Corte di Cassazione ordinanza n. 8289 depositata il 29 aprile 2020
accertamento – redditometro
Ritenuto che:
L’Agenzia delle Entrate di Reggio Emilia notificava a T.G. un INVITO (in data 11 settembre 2012, n. 100680), al fine di ottenere informazioni sulla sua posizione reddituale, per gli anni d’imposta 2007 e 2008, rilevata la presenza di elementi indicatori di capacità contributiva incongruenti con i redditi dichiarati. (Sarebbe risultato, infatti, un reddito di € 86.457,35, a fronte di un imponibile dichiarato pari ad € 2.656,00 per l’anno 2007; e un reddito di €109.253,65, a fronte di un imponibile dichiarato di € 659,00 per l’anno 2008).
In sede di di contradditorio il contribuente depositava documentazione, ritenuta inidonea dall’Agenzia delle Entrate a giustificare la maggiore capacità contributiva accertata, anche in considerazione dello scostamento per più di due periodi d’imposta consecutivi di oltre un quarto da quello dichiarato. L’Ufficio notificava quindi due avvisi di accertamento, per i due anni in contestazione, sulla base degli elementi presuntivi di maggior reddito costituiti da acquisto di autovettura, residenza principale con pagamento di rate di mutuo e residenza secondaria non gravata da mutuo.
Con due distinti ricorsi (depositati in data 20 dicembre 2012) il contribuente impugnava detti avvisi di accertamento e ne chiedeva l’annullamento, contestandone la nullità per violazione dell’art. 12 comma 7 legge n. 212/2000, in quanto notificati senza il rispetto del termine dilatorio di gg. 60 dalla verifica fiscale. Nel merito ne deduceva l’infondatezza per il mancato esame della reale situazione reddituale e la mancata considerazione della documentazione prodotta.
L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio e i procedimenti venivano riuniti per connessione soggettiva e oggettiva.
La Commissione Tributaria Provinciale (con la sentenza n. 154/2013 del 24 ottobre 2013 depositata in data 25 ottobre 2013) accoglieva il ricorso del T.G. sull’asserita violazione dell’art 12 co. 7 dello Statuto del contribuente, ed annullava gli avvisi di accertamento impugnati, condannando l’Amministrazione alle spese di giudizio.
Con ricorso in appello (del 27 marzo del 2014 depositato il 9 aprile 2014 n. 968/ 2014 davanti alla Commissione Tributaria Regionale dell’ Emilia Romagna), l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, richiamando la giurisprudenza di legittimità sulla inapplicabilità del termine dilatorio di gg. 60 per gli accertamenti c.d. “a tavolino”, e conseguente inapplicabilità dell’ad 12 comma 7 della legge 212/2000 alla fattispecie.
La Commissione Tributaria Regionale (con la sentenza n. 1126/2018 depositata il 19 aprile 2018), accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate.
Il contribuente avverso tale pronuncia propone ricorso per Cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle entrate si costituisce con controricorso.
Considerato che:
1. Il ricorso è affidato a due motivi.
2. Il primo motivo, col quale si lamenta l’irragionevolezza del D.M. 10 settembre 1992 che ha istituito il “redditometro”, è inammissibile in quanto nuovo.
Nei precedenti due gradi di giudizio, il contribuente non ha richiesto espressamente la disapplicazione del decreto ministeriale, avanzata solo in sede di legittimità, ma ha lamentato esclusivamente una generica irragionevolezza del calcolo del reddito risultante nei due avvisi di accertamento notificati, con conseguente inammissibiltà del motivo trattandosi di una domanda nuova. Il ricorso in Cassazione “quale mezzo di impugnazione a critica vincolata, può essere proposto entro i limiti delle questioni già sollevate con l’atto di appello e di quelle riproposte ex art. 346 c.p.c., senza che possa assumere rilievo una diversa formulazione dei motivi” e deve “investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi”.(Cass. 23320/2018- Cass.20694/2018)
3. In ogni caso il motivo è infondato, in quanto l’applicazione del redditometro ai proprietari di un immobile che hanno stipulato un contratto di mutuo, non è irragionevole, dato che il possesso di un immobile e la presenza di un mutuo costituiscono entrambi elementi di capacità contributiva giustamente considerati. Questa Corte al riguardo ha affermato che “la determinazione effettuata con metodo sintetico, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché legittimo è l’accertamento fondato su di essi” (Cass. n. 16912/2016- Cass. n. 9539/2013). Consegue a questo anche l’infondatezza della lamentata violazione del principio di legalità di cui all’art. 53 cost. da parte dell’art. 38 D.P.R. n. 600/1973, che fornirebbe una delega in bianco e senza controllo parlamentare ai decreti ministeriali disciplinanti il redditometro, dato che il contribuente “può dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito accertato è insussistente, ovvero costituito in tutto o in parte, da redditi esenti o soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta”( Cass. n. 10037/2018).
4. Col secondo motivo si contesta un omesso esame/omessa motivazione della documentazione presentata a giustificazione del maggior reddito accertato, non avendo la Commissione Tributaria Regionale preso in considerazione la prova fornita di avvenuti smobilizzi di investimenti.
Anche questo motivo è inammissibile.
A sostegno del lamentato omesso esame di un fatto decisivo, il contribuente avrebbe dovuto indicare “gli elementi individuanti e caratterizzati il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale” (Cass. n. 2771/2017- Cass. n. 22397/2019). Nel caso specifico il contribuente avrebbe dovuto riportare nel ricorso la motivazione degli avvisi di accertamento che avrebbero ritenuto non adeguatamente motivati i suddetti disinvestimenti. Manca quindi l’indicazione di “un preciso accadimento o una precisa circostanza” denunciabile per cassazione come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, al fine di consentire il vaglio di decisività.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in €. 4.500,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.