impugnarono l’atto con cui l’Agenzia delle entrate ebbe a recuperare crediti di imposta, ritenuti non spettanti, perché utilizzati dalla Società in compensazione nelle annualità 2014, 2015, 2016 e 2017, per una somma complessiva di euro 266.877,79 oltre interessi e sanzioni. Tale atto traeva origine dal processo verbale con il quale i verificatori avevano ricostruito il credito di imposta spettante in relazione agli investimenti per aree svantaggiate, effettuati nelle annualità 2007, 2008 e 2009. Veniva, anche, appurato un minor credito di imposta per euro 6.395,69, rispetto a quanto indicato nel modello FAS.
Il ricorso venne rigettato dall’adita Commissione tributaria di prima istanza e la decisione, appellata dalla Società, e da D.F., è stata parzialmente riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.) la quale accertava in capo alla Società il maggior credito di euro 6.936,80 per l’anno 2009, rigettando il resto.
In particolare, la C.T.R., rigettata preliminarmente l’eccezione di inammissibilità dell’atto di appello che riteneva specifico, nel merito, accertava che la Società aveva realizzato investimenti agevolati negli anni 2007, 2008 e 2009, ai sensi della legge n.296 del 2006, in seguito ai quali il Centro operativo di Pescara aveva concesso crediti di imposta, tutti utilizzabili a partire dall’anno 2014 e seguenti e che, invece, la Società aveva proceduto a compensazioni nell’anno 2010, con riferimento ai crediti di imposta relativa agli anni 2007 e 2008, e, nell’anno 2016 con riferimento ai crediti d’imposta per gli anni 2008/2009, oltre alle altre compensazioni elencate.
Con riferimento ai singoli motivi di appello rilevava, in ordine al primo (violazione dell’art. 2697 cod. civ.), che l’onere probatorio era stato assolto dall’Amministrazione in quanto seppur l’Ufficio richiama la sua banca informatica, in realtà la situazione è rilevata dalla documentazione cartacea e, fino a una certa data dal p.v.c. e che, comunque, lo stesso contribuente aveva ammesso di avere utilizzato crediti di imposta già utilizzati in precedenza e aveva proposto altre questioni. Le risultanze dell’AT, nella fattispecie, erano assimilabili al controllo automatizzato ex art.36 bis DPR n.600/73.
In ordine al secondo e al terzo motivo di appello, la C.T.R. rilevava che la tesi dell’appellante che…dovesse essere applicato il comma 4, dell’art.13 del d.lgs. n.471/1997 (credito non spettante), il quale prevede la sanzione pari al 30% era infondata in quanto, nella fattispecie si versava nell’ipotesi di compensazione di crediti inesistenti previsti dal quinto comma dell’art.13 (sanzione dal 100 al 200%) e non di crediti non spettanti, previsti dal quarto comma, e che, malgrado fosse vero che originariamente sussistevano i presupposti per l’esistenza del credito per euro 235.980,31, tuttavia il contribuente aveva utilizzato totalmente il credito maturato per l’anno 2007 e per l’anno 2008 entro l’anno 2010, nonostante la fruizione fosse stata autorizzata a decorrere dal 2014. Pertanto, al momento della seconda fruizione avvenuta negli anni dal 2014 in poi, non sussisteva alcun credito d’imposta per quel periodo, anzi era stata utilizzata un’ulteriore compensazione, per euro 9.281,00 con riferimento all’anno 2007 e per euro 52.575,00 con riferimento all’anno 2008, così come negli anni successivi. La C.T.R. elencava, quindi, tutte le ulteriori compensazioni effettuate negli anni 2015, 2016 e 2017.
La C.T.R. evidenziava, ancora, che l’annullamento dell’atto di recupero n.1069 del 22.12.2015, eseguito in autotutela dall’Ufficio non faceva resuscitare il credito indebitamente compensato e che il contribuente non poteva prima compensare un credito di imposta non ancora fruibile e quando l’Ufficio gli contesta la seconda fruizione, eccepire che doveva essere contestata la prima e che, nella fattispecie, si era in presenza di crediti inesistenti, perché già utilizzati, sia pure indebitamente.
