CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 8383 del 23 marzo 2023

Sequestro preventivo di azienda – Avviso di accertamento – Omissione presentazione dichiarazione annuale mod. Unico – Autorizzazione del gup – Astensione dalla predisposizione del bilancio e dalle attività connesse e consequenziali – Custode giudiziario – Adempimento dell’obbligo dichiarativo

Rilevato che

1. L’Agenzia delle entrate-Direzione Provinciale di Bari, nel corso di una specifica attività di controllo intrapresa nei confronti di (…) S.R.L. (dichiarata fallita dal Tribunale di Bari il 3 dicembre 2015), a seguito di questionario ed invito n. (…) a fornire documentazione contabile, notificati presso l’allora legale rappresentante D.G. (cfr. la sentenza in epigrafe) per compiuta giacenza e rimasti inevasi, preso atto che la società aveva omesso di presentare la dichiarazione annuale mod. Unico S.C. 2010 relativamente  ai redditi del 2009, notificava l’avviso di accertamento n. (…), mediante il quale, con riferimento a detto anno di imposta, giusta accertamento di tipo induttivo, determinava un reddito imponibile di euro 341.311,37 e, ai fini dell’IVA, un’imposta evasa di euro 427.537,00, oltre interessi e sanzioni.

2. La società, in persona, all’epoca, di amministratore giudiziario, che vanamente aveva proposto istanza di annullamento e, di poi, istanza di accertamento con adesione, impugnava l’avviso, eccependo l’omessa notifica degli atti presupposti, l’insussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti a sostegno delle pretese tributarie e l’erroneità, comunque, di queste ultime sotto svariati profili.

3. La CTP di Bari, con sentenza n. 651/1/15 depositata il 5 marzo 2015, accoglieva il ricorso, con compensazione delle spese, ritenendo non esservi stato un comportamento omissivo della società, atteso che l’amministrazione giudiziario, che peraltro non aveva ricevuto questionario ed invito, era stato autorizzato dall’Autorità Giudiziaria a non presentare la dichiarazione, alla stregua di un provvedimento di cui l’Agenzia delle entrate era stata dal medesimo informata, e specificando essere comunque errati i presupposti concreti posti a fondamento della ricostruzione induttiva.

4. L’Agenzia delle entrate presentava appello, deducendo:

A) “l’autorizzazione del gup del Tribunale di Bari, relativa all’astensione dalla predisposizione del bilancio e dalle attività connesse e consequenziali, non includeva anche l’esonero dalla presentazione della dichiarazione dei redditi: quello che era stato richiesto ed ottenuto era un rinvio per gli adempimenti civilistici previsti dall’art. 2364 [cod. civ.]”;

B) “l’accertamento era basato sulla facoltà, attribuita all’ufficio ex art. 39 co. 2 del DPR 600/73, di determinare il reddito in caso di omessa dichiarazione sulla base dei dati e delle notizie in suo possesso, dovendosi ritenere superfluo e irrilevante l’invio di richiesta di informazioni nei confronti del signor D.G. invece che all’amministratore giudiziario dottor F.C.;

C) il coefficiente di redditività applicato era appropriato;

D) ai fini dell’IVA, il contribuente può computare in detrazione solo i versamenti eseguiti e le imposte risultanti dalle liquidazioni prescritte.

5. La CTR, con la sentenza in epigrafe, respingeva il gravame, confermando la decisione dei primi giudici, ma, espressamente, con “diversa motivazione”.

5.1. Osservava infatti la CTR:

– quanto al punto A) dell’appello, “questa Commissione ritiene che l’autorizzazione del gup non era una valida esimente alla predisposizione presentazione della dichiarazione ai fini fiscali”;

