CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 6660 depositata il 6 marzo 2023
Lavoro – Licenziamento disciplinare – Modalità fraudolente nell’uso dei sistemi di rilevazione delle presenze – Autonomia tra il giudizio civile e quello penale – Svincolo dell’azione disciplinare rispetto al procedimento penale in corso – Rigetto
Rilevato che
la ASL Teramo ha contestato a (…) direttore di Struttura Complessa, in ragione anche della contestuale pendenza di procedimento penale, la violazione dell’art. 55-quater d. Igs. 165/2001, per aver falsamente attestato la propria presenza in servizio ed avere tollerato condotte gravemente negligenti nell’uso del cartellino marcatempo poste in essere dai dipendenti a lui sottoposti;
la contestazione era poi sfociata nel licenziamento disciplinare del (…) in ragione a quel punto però solo della fraudolenta attestazione dalla presenza in servizio in due giornate, in cui egli era rientrato a casa nonostante le registrazioni del tesserino attestassero la sua presenza in ufficio;
2. il licenziamento è stato impugnato da parte del (…) ed il Tribunale di Teramo ha respinto la domanda, con sentenza confermata dalla Corte d’Appello di L’Aquila;
nel corso del giudizio di secondo grado era peraltro sopravvenuta sentenza penale del Tribunale di Teramo di assoluzione del (…) “perché il fatto non sussiste” con riferimento anche alle circostanze su cui si fondava il licenziamento irrogato;
la Corte territoriale, nel respingere l’impugnativa, ha sostenuto che l’autonomia del procedimento disciplinare non consentisse di ritenere che l’assoluzione anche per i fatti oggetto di contestazione fosse di per sé dirimente nel far ritenere che l’accaduto si riportasse a mera dimenticanza o superficialità;
il licenziamento riguardava due soli episodi, ma – sottolineava la Corte territoriale – la contestazione era stata più ampia e l’affermazione del (…) di non avere interesse a far risultare la presenza, svolgendosi il suo servizio spesso fuori sede, non aveva rilievo, in quanto comunque era stato contestato l’allontanamento per ragioni prive di giustificazioni rispetto a esigenze d’ufficio e sotto il profilo disciplinare ciò che contava era il carattere fraudolento di attestazioni non rispondenti al vero;
la Corte di merito ha rimarcato infine come gli accertamenti si fossero basati su pedinamenti effettuati dagli ufficiali di Polizia Giudiziaria, sulla base dell’annotazione di fatti caduti direttamente sotto la loro percezione;
3. (…) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, resistiti da controricorso della ASL;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
Considerato che
il primo motivo è rubricato come violazione dell’art. 55-quater, nonché degli artt. 112, 115, e 116 c.p.c.;
sulla premessa che l’assoluzione penale del ricorrente non era intervenuta “perché il fatto non costituisce reato”, ma proprio perché il fatto – in sé identico quanto a contestazione disciplinare e a imputazione penale – “non sussiste”, il ricorrente sostiene che sarebbe da ritenere erronea l’assoluta omissione di vaglio, da parte della Corte di merito, della motivazione della sentenza penale che attiene – pur senza valore di giudicato – alla stessa vicenda posta alla cognizione del giudice civile;
aggiunge ancora il (…) che le modalità fraudolente nell’uso dei sistemi di rilevazione delle presenze, necessarie ad integrare l’ipotesi di cui all’art. 55-quater, co. 1-bis, d. Igs. 165/2001, erano state del tutto escluse dall’istruttoria svolta nel giudizio penale e censura la sentenza di appello per avere essa, in violazione dell’art. 112 c.p.c., fatto leva anche su ulteriori fatti, non compresi nell’atto di licenziamento e che dunque esulavano completamente dal tema di indagine;
il secondo motivo adduce ancora la violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c) dell’art. 55-quater, cit., nonché dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.;