In ordine, al quarto motivo, relativo alla riduzione del credito per l’anno 2009, effettuata perché alcuni beni oggetto di investimento non erano stati rinvenuti, la C.T.R. riteneva che il contribuente avesse fornito la prova dell’acquisto di tali beni e del loro ammortamento mentre, dal canto suo, l’Amministrazione finanziaria aveva agito oltre il termine (quinto periodo di imposta) fissato dall’art. 1, comma 277, della legge n. 296 del 2006, con conseguente riconoscimento del credito per euro 6.936,80.
Rigettava, infine, tutta una serie di eccezioni preliminari di merito svolte da parte appellante e ribadite con il quinto motivo dell’atto di appello.
Per la cassazione della sentenza la F. s.r.l. e D.F. hanno proposto ricorso, su sei motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e propone, a sua volta, ricorso incidentale su due motivi.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380 bis-1 cod.proc.civ., in prossimità della quale la Società, a mezzo di nuovo procuratore, nominato dal G.I.P. del Tribunale di Catanzaro nel proc. pen. r.g.n. 7355/2015, ha depositato memoria.
Con ordinanza, resa all’esito dell’adunanza camerale, questa Corte disponeva trattarsi il ricorso alla pubblica udienza.
Il ricorso è stato, quindi, avviato alla trattazione alla pubblica udienza, nelle forme di cui all’art. 23, comma 8 bis, della legge n. 176 del 2020, in prossimità della quale il P.G., nella persona del Sostituto Procuratore generale A.P., ha depositato le sue conclusioni, chiedendo l’accoglimento per quanto di ragione del quarto motivo del ricorso, rigettati gli altri.
La Società e il ricorrente D.F. hanno depositato autonome memorie.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso principale proposto dalla F. s.r.l. e da D.F..
1.1 Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. per avere, la C.T.R., ritenuto provate le presunte compensazioni, eseguite nel 2010, ritenendo che le risultanze dell’anagrafe tributaria fossero assimilabili al controllo automatizzato di cui all’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e che lo stesso contribuente avesse ammesso tale utilizzazione, senza specificare in quali atti processuali fossero contenute tali ammissioni.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso – rubricato: nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt.36 e 61 D. Lgs. n.546/1992, 132, comma 1, n.4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., 111 comma 6 e 24 Cost. in relazione all’art.360 n.4 c.p.c.- si denunzia la sentenza impugnata di nullità per motivazione mancante e/o apparente, non avendo il Giudice di appello specificato i documenti dai quali avrebbe tratto il proprio convincimento in ordine all’utilizzazione dei crediti nell’anno 2010.
1.3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art.360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2, secondo comma, lett. a) del d.l. n.97 del 2008, convertito dalla legge n.129 del 2008, e dell’art.13, quarto e quinto comma del d.lgs. n.471 del 1997, come modificato dall’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 24.09.2015, nonché dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n.472 del 18.12.1997 e dell’art.1 della legge n.689 del 1981.
In sintesi, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere, in presenza di compensazioni, alcune eseguite nel 2010 in violazione delle modalità di utilizzo stabilite nel nulla osta e altre eseguite, nel rispetto di tali modalità, negli anni 2014 e seguenti, ritenuto legittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria che aveva recuperate le seconde, ovverossia le compensazioni che erano state eseguite nel pieno rispetto della norma. Con il mezzo di impugnazione, premesse le modifiche legislative introdotte dall’art.15 del d.lgs. n. 158 del 24 settembre 2015 all’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, in tema di differenza tra crediti non spettanti e crediti inesistenti, si chiede a questa Corte di superare l’orientamento inaugurato con la sentenza n. 19237 del 02/08/2017 (L’art. 27, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, conv., con modif., dalla l. n. 2 del 2009, nel fissare il termine di otto anni per il recupero dei crediti d’imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l’ “inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico – giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l’investimento che ha generato il credito d’imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per il comune avviso di accertamento>>.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 cod. proc. civ. la violazione o falsa applicazione dell’art. 13, quinto comma, del d.lgs. n. 471 del 1997 nonché dell’art. 3, comma primo, del d.lgs. n.471 del 1997 e dell’art.1 della legge n.689 del 1981. I ricorrenti -premesso di avere pagato degli avvisi, poi annullati in autotutela, mediante compensazioni effettuate negli anni 2015 e 2016 e che tale annullamento comportava la non debenza, fin dall’origine, delle somme pretese e pagate mediante tali compensazioni- censurano la sentenza impugnata per avere ritenuto egualmente sussistente l’illecito amministrativo di cui al citato art. 13 il quale prevede l’applicazione della sanzione qualora vi sia utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento di somme dovute e non, come nel caso in esame, di somme che la stessa C.T.R. aveva riconosciuto non essere dovute.
