CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 38149 depositata il 30 dicembre 2022
Tributi – Avvisi di liquidazione – Cessione di azienda – Imposta di registro – Principio cd. di prevalenza della sostanza sulla forma – Interpretazione degli atti presentati alla registrazione solo in base al loro contenuto – Accoglimento
Ritenuto in fatto
1. M.L., M.M., la E.M. e componenti s.r.l. e M.M. proponevano ricorso avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma avverso gli avvisi di liquidazione con i quali l’Ufficio aveva riqualificato la cessione di quote posta in essere quale cessione di azienda, determinando l’imposta di registro in misura proporzionale in luogo di quella versata in misura fissa.
2. La CTP accoglieva il ricorso.
3. Sull’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, riuniti gli appelli, li accoglieva, evidenziando che, anche applicando retroattivamente la nuova versione dell’art. 20 del dPR n. 131/1986 alla fattispecie, gli avvisi di liquidazione erano legittimi, atteso che nel caso di specie non vi era la necessità di ricorrere ad elementi extratestuali o ad atti collegati per riqualificare l’atto come cessione di azienda, in quanto le quote erano state trasferite con un unico atto.
4. Avverso la sentenza della CTR hanno proposto ricorso per Cassazione M.L., M.M., la E.M. e componenti s.r.l. e M.M., affidandosi a due motivi. L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.
5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Ritenuto in diritto
1. Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 20 dPR n. 131/1986 e 3 e 53 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per aver la CTR, a suo dire, erroneamente, ritenuto tuttora valida ed applicabile al caso di specie un’interpretazione dell’art. 20 citato informata al principio cd. di prevalenza della sostanza sulla forma.
1.1. Il motivo è fondato.
In tema di imposta di registro, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, quale modificato dall’art. 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205 e dall’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali, l’amministrazione finanziaria non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile.
Invero, l’art. 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205 prevede che: «Al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 20, comma 1: 1) le parole: «degli atti presentati» sono sostituite dalle seguenti: «dell’atto presentato»; 2) dopo la parola: «apparente» sono aggiunte le seguenti: «, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».
L’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, stabilisce che: «L’articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131».
Di recente, la sentenza della Corte Costituzionale n. 158 del 21 luglio 2020 ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, posta in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., dell’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, quale modificato dall’art. 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205 e dall’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali.
Secondo il giudice delle leggi, «il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico». Per altro verso, un’interpretazione della norma in chiave antielusiva provocherebbe «incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10-bis della Legge 212 del 2000» e «consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea)».
Da ultimo, poi, la sentenza della Corte Costituzionale n. 39 del 16 marzo 2021 ha avuto modo di tornare sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, come modificato dall’art. 1, comma 87, lett. a, nn. 1 e 2, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, che è stata dichiarata manifestamente infondata con specifico riguardo all’efficacia retroattiva.
Secondo il giudice delle leggi, «si deve escludere che possa essere considerato irragionevole attribuire efficacia retroattiva a un intervento che, come quello descritto, ha assunto un carattere di sistema». In tale prospettiva, la Corte Costituzionale ha ritenuto che la retroattività conseguente alla natura di interpretazione autentica riconosciuta all’art. 1, comma 87, lett. a, nn. 1 e 2, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205, trova adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasta con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, avendo riguardo al carattere di sistema assunto dall’intervento legislativo oggetto di scrutinio, che, per tale motivo, si sottrae al dubbio sollevato dal remittente. Inoltre, la medesima ragione impone di disattendere la censura di irragionevolezza della disposizione anche sotto il profilo della ipotizzata violazione dei «motivi imperativi di interesse generale» desumibili dall’art. 6 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, sottolineando che tali norme sono volte a tutelare i diritti della persona contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione, e non viceversa (vedasi anche: Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2021, n. 9065).
Adeguandosi a tale interpretazione, anche questa Corte ha ribadito che l’imposta colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto, senza tener conto di elementi extra-testuali, poiché l’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 dispone che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi» (da ultime: Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2021, nn. 4315 e 4319; Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2021, n. 9065).
Dunque, ai fini della presente decisione, non resta che prendere atto della portata retroattiva della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, ritenendo applicabile l’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, nel testo novellato dall’art. 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205, anche agli atti stipulati in epoca antecedente alla sua entrata in vigore per i quali i processi dinanzi ai giudici tributari siano ancora pendenti.
Invero, è pacifico che la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica – al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione – esprime univocamente l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (in termini: Cass., Sez. Un., 29 aprile 2009, n. 9941).
Orbene, alla luce del principio secondo cui l’Amministrazione finanziaria, pur non essendo tenuta a conformarsi alla qualificazione attribuita dalle parti al contratto, non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile, salva la prova, da parte sua, sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione ed alterazione degli schemi negoziali classici, l’amministrazione finanziaria non aveva facoltà di riqualificare l’atto notarile di cessione delle quote nei termini complessivi ed unitari di cessione di azienda, non essendo ricorsa ad elementi extratestuali o ad atti collegati.
Invero, in tal guisa operando, ha di fatto operato un tuttora non consentito collegamento negoziale (travalicando, per l’effetto, lo schema negoziale tipico in cui l’atto risultava inquadrabile), ricavando dal complesso rapporto non già i meri effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, ma gli effetti (indiretti) economici dell’operazione, e non avendo esclusivo riguardo agli “elementi desumibili dall’atto medesimo”.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 15 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per aver la CTR posto a loro carico le spese di lite nonostante l’Agenzia delle Entrate avesse provveduto agli atti del giudizio in proprio, e cioè senza l’ausilio di un difensore.
2.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo.
3. In accoglimento del primo motivo del ricorso, la sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito nel senso di accogliere gli originari ricorsi dei contribuenti.
Sussistono giusti motivi, rappresentati dall’essersi consolidato l’orientamento di questa Corte sulla questione principale solo nel 2021, all’esito anche delle due pronunce della Corte costituzionale del 2020 e del 2021, anche in ordine all’interpretazione a darsi all’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, per compensare integralmente le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie gli originari ricorsi dei contribuenti;
compensa integralmente le spese dell’intero giudizio.