CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 88 depositata il 3 gennaio 2023
Lavoro – Licenziamento disciplinare – Principio di immutabilità della contestazione – Diversa valutazione di analoga inadempienza commessa da altro dipendente – Recesso privo di giusta causa e recesso privo di giustificatezza – Rigetto
Rilevato che
1. il Tribunale di Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare intimato da A.D. s.p.a. al dirigente M.S. in data 9/8/2012, e condannato la società a corrispondergli la somma lorda di € 176.091,60 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, e la somma pari a 15 mensilità di retribuzione mensile (di € 14.674,30 lordi) a titolo di indennità supplementare, oltre accessori;
2. la Corte d’Appello di Milano, per quanto qui rileva, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato le domande di accertamento dell’ingiustificatezza del licenziamento e di condanna al pagamento dell’indennità supplementare di cui all’art. 31 CCNL applicato al rapporto, con conferma delle ulteriori statuizioni di merito contenute nella sentenza appellata, e con condanna dell’originario ricorrente a restituire le somme nette percepite a titolo di indennità supplementare in esecuzione della sentenza di primo grado;
3. la Corte territoriale, in particolare, ha ritenuto che:
– la contestazione disciplinare, formulata in data 24/7/2012 nei confronti dell’appellato, dirigente con funzione di responsabile della Direzione rischio e gestione crediti, e che prendeva le mosse da un rapporto ispettivo della Banca d’Italia (del 17/4/2012) contenente gravi rilievi riconducibili, secondo la società, alla responsabilità del dirigente, e da successive verifiche interne ed aziendali, risultava, come ritenuto dal giudice di prime cure, generica quanto al punto 1, in assenza di enucleazione di specifici fatti concreti relativi al contestato peggioramento dei volumi di pratiche deteriorate ed alle attività che avrebbero generato tale peggioramento, nonché priva di riferimenti spazio-temporali idonei a circostanziare le accuse, con assorbimento delle questioni relative alla tempestività della contestazione;
– parimenti generica risultava anche la contestazione di cui al punto 2, relativa ad omessa richiesta di azioni correttive;
– era mancante la prova degli addebiti di cui ai punti 3 e 4 ed alle mancanze gestionali ivi evidenziate;
– erano invece provati ed idonei a giustificare il licenziamento (e da accogliersi in tali limiti l’appello della società) gli addebiti di cui ai punti 5 e 6 della contestazione disciplinare, relativi all’applicazione di nuove regole di accodamento senza preventiva validazione, disattendendo le direttive aziendali che imponevano di attendere l’autorizzazione del nuovo amministratore delegato, con ricadute in termini di aumento del costo del rischio, nonché all’organizzazione di una riunione del Comitato credito senza convocare l’AD;
– tali condotte erano da reputarsi inappropriate rispetto al ruolo dirigenziale attribuito ed idonee a fondare la decisione, non arbitraria né pretestuosa, del datore di lavoro di porre fine al rapporto, tenuto conto dei rilevanti compiti strategici del dirigente;
– per contro, tali condotte erano da valutarsi non integranti gli estremi della giusta causa e non giustificanti il licenziamento senza preavviso;
– andava così riformato il capo della sentenza del Tribunale che aveva dichiarato l’ingiustificatezza del licenziamento e condannato la società al pagamento dell’indennità supplementare;
4. avverso la sentenza della Corte d’Appello M.S. propone ricorso per cassazione con sette motivi; resiste con controricorso A.D. s.p.a., e propone ricorso incidentale affidato ad unico motivo, cui il ricorrente principale resiste con controricorso su riscorso incidentale; entrambe le parti hanno comunicato memoria;
Considerato che
1. con il primo motivo, parte ricorrente principale deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.) e violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300/1970, anche con riferimento al principio di immutabilità della contestazione, e dell’art. 24 Cost.: assume che la Corte d’Appello ha errato nell’omettere di rilevare che l’addebito di cui al punto n. 5 era generico per la mancanza di riferimenti anche spazio-temporali alle direttive che sarebbero state violate e nell’assumere a fondamento della decisione fatti non specificatamente contestati, in contrasto con il principio di immutabilità della contestazione e con il diritto di difesa del ricorrente;
2. con il secondo motivo, omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.): sostiene l’errore della Corte d’Appello nel ritenere che la sentenza di primo grado abbia compiuto l’accertamento del fatto che il ricorrente aveva dato applicazione alle nuove regole in materia di accodamento senza preventiva validazione;
3.i motivi, da trattare congiuntamente in quanto entrambi connessi all’accertamento e valutazione dei fatti oggetto dell’addebito n. 5 della contestazione, non sono meritevoli di accoglimento;