con esso il ricorrente rimarca che nessun passaggio della motivazione d’appello era dedicato alla valorizzazione degli elementi di prova da cui si sarebbe tratta la conferma della sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie illecita e, comunque, sostiene che l’autonomia tra il giudizio civile e quello penale non poteva che essere accompagnata da riflessi applicativi rispetto alla configurazione delle prove, essendo discutibile che, pur valorizzando in sede civile i soli elementi istruttori rivenienti dal procedimento penale, rispetto ad essi si potessero raggiungere conclusioni divergenti da quelle assunte dal giudice penale; secondo il ricorrente si realizzerebbe in tal modo un ribaltamento delle regole di distribuzione degli oneri probatori, dovendosi ritenere che, pur regolando l’ordinamento unicamente nell’alveo dell’art. 653 c.p.p. i rapporti tra giudizio penale e giudizio civile, si avrebbe un vulnus normativo se, in attesa d’una sentenza penale definitiva, il giudizio civile fosse condotto sulla base di valutazioni giuridiche arbitrarie, come accaduto nel caso specie, in cui la sentenza impugnata ha attinto dal procedimento penale solo gli addebiti e le fonti di prova, senza considerare la valutazione in ordine all’insussistenza del fatto contestato poi avutasi in quella sede;
2. i due motivi possono essere esaminati congiuntamente, data la loro connessione e sono infondati;
2.1 deve premettersi come non sia vero che la sentenza qui impugnata non abbia valorizzato elementi di prova su cui fondare il riconoscimento di fondatezza dell’addebito;
la pronuncia ha infatti fatto leva su quanto desunto dalle annotazioni di Polizia Giudiziaria, sul presupposto che esse concernessero fatti caduti direttamente sotto la percezione degli Ufficiali che li avevano redatti;
così come non è vero che la Corte territoriale non abbia preso in considerazione il necessario tratto fraudolento delle attestazioni;
la Corte ha invece ritenuto di non attribuire rilevanza alla circostanza che, in ipotesi, il (…) operando spesso fuori sede, non avesse necessità di far constare attestazioni diverse per l’allontanamento al fine di rientrare a casa, sostenendo che ciò non bastasse ad escludere il carattere fraudolento da essa in concreto ravvisato nell’aver fatto risultare, in quei frangenti, attestazioni non corrispondenti al vero, il tutto attraverso un giudizio sostanzialmente di fatto che non può essere sovvertito in sede di legittimità;
va da sé, su tali basi, l’infondatezza di una denuncia di violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto la Corte territoriale non ha deciso sulla base della regola finale di giudizio ivi contenuta, ma ha positivamente ritenuto provati gli addebiti;
non può neanche attribuirsi rilievo decisivo al richiamo operato dalla Corte d’Appello all’esistenza di altri episodi, diversi da quelli posti a base del licenziamento, di alterata attestazione della presenza in servizio del (…)
in tal modo la Corte non ha certamente inteso giudicare la fondatezza dell’addebito sulla base di episodi diversi da quelli su cui il licenziamento si era fondato, sicché non vi è stata alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., ma ha semplicemente svolto una considerazione ad abundantiam volta a descrivere quello che essa riteneva un utile dato di contorno;
ciò non toglie che l’asse decisionale che qui rileva sia stato sviluppato in relazione alle due circostanze su cui si era poi fondato l’atto di licenziamento, ritenute provate sulla base degli elementi sopra indicati e tratti dalle annotazioni di P.G.
2.2 venendo al profilo più strettamente giuridico della vicenda, non può essere condiviso l’assunto del ricorrente secondo cui la sola presenza di sentenza penale di assoluzione “perché il fatto non sussiste”, per quanto non definitiva come confermato anche nella memoria finale, non permetterebbe di prescindere da quanto deciso in tale diversa sede giudiziale e non consentirebbe di attribuire agli elementi istruttori raccolti in sede penale una portata probatoria tale da condurre ad esiti diversi, in sede civile, da quelli raggiunti nell’ambito penale;
a fronte della scelta della P.A. del tutto discrezionale e regolata come ordinaria dall’attuale ordinamento, di definire il procedimento disciplinare nella contestuale pendenza per i medesimi fatti di procedimento penale (art. 55-ter, d. Igs. 165/2001), non può poi ritenersi che sia impedito al giudice civile il valorizzare, attraverso una propria autonoma valutazione, gli elementi probatori rivenienti dal procedimento penale, giungendo a conclusioni eventualmente diverse da quelle del giudice del processo penale;
è solo il giudicato penale, una volta formatosi, a vincolare il giudice della questione disciplinare, secondo quanto disposto dall’art. 653, co.1, c.p.p., anche perché, opinando altrimenti, si reintrodurrebbe surrettiziamente quella pregiudiziale penale ormai venuta meno con il vigente c.p.p.
