CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 676 depositata il 12 gennaio 2023
Lavoro – Risarcimento dei danni subiti in conseguenza di naufragio durante lo svolgimento della prestazione lavorativa – Liquidazione del danno sulla base della massima personalizzazione – Disturbo post traumatico da stress – Criteri liquidatori per equivalente – Rigetto
Rilevato che
1. J.C., premesso di essere stato imbarcato sulla motonave C.C.C. s.p.a. quale musicista, in forza di contratto stipulato con S. s.r.I., dedotto che in ragione delle concrete modalità di espletamento della prestazione lavorativa il reale datore di lavoro era C.C. s.p.a. , ha convenuto in giudizio entrambe le società chiedendo la condanna in solido delle stesse al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del naufragio verificatosi nella notte del 13 gennaio 2012 in prossimità dell’ isola del Giglio;
2. il giudice di primo grado ha condannato in solido le società convenute a corrispondere al ricorrente, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, la somma complessiva di € 67.320,00 oltre accessori, ed ulteriori somme a titolo di rimborso spese e danno patrimoniale;
3. la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza di primo grado respingendo l’appello dell’originario ricorrente incentrato sul danno morale in quanto secondo il giudice di secondo grado tale, autonoma, voce di danno era stata adeguatamente ristorata attraverso il riconoscimento della somma di € 18.394,00 (quale componente del danno non patrimoniale) calcolata sulla base della “personalizzazione” massima; non sussistevano i presupposti per il riconoscimento di una somma ulteriore considerato che il c.t.u. aveva ritenuto non più evidenziabile il disturbo post traumatico da stress e che la sofferenza provocata dal naufragio si era tradotta in un quadro depressivo che aveva trovato il suo ristoro nel riconoscimento del danno da invalidità permanente spettante a titolo di danno biologico;
3.1. quanto al danno da lesione del diritto alla libertà e del diritto alla dignità il giudice di appello ha evidenziato che la prospettazione dell’appellante risultava troppo generica per poter fondare il diritto ad un ulteriore ed autonomo risarcimento del danno, non identificabile con l’evento dannoso secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità;
4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.J. sulla base di sei motivi; le intimate hanno ciascuna resistito con controricorso; tutte le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis .1. cod. proc. civ. ;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2056, 1226 e 1223 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere, in sintesi, ritenuto che la liquidazione del danno sulla base della massima personalizzazione prevista dalle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano operata dal giudice di primo grado, ristorasse l’intero danno sofferto; secondo parte ricorrente, la liquidazione operata non teneva conto del pregiudizio, esterno al danno non patrimoniale connesso alla diminuzione dell’integrità psico fisica espressamente presa in considerazione dalle tabelle milanesi, rappresentato dal coinvolgimento nel naufragio della nave Concordia e dalla sofferenza legata a tale evento;
2. con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2059, 2056, 1226, 1223 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere, nell’ambito del complessivo risarcimento attribuito al lavoratore, quantificato la componente ascritta al danno non patrimoniale cd. morale, in € 18.394,00, (somma corrispondente al 41% del risarcimento per l’inabilità permanente accertata in corso di causa) f somma che assume non corrispondente alla concreta gravità ed incidenza del pregiudizio sofferto, tenuto conto anche della drammaticità dell’evento nel quale era rimasto coinvolto, avendo dovuto trascorrere ore nella consapevolezza della propria fine imminente lottando per mettere in salvo sé ed altri passeggeri a lui affidati;
3. con il terzo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2059 e 2087 cod. civ. e dell’art. 185 cod. pen., censura la sentenza impugnata per avere limitato il risarcimento del danno non patrimoniale al solo danno alla salute senza estenderlo al pregiudizio derivata dall’essere l’odierno ricorrente rimasto vittima di un grave reato, in violazione di diritti costituzionalmente protetti; ulteriori rispetto a quello alla salute;
4. con il quarto motivo deduce nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ.; denunzia, in sintesi, apparenza e contraddittorietà di motivazione per avere il giudice di appello da un lato riconosciuto che il danno liquidato comprendeva anche la sofferenza patita legata al naufragio e dall’altro ancorato l’entità del risarcimento alla sola gravità delle lesioni personali; il giudice di merito avrebbe dovuto fornire adeguata motivazione in ordine alla natura integralmente satisfattiva del danno liquidato sulla base di tabelle milanesi, come non avvenuto;
