CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 38182 depositata il 30 dicembre 2022

Lavoro – Licenziamento orale – Natura subordinata del rapporto di lavoro – Criteri – Soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro – Indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione – Inammissibilità

Rilevato che

1. La Corte d’Appello di Milano ha accolto l’appello della S.C. di L.M. e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto le domande proposte da F.A., di accertamento del rapporto di lavoro subordinato svolto alle dipendenze della citata ditta da maggio 2015 al 20.12.2016, di inefficacia del licenziamento orale intimato e di condanna di parte datoriale al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate.

 2. La Corte territoriale ha escluso lo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato in ragione del carattere non univoco delle testimonianze raccolte e sul rilievo che le prestazioni rese non avessero carattere continuativo, ma fossero eseguite “unicamente a seguito di chiamata per esigenze aziendali e si svolge(ssero) secondo tempi non prestabiliti, ma rimessi alla disponibilità della lavoratrice”.

3. Avverso tale sentenza F.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. La S.C. di L.M. ha resistito con controricorso. L’Inps non ha svolto difese. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.

Considerato che

4. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., dell’art. 116 c.p.c., degli artt. 54-59, 111-127, 157-162 del c.c.n.l. Turismo Pubblici esercizi, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

5. Si sostiene che l’istruttoria svolta in primo grado abbia confermato l’esistenza di un potere direttivo in capo al datore di lavoro e la soggezione della lavoratrice alle direttive e agli ordini del medesimo; che la lavoratrice abbia quindi assolto all’onere di provare la natura subordinata del rapporto di lavoro desumibile, tra l’altro, dall’esecuzione delle prestazioni nella struttura aziendale, con materiali e attrezzature del datore, con rispetto di un orario determinato, obbligo di giustificare le assenze, pagamento di un compenso fisso a cadenza mensile (anche tramite voucher); si osserva come la Corte di merito abbia errato nell’escludere la natura subordinata delle prestazioni perché svolte con cadenza non costante, non essendo la discontinuità dell’attività lavorativa incompatibile con la subordinazione.

6. Il motivo di ricorso è inammissibile.

7. E’ costante nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, cioè l’individuazione del parametro normativo, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali al fine della verifica di integrazione del parametro normativo, (cfr. Cass., n. 17009 del 2017; Cass., n. 9808 del 2011; Cass., n. 13448 del 2003; Cass., n. 8254 del 2002; Cass., n. 14664 del 2001; Cass., n. 5960 del 1999).

8. Quanto allo schema normativo di cui all’art. 2094 cod. civ., si è precisato che costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato (cfr. Cass., 27.2.2007 n. 4500).

9. Tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze; sicché ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi (come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l’assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppur minima struttura imprenditoriale), che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria (cfr. Cass., n. 4500 del 2007; Cass., n. 13935 del 2006; Cass., n. 9623 del 2002; Cass. S.U., n. 379 del 1999). Questi elementi, lungi dall’assumere valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatti oggetto di una valutazione complessiva e globale, (Cass., n. 9108 del 2012; Cass. S.U., n. 584 del 2008; Cass. n. 722 del 2007; Cass., n. 19894 del 2005; Cass., n. 13819 del 2003; Cass., S.U., n. 379 del 1999).

10. Le censure mosse con il ricorso in esame non riguardano la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, ma investono unicamente la valutazione delle risultanze processuali, attraverso ampi riferimenti alle prove testimoniali e, poiché si collocano all’esterno del perimetro di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità. D’altra parte, gli elementi indiziari evidenziati nel motivo di ricorso non sono astrattamente incompatibili con forme di lavoro diverse da quello descritto dall’art. 2094 c.c., come il lavoro accessorio, di cui agli artt. 48 e ss. d.lgs 81 del 2015, nel testo ratione temporis applicabile.

11. Neppure vi è spazio per ritenere integrata la violazione dell’art. 116 c.p.c., che si realizza nell’ipotesi in cui il giudice valuti una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale, circostanze neppure dedotte nel caso in esame.

12. Per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile.

13. La regolazione delle spese nei confronti della parte controricorrente segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

Non si provvede sulle spese nei confronti dell’Inps rimasto intimato.

14. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 3.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.