la scelta normativa, attuata con l’art 55-ter d. Igs. 165/2001, di svincolo dell’azione disciplinare rispetto al procedimento penale in corso per i medesimi fatti, non permette una tale soluzione, nei limiti di cui si dirà e sempre che la scelta della P.A. non sia viceversa quella di sospendere il procedimento disciplinare in attesa degli esiti del giudizio penale;
in altre parole, il giudice civile, nei predetti frangenti, può decidere di valorizzare la pronuncia penale non definitiva quale esistente al momento della sua pronuncia, come no e se non lo faccia, non ricorre né alcun vizio di violazione di legge, né, per ciò solo, un vizio nella valutazione degli elementi di prova;
parimenti, non può dirsi, secondo quanto sostiene il ricorrente, che, pur una volta esclusa l’esistenza di una dipendenza giuridica tra i processi, la valutazione nel processo civile degli elementi istruttori propri del procedimento penale subisca vincoli in ragione dell’apprezzamento di essi all’interno di quest’ultimo;
vale a dire, non è vero che il giudice civile sia vincolato in ipotesi ad apprezzare un certo dato istruttorio con le medesime modalità ed esiti in cui quello stesso è stato valutato in sede penale;
i principi delineati da questa S.C. lo hanno già escluso, quando si è ritenuto che l’inutilizzabilità prevista ex art. 191 c.p.p. in ambito penale non rileva in quello civile, nel quale le prove atipiche sono comunque ammissibili, nonostante siano state assunte in un diverso processo in violazione delle regole a quello esclusivamente applicabili, poiché il contraddittorio è assicurato dalle modalità tipizzate di introduzione della prova nel giudizio, sicché resta precluso, invece, anche in sede civile, soltanto l’accesso alle prove la cui acquisizione concreti una diretta lesione di interessi costituzionalmente garantiti della parte contro la quale esse siano usate (Cass. 5 maggio 2020, n. 8459; non diversamente, in ambito tributario, Cass. 5 dicembre 2019, n. 31779; Cass. 28 settembre 2020, n. 20358);
l’assunto del ricorrente in ordine addirittura ad un vincolo legale nel significato o nella valutazione degli elementi istruttori tratti dal procedimento o processo penale è dunque infondato e privo di aggancio normativo;
punto di caduta del sistema è peraltro la regola finale dell’art. 55-ter, co. 2, d. Igs. 165/2001, secondo cui, «se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l’irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso», l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari o l’autorità competente «ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale», momento nel quale possono dispiegarsi gli effetti propri dell’art. 653, co. 1, c.p.p.;
3. il ricorso va dunque rigettato;
4. può anche definirsi il seguente principio:
«qualora la Pubblica Amministrazione, nel perseguire in via disciplinare fatti oggetto anche di procedimento penale, non decida di attendere gli esiti di quest’ultimo, solo la sentenza penale di assoluzione impedisce, se passata in giudicato, ai sensi dell’art. 653, co. 1, c.p.p., una diversa decisione, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste, nel giudizio civile di impugnazione della sanzione disciplinare; anche la valutazione degli elementi istruttori che il giudice civile trae dagli atti del procedimento o del processo penale non è vincolata dalla valutazione di essi che si sia avuta in quest’ultimo, fermi i casi di inutilizzabilità per specifica previsione di legge o diretta lesione di interessi costituzionalmente garantiti della parte contro la quale essi siano usati e fermo restando che, in caso di successivo passaggio in giudicato della sentenza penale, può chiedersi la riapertura del procedimento disciplinare, nel quale contesto la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste dispiega gli effetti propri di cui all’art. 653, co. 1, c.p.p.»;
5. il collegio ritiene che la ricorrenza di sensibili elementi di novità nella questione, sotto il profilo giuridico, giustifichi la compensazione almeno delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.