Corte di Cassazione ordinanza n. 5607 depositata il 2 marzo 2021
Processo tributario – Appello – Nuovi documenti.
Rilevato che
-con sentenza n. 72/24/14, depositata in data 15 gennaio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’appello proposto da Vesi di V. F. e S. M. s.n.c. e da F. V. e M. S., nella qualità di soci nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 76/20/2013 della Commissione tributaria provinciale di Firenze che, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi proposti dalla suddetta società e dai soci avverso gli avvisi di accertamento T8B011102170, n. T8B011102218 e T8B0111022224 con i quali l’Ufficio, ai sensi degli artt. 39, lett. d) del d.P.R. n. 600/73, 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993, conv., con modif, in legge n. 427 del 1993, aveva contestato rispettivamente: 1) nei confronti della società un maggiore reddito di impresa imponibile, ai fini Ires, Irap e Iva, sulla base di una riscontrata grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore per l’anno 2005; 2) nei confronti dei singoli soci, il corrispondente maggiore reddito di partecipazione, ai fini Irpef;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che era da condividere la sentenza di primo grado che, a fronte dell’accertamento dell’Ufficio fondato sugli studi di settore, aveva ritenuto inutilizzabile – per deposito tardivo – la documentazione prodotta dalla società contribuente, con la memoria del 31.1.2013, asseritamente idonea a giustificare lo scostamento tra i redditi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione del parametro, puntualizzando che l’Agenzia, mediante l’applicazione dello studio di settore SD27U (rettificato TD27U, quale parametro ritenuto più favorevole al contribuente), aveva specificamente considerato le “particolari situazioni di crisi del mercato” e le difficoltà rappresentante dalla società contribuente in sede di contraddittorio;
-avverso la sentenza della CTR, la società contribuente e i soci hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., o, comunque, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento in questione senza valutare l’idoneità a giustificare il rilevato scostamento tra i redditi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione dello studio di settore, della documentazione – già prodotta in primo grado con la memoria del 31.1.2013 e dichiarata inutilizzabile per tardività del deposito – ritualmente depositata nuovamente con l’atto di appello;
-il motivo, sotto il profilo della dedotta nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., è fondato;
– va premesso che nella specifica materia, questa Corte ha chiarito che “L’accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, questi ha l’onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards”o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (da ultimo, Cass. sez. 5, Sentenza n. 9484 del 12/04/2017); e che “La determinazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria, nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 23252 del 18/09/2019);
– nel processo tributario, l’art.58 comma 2 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, con disposizione derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria prevista dall’art.345, terzo comma, c.p.c., consente la produzione di nuovi documenti in grado di appello senza richiedere che la mancata produzione nel precedente grado di giudizio sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte (ex plurimis, Cass. 19089 del 2016); si è anche precisato che la produzione di nuovi documenti in appello, sebbene consentita ex art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992, deve avvenire, ai sensi dell’art. 32 dello stesso decreto, entro venti giorni liberi antecedenti l’udienza: tuttavia, l’inosservanza di detto termine è sanata ove il documento sia stato già depositato, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado, poiché nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza, senza che le parti abbiano la possibilità di ritirarli, con la conseguenza che la documentazione ivi prodotta è acquisita automaticamente e “ritualmente” nel giudizio di impugnazione ( Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 5429 del 07/03/2018; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16652 del 25/06/2018);
– nella specie, nella sentenza impugnata il giudice di appello non si è attenuto ai suddetti principi, essendosi limitato a confermare la decisione di primo grado che aveva, ritenendoli inutilizzabili, per tardività del deposito, disatteso i riscontri documentali asseritamente idonei a giustificare lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione dello studio di settore; con ciò, omettendo di prendere in considerazione la documentazione già depositatabenchè irritualmente- dalla contribuente nel giudizio di prime cure (e dunque già in atti nel fascicolo di primo grado e confluita nel fascicolo di ufficio di primo grado) e, comunque, ridepositata (peraltro, nel termine previsto dall’art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992) contestualmente all’atto di appello (allegato n. 7 del ricorso per cassazione), frustrando, in tal modo, la facoltà della contribuente, di fornire la prova contraria, anche in sede contenziosa, circa l’inapplicabilità degli individuati “standards” al caso concreto;