– quanto (anche) al punto B) dell’appello, “occorre chiarire gli obblighi rispettivamente facenti capo all’amministratore giudiziario delle quote sociali e al legale rappresentante della società (persona distinta dal primo) […]. È importante sottolineare che la nomina di un custode/amministratore giudiziario delle quote di una società non comporta di fatto alcuna decadenza dell’amministratore legale della società. Il sequestro penale, come nel caso in esame, concerne il patrimonio della società e quindi non influisce sull’esistenza della società stessa e sulla sua capacità di essere titolare di rapporti giuridici. [Ne] deriva anche che il legale rappresentante della società rimane in carica, a meno che l’amministratore giudiziario, con apposita delibera e in questo caso in rappresentanza di tutte le quote, sostituisca lo stesso e comunichi tramite procedura informatica il nuovo nominativo all’Agenzia delle entrate […]. Al fine di operare una variazione del legale rappresentante – in questo caso non avvenuta – ed effettuare idonea comunicazione [,] non può valere la presentazione del mod. 770, come è accaduto negli anni successivi a firma del dottor F e 1: quest’ultimo, quale amministratore giudiziario delle quote sociali, non può pretendere, come firmatario di tali modelli o per l’invio della pretesa esimente autorizzazione del gup, di essere diventato rappresentante […]. Da ciò deriva la ritualità dell’avvenuta notificazione del questionario al rappresentante legale – mai modificato – e l’irritualità della notificazione dell’avviso di accertamento all’amministratore giudiziario delle quote [,] che difende qui la società (in quanto erroneamente destinatario dell’avviso di accertamento) [,] basandosi sul non ricevimento degli atti prodromici o comunque sulla non pervenuta richiesta di documentazioni prima dell’avviso di accertamento. La violazione di tale principio in astratto può condividersi, ma è palese l’errore di impostazione della problematica da parte dell’amministratore giudiziario delle quote: l’avviso di accertamento andava notificato allo stesso rappresentante legale destinatario della richiesta di dati e notizie, rimasto immutato sia al registro delle imprese che all’anagrafe tributaria. L’ufficio, pertanto, ha sbagliato, anche se indotto a ciò da comunicazioni e/o modelli fiscali inviati all’Agenzia delle entrate per altri versi, ma non idonei a modificare il destinatario degli atti in discussione”;

– “in ogni caso, ‘rebus sic stantibus’ l’amministratore giudiziario delle quote sociali non ha alcuna facoltà [di] rappresentare la società contribuente, men che meno in sede contenziosa […]”;

– “l’avviso di accertamento viene ad essere caducato perché l’ufficio non ne ha correttamente individuato il destinatario […] e ciò tenuto conto [del fatto] che [esso] riguardava la società, le cui quote figuravano sequestrate pur sempre anche nell’interesse dei proprietari fino alla confisca, e che non si era reputato utile o necessario mutare l’amministratore o rappresentante legale. I primi giudici, pur cogliendo il nesso esistente tra richiesta di questionario e avviso di accertamento, non hanno chiarito appieno la titolarità del potere di rappresentanza ai fini fiscali, rimasto in capo al signor D.G., Tale questione assorbe le successive e impedisce l’esame di quelle di merito”.

6. L’Agenzia delle entrate propone il ricorso per cassazione con tre motivi, cui resiste la curatela del fallimento della società con articolato controricorso. A quest’ultimo replica l’Agenzia con memoria cartacea addì 21-23 novembre 2022.

Considerato che

1. Tutti e tre i motivi di ricorso, per comunanza di censure, possono essere enunciati e trattati congiuntamente.

2. Con il primo motivo si denuncia violazione falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.

2.1. La società non ha mai dedotto, quale vizio dell’atto impositivo, l’irregolare notifica dell’avviso di all’amministratore giudiziario, ma unicamente la mancata notifica, al medesimo, degli atti presupposti.

3. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 75 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.

3.1. La CTR ha in ogni caso violato la disciplina sulla legittimazione. Essa ha affermato che l’amministratore giudiziario non ha facoltà di rappresentare la società, ma non ne ha tratto l’inevitabile conseguenza dell’accoglimento dell’appello per inammissibilità del ricorso in primo grado, in quanto proposto da soggetto non legittimato.

4. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2409 cod. civ. e 92 e 93 disp. att. cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.

4.1. Prevedendo l’art. 2409 cod. civ. la nomina, da parte del tribunale, di un amministratore giudiziario in caso di gravi irregolarità di gestione, detto amministratore è organo di garanzia, i cui poteri derivano direttamente dal tribunale e dalla legge. Ne deriva che, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, il medesimo è perfettamente legittimato a ricevere la notifica degli atti impositivi.

5. Il primo motivo, che non si sottrae ai rilievi d’inammissibilità avanzati in controricorso per il fatto di non riprodurre il ricorso introduttivo del giudizio, onde render conto della sussistenza dei presupposti del dedotto vizio di ultrapetizione, è, ad ogni buon conto, infondato.

