CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 38069 depositata il 29 dicembre 2022

Tributi – Regime forfettario per le associazioni sportive dilettantistiche – IVA, IRAP e IRES – Sottoscrizione degli avvisi di accertamento in rettifica – Delega di firma – Accoglimento

Fatti di causa

Nei confronti di A.N.F.P.C., a seguito di controllo fiscale eseguito nel corso dell’anno 2013, veniva redatto PVC, relativo all’anno d’imposta 2010, nel cui ambito si evidenziavano violazioni suscettibili di comportare l’inapplicabilità del regime forfettario previsto dalla L. n. 398 del 1991 per le associazioni sportive dilettantistiche, stigmatizzandosi la carenza del requisito soggettivo e, segnatamente, la violazione degli obblighi statutari, sostanziali e formali concernenti la democraticità dell’ente e l’uguaglianza dei diritti degli associati. Sul presupposto della inapplicabilità del predetto regime, gli accertatori appuravano la debenza di maggiori importi ai fini Iva, Irap e Ires e delle correlate sanzioni. All’indirizzo della società contribuente veniva notificato avviso di accertamento finalizzato al recupero del dovuto.

La CTP Di Latina rigettava il ricorso della A.N.F.P.C.. Non miglior sorte rivelava il successivo appello della contribuente, del pari respinto.

La contribuente affida il proprio ricorso per Cassazione a quattro motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Ragioni della decisione

Con la prima censura si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 42, commi 1 e 3, DPR n. 603 del 1973 (ndr art. 42, commi 1 e 3, DPR n. 600 del 1973), dell’art. 7 L. n. 212 del 2000, dell’art. 3 L. n. 241 del 1990, dell’art. 17, comma 1-bis, DLGS n. 165 del 2001 come modificato dall’art. 3, comma 1, L. n. 145 del 2002, in relazione all’art. 360 n. 3 CPC. La contestazione investe l’assenza della sottoscrizione del direttore provinciale, la presenza di una firma illeggibile asseritamente apposta per delega, la mancata allegazione di tale delega in funzione dell’avviso di accertamento impugnato, la non conformità della delega depositata dall’Ufficio al momento della costituzione in giudizio al dettato normativo anche sul piano della motivazione idonea a sorreggerla.

La censura è infondata, avuto riguardo a ciascuna delle contestazioni che in punto di delega la articolano.

Intanto, perché sostiene la necessità indefettibile di una sottoscrizione ad opera del dirigente provinciale, invero non prevista dalla disciplina vigente ed esclusa dalla nomofilachia.

Questa Corte ha, infatti, ancor di recente evidenziato che “In tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito dalla l. n. 44 del 2012” (Cass. n. 5177 del 2020; v. anche Cass. n. 22810 del 2015 e Cass. n. 18515 del 2010).

Non coglie nel segno neanche la porzione della censura mirata a contestare l’illeggibilità della firma apposta all’avviso di accertamento. Ancorché l’atto impositivo rechi in calce la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare, detta circostanza non rileva non essendo stata eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o, comunque, l’usurpazione del potere di emettere l’atto impositivo medesimo, non essendo revocato in dubbio – ed anzi dovendosi presumere – che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà.

Destituita di fondamento è la contestazione tesa a sanzionare la carenza di motivazione in ordine ai requisiti ex art. 17, comma 1-bis, DLGS n. 165 del 2001.

Nella specie viene in rilievo una fattispecie di “delega di firma”.

Diversamente dall’atto di “delegazione della competenza“, che riveste rilevanza esterna, essendo suscettibile di alterare il regime della imputazione dell’atto, nell’ipotesi della mera delega di firma, il delegante rimane l’unico ed esclusivo soggetto dal quale l’atto proviene e del quale si assume la piena responsabilità verso l’esterno.

Quando un organo, pur mantenendo la piena titolarità circa l’esercizio di un determinato potere, delega ad altro organo, ma anche a funzionario non titolare di organo, il compito di firmare gli atti di esercizio del potere stesso, l’atto firmato dal delegato, pur essendo certamente frutto dell’attività decisionale di quest’ultimo, resta formalmente imputato all’organo delegante, senza nessuna alterazione dell’ordine delle competenze (Cass. n. 6113 del 2005), agendo il delegato semplicemente come “longa manus” – e dunque in qualità di mero sostituto materiale – del soggetto persona fisica titolare dell’organo cui è attribuita la competenza.