– con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per avere la CTR omesso di pronunciare su una serie di doglianze, già proposte in primo grado, alcune di carattere più generale inerenti le caratteristiche da riconoscere agli studi di settore (quali la obbligatoria attivazione del contraddittorio pena la nullità dell’accertamento), altre più specifiche attinenti alla eccepita non rappresentatività della concreta realtà produttiva aziendale da parte del cluster applicato e alla crisi del settore manifatturiero; peraltro, ad avviso dei ricorrenti, il giudice di appello nel confermare la decisione della CTP in ordine alla inutilizzabilità dei documenti asseritamente idonei a giustificare lo scostamento dei ricavi
– avrebbe omesso di pronunciarsi anche sulla rilevanza da attribuire al fatto che la società contribuente facesse parte della filiera produttiva della società Gucci, con esiguità di margini di guadagno riconosciuti ai contoterzisti, benchè costituisse circostanza emergente dalla documentazione appositamente ridepositata in appello;
– il secondo motivo- con il quale vengono denunciate diverse omissioni di pronuncia – si profila infondato con riguardo alle doglianze prospettate in grado di appello concernenti la necessaria attivazione del contraddittorio preventivo pena la nullità dell’accertamento basato sugli studi di settore, la mancata rappresentatività dello studio di settore applicato e la rilevanza della situazione di crisi del settore manifatturiero; ciò in quanto, premesso che «costituisce violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, e configura il vizio di cui all’art. 112 cod. proc. civ., l’omesso esame di specifiche richieste o eccezioni fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. (Cass. n. 22759 del 2014; n. 6835 del 2017); in particolare, il vizio di omessa pronuncia ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto» (Cass. n. 27566 del 2018; n. 28308 del 2017; n. 7653 del 2012), nella specie, la CTR- nel confermare la decisione di primo grado- ha affermato- in risposta alle predette doglianze- che l’accertamento tributario standardizzato mediante studi di settore in questione era stato preceduto dal contraddittorio endoprocedimentale all’esito del quale l’Ufficio aveva rettificato lo studio di settore inizialmente applicato (SD27U) con altro (TD27U), peraltro, più favorevole alla società contribuente, tenendo in considerazione anche le “particolari situazioni di crisi di mercato” e le difficoltà rappresentate da quest’ultima nella fase amministrativa;
– diversamente, alla luce dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, risulta assorbita la censura concernente la assunta omessa pronuncia in ordine alla rilevanza dell’attività della società contribuente di contoterzista, fornitrice di secondo livello nella filiera produttiva della firma Gucci, quale circostanza emergente dalla documentazione ridepositata in grado di appello;
– con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 62- bis e 62-sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, convertito, con mod. dalla legge n. 427 del 1993, 10 della legge n. 146 del 1998, come modificato dall’art. 1, comma 409, lett. b) della legge n. 301 del 2004, e, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per vizio motivazionale, per avere la CTR ritenuto legittimo l’atto impositivo ancorché l’accertamento fosse fondato sulla mera applicazione dello studio di settore (più evoluto), senza considerare alcuno degli elementi afferenti alla specifica realtà economica della società- già acquisiti nella fase del contraddittorio e comunque forniti dai contribuenti in sede processuale mediante la documentazione ridepositata contestualmente all’atto di appello (quali il tipo di attività svolta dalla contribuente di produzione borse in conto terzi, quale fornitore della Cheap and Chic s.r.I., a sua volta fornitrice di Gucci, con imposizione dei prezzi da parte del fornitore di primo grado e un esiguo ritorno economico);
– l’accoglimento del primo motivo di ricorso, rende inutile la trattazione del terzo con assorbimento del medesimo;
-in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso; dichiarato il secondo in parte infondato, in parte assorbito, assorbito il terzo; con cassazione – in relazione al motivo accolto – della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione;
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara il secondo motivo, in parte infondato, in parte assorbito; assorbito il terzo; cassa- in relazione al motivo accolto – la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione;
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