4. premesso che il difetto di motivazione denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. può concernere esclusivamente la motivazione in fatto, non anche l’interpretazione delle norme giuridiche, così come la sua individuazione e la sussunzione della fattispecie concreta nella fattispecie astratta (le eventuali violazioni che attengano alle norme giuridiche rientrano nel vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.), la diversa valutazione (rispetto a quella prospettata dal ricorrente) non integra, per definizione, una valutazione omessa rilevante per il motivo di ricorso in questione; nella motivazione della sentenza impugnata si dà espressamente conto delle ragioni, basate su un’analisi delle testimonianze raccolte e del quadro probatorio in generale per le quali tale porzione della contestazione disciplinare non è stata ritenuta generica e perché i fatti contestati sono da ritenere accertati;
5. in proposito, deve essere rammentato che non è consentita in sede di legittimità la (sollecitazione di una) rivisitazione del merito della controversia; la valutazione delle emergenze probatorie e la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 20553/2021, n. 15276/2021, n. 17097/2010, n. 12362/2006, n. 11933/2003); il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale valutare elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. 20814/2018, S.U. n. 34476/2019); esula dal vizio di legittimità ex art. 360, n. 5 c.p.c. qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, c. 1 e 2 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova valutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass. n. 15276/2021);
6. con il terzo motivo, parte ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione (art. 360, n. 3, c.p.c.) degli artt. 2909 c.c., 324 e 100 c.p.c., per errore della Corte d’Appello nel ritenere che il preteso accertamento del fatto di avere dato applicazione alle nuove regole in materia di accodamento senza preventiva validazione abbia assunto l’incontrovertibilità propria del giudicato (in quanto l’addebito di cui al punto 5 della contestazione era oggetto di specifico motivo di appello);
7. con il quarto, violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 115 c.p.c. in quanto la Corte d’Appello avrebbe assunto a fondamento del giudizio un fatto (che Agos tra maggio e giugno 2012 avesse stabilito delle direttive aziendali che imponessero di attendere l’autorizzazione dell’A.D. prima di dare applicazione delle nuove regole in materia di accodamento) che non era stato oggetto di rituale capitolo di prova della società;
8. i suddetti motivi, da trattare congiuntamente in quanto anch’essi connessi all’addebito n. 5 della contestazione, sotto il profilo della violazione di legge, non sono fondati;
9. osserva il Collegio che la questione del giudicato risulta in realtà, nel contesto complessivo della motivazione, non decisiva, perché, anche ammesso che tale questione non sia espressa in termini convincenti nella sentenza impugnata, essa risulta in concreto interamente assorbita dalla rivalutazione del quadro probatorio operata (come è proprio della devoluzione del merito in appello, ed invece non consentito, in base al sistema delle impugnazioni, in questa sede) in relazione all’addebito in esame, segnatamente mediante l’analisi diffusa e critica (pp. 10-12 della sentenza impugnata) di 3 deposizioni testimoniali rese sul punto in contestazione; deve, perciò, ribadirsi, con riguardo alla lamentata violazione dell’art. 115 c.p.c., quanto sopra espresso (§5) circa la spettanza esclusiva in capo al giudice di merito del compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, tutti apprezzamenti di fatto esterni al perimetro del giudizio di legittimità;
10. con il quinto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione di legge (art. 360, n. 3 c.p.c.), con riferimento all’erronea valutazione della ripartizione dell’onere della prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., delle circostanze fatte valere in giudizio ed al principio di non contestazione ex artt. 115 e 416 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello – nel ritenere tardiva e contrastante con le precedenti difese la contestazione da parte del lavoratore del fatto che il messaggio Outlook prodotto da Agos a dimostrazione della mancata convocazione della Direzione Generale al Comitato Credito non era riferibile al dirigente – ha attribuito erroneamente l’onere della prova in capo al lavoratore;
11. con il sesto, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.), ossia che la decisione di cui al punto 6) contestata da Agos al dirigente non era di sua competenza;
12.anche per i suddetti motivi, riferiti all’addebito n. 6 della contestazione, valgono le considerazioni sopra svolte con riguardo alle doglianze relative all’addebito n. 5 sviluppate nei paragrafi precedenti;
13. parte ricorrente, infatti, con i suddetti motivi, censura la sentenza impugnata per omissione di esame di un fatto che in realtà è stato espressamente esaminato e valutato dalla Corte in base alle risultanze istruttorie, giungendo a conclusioni diverse e non condivise da quelle prospettate dalla parte, ma, appunto, non incorrendo nel vizio di omissione denunciato; e censura la valutazione di questioni di fatto sotto il profilo della violazione di legge, in contrasto con il principio secondo cui la denuncia di violazione di legge non può surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata);
14. con il settimo motivo, parte ricorrente principale si duole di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.), in quanto la Corte d’Appello avrebbe omesso di valutare il fatto che gli addebiti mossi erano imputabili alla responsabilità di altri soggetti a cui non è stato contestato alcun fatto, mentre l’esame di tale fatto avrebbe indotto la Corte a ritenere il licenziamento arbitrario e illegittimo;