5.1. Invero, a misura che la verifica di sussistenza del requisito della legittimazione ad impugnare in capo all’amministratore giudiziario debba esser compiuta anche d’ufficio dal giudice in quanto costituente condizione dell’azione, ed a misura che detta legittimazione debba esser valutata in funzione della titolarità di una posizione soggettiva incisa dalla pretesa tributaria con l’atto impositivo, la “quaestio” della regolarità o meno della notificazione dell’avviso di accertamento all’amministratore giudiziario, anziché al contribuente, è essa pure suscettibile di esser vaglia ufficiosamente, non già di per se stessa, ma in quanto giust’appunto funzionale alla decisione sulla legittimazione di detto amministratore.

6. Alla luce di ciò, può dunque procedersi a vagliare “funditus” i due restanti motivi, che sono fondati ai sensi e nei termini della motivazione seguente.

7. In punto di fatto, – dal ricorso emerge che l’avviso di accertamento era notificato a M.L.:, in qualità di socio unico e legale rappresentante nel 2009, a F.C., in qualità di amministratore giudiziario nominato, a seguito di sequestro preventivo, nel procedimento penale n. 1191/10/P.M., ed al D.G., presso la casa comunale di Bari, ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ.;

– dal controricorso emerge “che, con decreto del 26/11/2009, il GIP del Tribunale di Bari[…] poneva sotto sequestro preventivo, ex art. 321, 2° c., c.p.p. e 12 sexies, 1 ° e 4° c., del D.L. n. 306 dell’8/6/1992, il 100% delle quote sociali della stessa società, oltre all’intero compendio aziendale, e – al contempo- nominava quale amministratore giudiziario il  Dott. F.C. Di seguito, il Dott. F.C., con comunicazione […] inviata all’Agenzia delle entrate in data 14/04/2010 […], chiedeva un termine più ampio ai fini dell’approvazione del bilancio e della conseguente presentazione della dichiarazione. In data 21/06/2010, il Dott. F.C. […] chiedeva di essere autorizzato ‘ad astenersi dalla redazione del bilancio … nonché all’espletamento di tutte le formalità connesse e conseguenziali’. Il gup, in data 23/06/2010, autorizzava, il Dott. F.C. ad astenersi dalla redazione del bilancio e dalle attività connesse e conseguenziali, circostanza che il predetto amministratore giudiziario provvedeva a comunicare con apposita nota[…] all’Agenzia delle entrate in data 06/10/2010” (p. 7).

8. In punto di diritto, a rilevare sono due recentissime pronunce di questa Suprema Corte.

La prima è Sez. 5, n. 6111 del 01/03/2019, Rv. 653036-01, la quale afferma il principio così massimato: “In caso di sequestro preventivo di azienda ex art. 321 c.p.p., il custode giudiziario è chiamato a gestire l’impresa solo dall’esecuzione della misura, sicché, per quanto riguarda l’anno immediatamente precedente, soggetto passivo delle imposte, obbligato anche a presentare le dichiarazioni fiscali, resta l’imprenditore sequestratario, nei cui confronti l’imponibile fiscale si è ‘cristallizzato’ alla fine del menzionato esercizio, al quale, con riferimento a quell’anno, deve essere pertanto notificato l’avviso di accertamento, in qualità di ‘contribuente’, ai sensi dell’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 56, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972“.

La seconda pronuncia a rilevare è Sez. 5, n. 29487 del 21/10/2021, Rv. 662598-01, la quale afferma il principio così massimato: “In caso di sequestro dell’azienda disposto ai sensi degli artt. 2-ter, 2-sexies e 2-septies, l. n. 575 del 1965 (nel testo applicabile ‘ratione temporis’), il contribuente è legittimato ad impugnare gli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti, con riferimento ai debiti fiscali già sorti prima del sequestro, mentre spetta al custode giudiziario, per l’intervenuto spossessamento dei beni a carico del contribuente, la legittimazione ad inoltrare all’Agenzia delle entrate l’istanza di accertamento con adesione di cui all’art. 6, d.lgs. n. 218 del 1997, rientrando tale incombente nell’attività di gestione ed amministrazione del complesso aziendale, comprensivo anche dell’attività di salvaguardia dell’integrità patrimoniale e reddituale, per il debito potenzialmente gravante sui beni amministrati, da tutelare nell’ambito dell’accordo negoziale di tipo pubblicistico, rappresentato dal procedimento con adesione“.