Questa Corte, a più riprese, ha chiarito che “La delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa” (Cass. n. 11013 del 2019; Cass. n. 28850 del 2019).

Infondata è anche la parte della censura che attinge l’omessa allegazione della delega all’avviso di accertamento, reputando tale incombente imprescindibile.

In realtà, esso non è contemplato come tale dalla disciplina vigente. L’Amministrazione finanziaria, in caso di contestazione, è tenuta, quindi, con onere della prova a suo carico (anche per il principio di vicinanza alla prova: v. Cass. n. 24492 del 2015), a dimostrare la sussistenza della delega, potendo, tuttavia, produrla finanche nel secondo grado di giudizio, in quanto la presenza o meno della sottoscrizione dell’avviso di accertamento non attiene alla legittimazione processuale (Cass. n. 14626 del 2000; Cass. n. 14195 del 2000; Cass. 14942 del 2013; Cass. n. 18758 del 2014; Cass. n. 14877 del 2016; Cass. n. 15781 del 2017; Cass. n. 5200 del 2018).

Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 42, commi 2 e 3, DPR n. 600 del 1973, dell’art. 7, comma 1, L. n. 212 del 2000, dell’art. 3 L. n. 241 del 1990, in relazione all’art. 360, n. 3, CPC. In particolare, viene censurata la nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione e difetto di allegazione di altro atto richiamato, evidenziandosi che l’avviso di accertamento fornisce solamente una sintetica motivazione delle violazioni contestate all’odierno di corrente richiamando e continuazione il PVC del 18 dicembre 2013, rinviando ripetutamente allo stesso, sia per l’acquisizione della documentazione, sia soprattutto per le valutazioni degli accertatori.

In tal senso, la CTR avrebbe trascurato che il PVC non è mai stato portato a conoscenza della contribuente nella persona del suo presidente e del legale rappresentante, in quanto consegnato impropriamente ad un soggetto persona fisica, P.L.D.C., privo di ogni rappresentanza legale dell’associazione e mai delegato al contraddittorio con l’ufficio.

La censura non è riportata in sentenza d’appello, il che parrebbe mostrarla come nuova e inammissibile.

Del resto, nel corpo del ricorso il ricorrente non chiarisce d’averla sollevata già in appello con specifico riguardo alla mancata consegna al rappresentante legale dell’associazione, genericamente adombrando un difetto di allegazione dell’atto richiamato.

Questa Corte ha evidenziato che “qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa” (Cass. n. 32804 del 2019; Cass. n. 28480 del 2005).

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 L. n. 398 del 1991, dell’art. 90 L. n. 289 del 2002 nonché dell’art. 2697 CC, in relazione all’art. 360 n. 3 CPC, per non avere la CTR tenuto conto delle risultanze istruttorie del giudizio nella parte in cui ha escluso la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi per l’applicazione dei benefici fiscali.

Con il quarto motivo si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 e dell’art. 26, commi 2 e 3, DPR n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, CPC, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per la mancata valutazione delle risultanze istruttorie e della documentazione probatoria esibita dalla ricorrente e l’errato conteggio degli importi dovuti a titolo di imposte sanzioni ed interessi.

Il motivo è fondato.

La CTR in narrativa dà atto della contestazione, da parte della contribuente, anche dei “calcoli” delle imposte operati dall’ufficio.

Ad onta di tale specifica premessa, tuttavia, la CTR omette di trattare detta questione.

Ciò benché la contribuente si sia peritata di adombrare specifiche circostanze controverse, segnatamente con riferimento alla realtà delle note di variazione. Sui connessi profili, il giudice d’appello non si è in alcun modo pronunciato. Ricorre quindi il vizio di omessa pronuncia, avendo sorvolato la CTR su una questione dedotta, astenendosi dall’adottare su di essa qualsivoglia statuizione.

Il ricorso va, in ultima analisi, accolto in relazione al quarto motivo, respinti gli altri. La sentenza d’appello va cassata e la causa rimessa per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, ivi comprese quelle della presente fase di legittimità, alla CTR del Lazio – Sez. Staccata di Latina, in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il quarto motivo di ricorso, respinti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, ivi comprese quelle relative alla presente fase di legittimità, alla CTR del Lazio-Sez. Staccata di Latina, in diversa composizione.