5. con il quinto motivo di ricorso deduce error in procedendo per violazione degli artt. 414 e 437 cod. proc. civ. nonché degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ.; censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che il riferimento alla lesione della libertà e dignità personali risultasse troppo generico per fondare il diritto all’ulteriore risarcimento del danno non patrimoniale, anche alla luce della considerazione che deve essere disattesa la tesi che identifica il danno con l’evento dannoso; in questa prospettiva denunzia violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato (art. 112 cod. proc. civ.) e del principio del tantum devolutm e del quantum appellatum; assume, in sintesi, che vi era stata errata interpretazione del complessivo contenuto della originaria domanda e a tal fine riporta alcuni brani tratti dal ricorso di primo grado destinati, in tesi, a dimostrare la adeguata richiesta di risarcimento del danno, comprensiva di tutti i profili di danno morale e non solo di quelli legati alla lesione del diritto alla salute;
6. con il sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere respinto la domanda di risarcimento dell’ulteriore danno in quanto ritenuta generica; il giudice di appello non aveva considerato che le allegazioni difensive del ricorrente non erano state contestate per cui dovevano ritenersi provate ed inoltre, alcune, da ritenersi notorie ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., per il rilievo avuto dalla vicenda negli organi di stampa;
7. i motivi, esaminati congiuntamente per connessione, devono essere respinti in continuità con la giurisprudenza di questa Corte che ha scrutinato le medesime questioni con riferimento alla vicenda del naufragio della motonave Costa Concordia (Cass. 35015/2021; 31367/2021, 31358/2021, 31583/29021);
7.1. in primo luogo, deve essere esclusa l’apparenza di motivazione (denunziata con il quarto motivo di ricorso) – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – la quale sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico – giuridico alla base del decisum; tale situazione non ricorre nella fattispecie in esame in quanto i presupposti fattuali e giuridici alla base della decisione risultano immediatamente percepibili e sono costituiti, in estrema sintesi, dal fatto che il primo giudice aveva tenuto conto del danno morale e lo aveva considerato come autonoma voce di danno liquidandolo in conformità del criterio di <<massima personalizzazione >> previsto dalle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, e che un’ulteriore maggiorazione del detto danno non risultava giustificata alla luce degli elementi in atti;
7.2. in secondo luogo, deve essere dichiarato inammissibile per difetto di autosufficienza il quinto motivo di ricorso posto che la tecnica utilizzata per la redazione del ricorso per cassazione si connota, per il profilo di interesse, dalla trascrizione solo parziale di alcuni brani del ricorso di primo grado i quali, estrapolati dal complessivo contesto espositivo e argomentativo, si rivelano intrinsecamente inidonei e comunque insufficienti a dare contezza dell’error in procedendo in tesi ascritto al giudice di merito; è noto, infatti, che in ipotesi di denunzia di un vizio di attività del giudice di merito la Corte di cassazione non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui la sentenza impugnata ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (cfr. tra le altre, Cass. Sez. Un. n. 8077/2012, Cass. n. 25308/2014, Cass. n. 8069/2016), come, viceversa, non avvenuto; è ancora da rimarcare che la sentenza impugnata, a differenza di quanto opina parte ricorrente, ha mostrato di considerare il danno morale, ulteriore rispetto al pregiudizio alla salute, rappresentato dalla sofferenza soggettiva collegata al coinvolgimento nella tragica vicenda del naufragio (sentenza, pag. 19) e che la valutazione di genericità collegata alla prospettazione del diritto alla libertà e del diritto alla dignità appare giustificata in assenza di adeguato compendio allegatorio, non emergente dai brani della originaria domanda trascritti nel ricorso per cassazione;
7.3. in relazione ai residui motivi vanno qui richiamati i principi delle Sezioni Unite di questa Corte, le quali con le sentenze nn. 26972 e 26975 dell’11.11.2008, hanno posto in rilievo il carattere unitario del danno non patrimoniale, quale categoria giuridica distinta da quella del danno patrimoniale, incasellando in essa, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie, tutte le diverse “voci” laborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza (danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, ecc.) che non richiedono uno specifico ed autonomo statuto risarcitorio (inteso come metolodogia dei criteri liquidatori per equivalente), ma possono venire in considerazione solo in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, attraverso il meccanismo della cd. personalizzazione; si è