9. Siffatte pronunce, in specie se lette in uno alle rispettive motivazioni, sono espressamente concordi nell’affermare che, segnando l’esecuzione della misura cautelare reale il momento d’inizio della gestione dell’impresa da parte del custode giudiziario, in riferimento all’anno immediatamente precedente, ed “a fortiori” agli anni ancor più risalenti, “contribuente”, ai sensi dell’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 56, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, è l’imprenditore sequestratario, tenuto alla presentazione della dichiarazione e, per l’effetto, in quanto soggetto passivo delle imposte, legittimo destinatario dell’eventuale notificazione di avviso di accertamento, quale momento di emersione della pretesa impositiva, le cui eventuali conseguenze solo in via di fatto ridondano sul compendio oggetto di misura.

Quanto all’individuazione dell’anno immediatamente precedente, in Sez. 5, n. 6111 del 2019, è agevole constatare, leggendo la massima al cospetto della fattispecie oggetto di giudizio, come l’arco temporale considerato dalla S.C. coincidesse con l’intero esercizio annuale nel corso del quale l’imprenditore sequestratario aveva svolto l’attività, per essere l’amministratore giudiziario subentrato solo nell’esercizio successivo, in pendenza del termine per la presentazione della dichiarazione. Invece, in Sez. 5, n. 29487 del 2021, venivano in conto finanche anni anteriori a quello immediatamente precedente.

10. L’insegnamento enunciato da Sez. 5, n. 6111 del 2019, e ribadito da Sez. 5, n. 29487 del 2021, per la “ratio” sottesavi, innanzi brevemente ricordata, e suscettivo di conservar vigore anche nel caso, parzialmente differente da quello “funditus” deciso da Sez. 5, n. 6111 del 2019, in cui, come nella specie, nel corso dell’anno anteriore a quello della dichiarazione, sia intervenuta l’esecuzione della misura con conseguente insediamento dell’amministratore giudiziario.

10.1. Invero, a termini del suddetto insegnamento, il giorno dell’esecuzione della misura segna lo spartiacque temporale tra la porzione d’esercizio afferente all’imprenditore non ancora sequestratario e quella, simmetricamente, afferente all’amministratore giudiziario: talché, nell’anno successivo, l’uno e l’altro sono distintamente tenuti, per le rispettive porzioni d’esercizio, alla presentazione di una dichiarazione parziale, cui ciascuno è “ex se” obbligato, salvo che, in ossequio al dovere di cooperazione gravante sull’imprenditore sequestratario con l’amministratore giudiziario (oltretutto nel suo stesso interesse, per il caso di ritorno nella disponibilità del compendio), i due concordino nella presentazione di una dichiarazione congiunta, della quale paritariamente si assumono la responsabilità, sulla base della documentazione, dal primo, resa disponibile e, dal secondo, comunque acquisita o reperita.

10.2. Deve dunque enunciarsi il seguente principio di diritto:

In caso di sequestro preventivo – ai sensi degli artt. 321 cod. proc. pen. e 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. con modif. dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 – della totalità delle partecipazioni di una società e dell’intero suo compendio aziendale, essendo il custode giudiziario chiamato a gestire l’impresa solo dal giorno dell’esecuzione della misura, ai fini dell’adempimento dell’obbligo dichiarativo in relazione all’anno in cui la misura ha avuto esecuzione, da assolversi l’anno successivo, soggetti passivi delle imposte, obbligati pertanto anche a presentare la dichiarazione, sono da considerare sia l’imprenditore sequestratario che il custode giudiziario per le rispettive porzioni d’esercizio, in quanto distintamente tenuti, rispetto a queste, alla presentazione di corrispondenti dichiarazioni parziali“.

11. In considerazione di quanto precede, nella specie, correttamente (con ciò dovendosi accogliere il terzo motivo) risulta avere l’ufficio notificato l’avviso di accertamento sia al legale rappresentante della contribuente sia all’amministratore giudiziario: i quali entrambi (con ciò dovendosi accogliere altresì il secondo motivo) devono considerarsi legittimati all’impugnazione, in relazione all’operato a ciascuno temporalmente imputabile.

12. In definitiva, in accoglimento dei suddetti due ultimi motivi, la sentenza impugnata va annullata e cassata con rinvio per nuovo esame e per la regolazione delle spese, anche con riguardo al presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.