1.5 Con il quinto motivo di ricorso si denunzia la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia, con violazione degli articoli 112, 342 e 161 cod. proc. civ., sull’eccezione relativa al ravvedimento operoso effettuato dalla Società in data anteriore al p.v.c. e all’atto di recupero.
1.6.Con il sesto motivo, infine, i ricorrenti principali denunciano la sentenza di nullità per motivazione apparente, mancante e illogica laddove la C.T.R. aveva escluso ogni contrasto tra p.v.c. e atto di recupero e aveva affermato non esservi stato alcuna lesione al diritto di difesa.
2.Il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate.
2.1. Il primo motivo del ricorso incidentale -rubricato: violazione e/o falsa applicazione dell’art.1, commi 271-279 della legge n.296 del 2006 e dell’art.2697 cod.civ., ex art.360, primo comma, n.3 cod.proc.civ.- attinge la sentenza impugnata laddove la C.T.R. aveva riconosciuto esistente il credito di imposta, per l’anno 2009, sulla base delle circostanze che il contribuente avesse dato prova dell’acquisto dei beni, oggetto di investimento ma non rivenuti in sede di verifica, e del loro ammortamento e che la verifica fosse avvenuta il 29 giugno 2017, ossia dopo il quinto periodo di imposta dall’investimento.
2.2 Con il secondo motivo del ricorso incidentale si deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num. 5 cod.proc.civ., l’omesso esame da parte del Giudice di appello del fatto storico decisivo costituito dall’assenza di qualsiasi prova in ordine ad un’eventuale dismissione dei beni sopra indicati.
3. Il terzo e il quarto motivo del ricorso principale, con i quali si contesta la qualificazione di credito inesistente attribuita dalla C.T.R. ai crediti di imposta oggetto dell’atto di recupero, perché già utilizzati sia pure indebitamente, e si invoca l’applicazione della sanzione meno grave prevista per i crediti non spettanti rispetto a quella prevista per i crediti inesistenti, involgono la questione relativa alla differenziazione introdotta, ai fini della misura delle sanzioni applicabili, dall’art. 13 del decreto legislativo. 18 dicembre 1997 n. 471, come modificato dall’art. 15 del decreto legislativo n. 158 del 24 settembre 2015 a decorrere dal primo gennaio 2016, tra la nozione di credito non spettante e quella di credito inesistente (espressamente definito dal quinto comma come il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36 bis e 36 ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n.600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972) .
Da tale differenziazione terminologica l’ordinamento fa conseguire ricadute diverse:
ai fini sanzionatori, come già anticipato, il citato art. 13, prevede al comma 4 che Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato, mentre al comma 5 stabilisce che Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione del cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi;
ai fini dei termini per l’accertamento, l’art. 27, comma 16, del decreto legge 29 novembre 2008 n.185, convertito nella legge 28 gennaio 2009 n.2, ha previsto che l’atto di recupero emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1977 n.241 deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo;
ai fini penali, per i crediti inesistenti, l’art.10 quater, secondo comma, del d.lgs. n.74 del 2000, come sostituito dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. 24 settembre 2015, n.158 prevede la pena della reclusione da un anno a sei mesi a sei anni, mentre per i crediti non spettanti il primo comma dello stesso articolo prevede la pena della reclusione da sei mesi a due anni.
4. Sulla questione si riscontrano differenti orientamenti nell’ambito della giurisprudenza della Sezione tributaria.
4.1 L’orientamento tradizionale (Cass. 21 aprile 2017 n.10112; Cass. 2 agosto 2017 n.19237; Cass. 16 luglio 2020 n. 24093; Cass. 13 gennaio 2021 n. 354) non distingue tra credito non spettante e credito inesistente o, meglio, ritiene, sia pure ai fini dell’applicazione del più lungo termine concesso all’Amministrazione per l’emissione dell’atto di recupero, tale distinzione priva di senso, come evincibile dalla seguente massima <<L’art. 27, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, conv., con modif., dalla l. n. 2 del 2009, nel fissare il termine di otto anni per il recupero dei crediti d’imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l’ “inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico – giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l’investimento che ha generato il credito d’imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per il comune avviso di accertamento>> (così Cass.n. 10112/2017 cit.).