15. il motivo non è fondato: questa Corte ha già avuto occasione di osservare (Cass. 10550/2013) che, ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, qualora risulti accertato che l’inadempimento del lavoratore licenziato sia stato tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, è di regola irrilevante che un’analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro; tale valutazione costituisce un accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità se privo di vizi logici evidenti (cfr. Cass. 14251/2015, n. 10640/2017), con la conseguenza che non è qualificabile come discriminatorio l’esercizio di discrezionalità disciplinare datoriale in relazione a posizioni differenziate, ove ancorato a specifici elementi di fatto;
16. parte ricorrente incidentale denuncia (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art 2119 c.c., sostenendo che le mancanze accertate erano comunque sufficienti per ritenere pregiudicato in maniera irreparabile il rapporto fiduciario;
17. l’impugnazione incidentale della società non è meritevole di accoglimento;
18. è stato precisato da questa Corte che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. n.13534/2019; cfr. anche Cass. n. 985/2017, n. 14777/2021);
19. ora, in tema di licenziamento per giusta causa, nel giudicare se la violazione disciplinare addebitata al lavoratore abbia compromesso la fiducia necessaria ai fini della conservazione del rapporto di lavoro e, quindi, costituisca giusta causa di licenziamento, rilevano la natura e la qualità del singolo rapporto, la posizione delle parti, l’oggetto delle mansioni e il grado di affidamento che queste richiedono, occorrendo altresì valutare il fatto concreto nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante, ai fini in esame, alla potenzialità del fatto medesimo di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento (Cass. n. 31202/2021, n. 17092/2011);
20. occorre, pertanto, distinguere tra l’integrazione a livello generale e astratto della suindicata clausola elastica, che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge, e l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo, che rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, in ordine alle connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità, in termini positivi o negativi, all’ipotesi normativa; ne deriva che il sindacato di legittimità sull’applicazione di un concetto giuridico indeterminato deve essere rispettoso dei limiti che il legislatore gli ha posto, attribuendo al giudice del merito uno spazio di libera valutazione e apprezzamento; questa Corte non può, pertanto, sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento dei concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, e tale sindacato sulla ragionevolezza non è quindi relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione (Cass. n. 13534/2019 cit., in motivazione, e giurisprudenza ivi richiamata);
21. la disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle leggi n. 604/1966 e n. 300/1970 non è applicabile, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 604/1966, ai dirigenti, e, ai fini dell’eventuale riconoscimento dell’indennità supplementare prevista per la categoria suddetta, occorre fare riferimento alla nozione contrattuale di giustificatezza che si discosta, sia nel piano soggettivo che su quello oggettivo, da quello di giustificato motivo ex art. 3, legge n. 604/1966, e di giusta causa ex art. 2119 c.c., trovando la sua ragione d’essere, in particolare, nel rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in ragione delle mansioni affidate – suscettibile di essere leso anche da mera inadeguatezza rispetto ad aspettative riconoscibili “ex ante” o da importante deviazione dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro (Cass. n. 27199/2018, n. 25145/2010);
22. muovendosi sul sottile, ma chiaro, crinale di confine tra recesso privo di giusta causa e recesso privo di giustificatezza in materia di licenziamento del dirigente, la Corte di Milano è pervenuta alla valutazione che la dimostrazione di 2 violazioni di rilievo disciplinare su 6 contestate, tutto conto della loro portata, nonché dello specifico ruolo e della responsabilità del dirigente, non integrasse una situazione di fatto tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, con conseguente difetto di giusta causa del recesso; contestualmente ha ritenuto che tali violazioni mettessero comunque in crisi la fiducia sul futuro corretto adempimento del ruolo dirigenziale attribuito in relazione alle direttive aziendali, e che quindi il recesso non fosse privo di giustificatezza;
23. si tratta di una valutazione del caso concreto all’interno dei parametri di legge (costituenti clausole elastiche nel senso sopra descritto), conforme al loro ambito di applicazione e rispondente a criteri di ragionevolezza e di adeguata motivazione, che pertanto resiste alle censure svolte con il ricorso incidentale;
24. la reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite del presente giudizio, dandosi atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto, tanto per il ricorrente principale, quanto per la società ricorrente incidentale;
P.Q.M.
Respinge i ricorsi principale e incidentale; compensa le spese del presente grado di giudizio; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.