affermato che, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, ai fini della c.d. “personalizzazione” del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze “ordinarie” inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente subirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze “ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime distinguendosi siccome legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità (v. Cass. n. 21939/2017, n. 27482/ 2018, n. 10912/2018, n. 2788/2019); riguardo al danno morale soggettivo, si è affermato che esso costituisce una voce di pregiudizio non patrimoniale, ricollegabile alla violazione di un interesse costituzionalmente tutelato, ontologicamente distinta dal danno biologico e dal danno nei suoi aspetti dinamico relazionali, con la conseguenza che va risarcito autonomamente, ove provato, senza che ciò comporti alcuna duplicazione (v. Cass. n. 24075/2017; n. 901 del 2018);
7.4. è compito del giudice di merito, una volta identificata la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, “rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235/2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti” (Cass. n. 901/2018 cit.; v. anche Cass. n. 23469/2018, n. 11851/2015); in coerenza con tale linea si è escluso che costituisca duplicazione la congiunta attribuzione del “danno biologico” e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (v. Cass. n. 7513/2018, n. 4878/ 2019);
7.5. poste tali premesse, deve ritenersi, in relazione al caso di specie, che la Corte di merito si sia attenuta ai principi appena richiamati avendo mostrato di prendere in considerazione in sede di determinazione del risarcimento del danno, specificamente “il patema d’animo”, vale a dire il turbamento psichico scaturito dal pericoloso incidente nel quale l’originario ricorrente era rimasto coinvolto;
7.5. la Corte di merito ha quindi riconosciuto e liquidato il danno morale soggettivo quale autonoma voce di pregiudizio non patrimoniale e il dato della avvenuta liquidazione di tale danno morale attraverso la massima personalizzazione prevista dalle Tabelle milanesi, in quanto utilizzato come parametro ai fini della valutazione equitativa, non fa venir meno la conformità della decisione ai principi sopra enunciati;
7.6. non appare illogico né incongruo parametrare l’entità del turbamento psichico transitorio vissuto nei momenti del naufragio alla massima gravità delle conseguenze sulle dinamiche relazionali e sul fare areddituale del soggetto, a prescindere dal danno biologico permanente sofferto;
7.7. da tanto deriva che le censure mosse dall’attuale ricorrente si rivelano infondate, là dove presuppongono il mancato riconoscimento del danno morale, e inammissibili nella parte in cui mirano in sostanza a criticare la misura della liquidazione del danno morale, che si assume non adeguatamente parametrata al carattere catastrofale dell’incidente in cui l’originario ricorrente è stato coinvolto, anche rispetto a quanto riconosciuto come provvisionale alle parti civili costituite nel giudizio penale;
7.8. la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente di giustificazione o si discosti sensibilmente dai dati di comune esperienza, o sia fondata su criteri incongrui rispetto al caso concreto o radicalmente contraddittori, ovvero se l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto (v. Cass. n. 1529/2010, n. 13153/ 2017); questa Corte ha considerato viziata la motivazione della sentenza che, nell’effettuare la liquidazione equitativa del danno morale, non si riferisca alla gravità del fatto, alle condizioni soggettive della persona, all’entità della sofferenza e del turbamento d’animo, in quanto la stessa si pone al di fuori del fondamento e dei limiti di cui all’art. 1226 c.c. così da rendere impossibile il controllo dell’ “iter” logico seguito dal giudice di merito nella relativa quantificazione (Cass. n. 21087/ 2015);
7.9. tali carenze non sono riscontrabili nella sentenza impugnata che, facendo propria la pronuncia sul punto del primo giudice, ha esplicitato il criterio di liquidazione adottato, giudicando la massima personalizzazione applicata adeguata a ristorare il paterna d’animo sofferto dalla ricorrente nella tragica esperienza del naufragio, giungendo ad una somma non irrisoria e non avulsa dai canoni di comune esperienza. Non appare illogico né incongruo parametrare l’entità del turbamento psichico transitorio vissuto nei momenti del naufragio alla massima gravità delle conseguenze sulle dinamiche relazionali e sul fare areddituale del soggetto, indotte dal danno biologico permanente sofferto;
7.10. in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto;
8. le spese di lite sono regolate secondo il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;
9. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in favore di ciascun controricorrente in € 2.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
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