Con tre sentenze gemelle (Cass. n.ri 34443; 34444 e 34445 del 16 novembre 2021) la Sezione tributaria ha espressamente superato l’orientamento precedente e, alla luce della definizione di credito inesistente dettata, in tema di sanzioni, dal citato art.13, comma 5, del d.lgs. n.471 del 1997 , ha affermato il seguente principio di diritto << In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente (nella specie, credito IVA), l’applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dall’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, conv., con modif., in l. n. 2 del 1999, presuppone l’utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – anche ai sensi dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997 (introdotto dall’art. 15, d.lgs. n. 158 del 2015) – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (cioè il credito che non è “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972>>.
In particolare, le citate pronunce hanno affermato che il credito fiscale illegittimamente utilizzato dal contribuente può̀ dirsi “inesistente” quando ne manca il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente) e quando tale mancanza (non) sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell’anagrafe tributaria, banca dati pubblica disciplinata dal d.P.R. n. 605 del 1973, su cui detti controlli anche si fondano, non tralasciando di aggiungere che la citata novella del 2015 si innesta nella riscrittura della norma già̀ contenuta nel contestualmente abrogato art. 27, comma 8, d.l. cit. (che regolava il relativo quadro sanzionatorio), e mira quindi a specificare il contenuto del precetto originario, così ancorando la nozione di “credito inesistente” ad una dimensione – anche secondo il linguaggio comune – “non reale” o “non vera”, ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza (come pure può̀ evincersi dal contenuto della Relazione illustrativa al d.l. n. 185/2008).
La dicotomia tra le due tipologie di credito è stata confermata, di recente, anche dalla Terza Sezione Penale della Corte di cassazione, la quale, con la sentenza n. 7615 del 3 marzo 2022, richiamando espressamente, e facendo propria, la definizione di credito inesistente, come effettuata dalle suindicate sentenze della Sezione tributaria, ha rilevato che la diversità delle due ipotesi (non spettante; inesistente) incide anche sul piano dell’elemento soggettivo, diverso nelle due ipotesi contemplate dal comma primo e dal comma secondo dell’art.10 quater, d.lgs. n.74 del 2000, atteso che l’inesistenza del credito costituisce di per sé, salva prova contraria, un indice rilevatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, mentre nel caso in cui vengano dedotti dei crediti “non spettanti” occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in sede compensativa.
L’interpretazione fornita dalle tre sentenze gemelle del 2021, sopra indicate e richiamata unicamente da Cass., 25 ottobre 2022 n. 31429, non è stata, tuttavia, recepita dalla giurisprudenza successiva della Sezione tributaria (v. Cass. n.25436 del 29 agosto 2022; Cass. n.31419 del 25 ottobre 2022) tant’è che questa Sezione, ravvisata la persistenza del contrasto interpretativo e la rilevanza della questione, con ordinanza interlocutoria n. 35536 del 2 dicembre 2022, ha già disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente affinché valuti l’opportunità di rimettere la causa alle Sezioni unite di questa Corte.
La questione sulla quale, con la suddetta ordinanza, si è richiesto l’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, attiene, però, alla rilevanza della dicotomia credito non spettante/credito inesistente esclusivamente ai fini dell’applicabilità del termine di otto anni fissato dall’art. 27, comma 16, del d. l. n.185 del 2008. Ritiene il Collegio che le ulteriori ricadute (come sopra individuate) che l’ordinamento ricollega alla nozione di credito di imposta inesistente, e nello specifico in tema di sanzioni, richieda, per la rilevanza della questione idonea a riproporsi in numerosi futuri giudizi, un intervento nomofilattico chiarificatore a più ampio raggio sulla nozione stessa di credito inesistente e sulla sua differenziazione rispetto al credito non spettante onde va disposta la trasmissione degli atti al Primo Presidente della Corte di cassazione per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
Dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente della Corte di cassazione affinché valuti l’opportunità di rimettere la causa alle Sezioni Unite.