CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 9165 depositata il 3 aprile 2023

Tributi – Cartella di pagamento – TARSU – Immobile adibito in parte ad abitazione principale ed in parte a struttura recettiva (agriturismo) – Comunicazione a mezzo PEC dell’avviso di trattazione della causa nel processo tributario – Notifica nel domicilio eletto – Elezione di domicilio presso il difensore – Comunicazione alla PEC della parte – Esclusione di notifica a mani proprie – Accoglimento

Rilevato

1. (…) ha impugnato la cartella di pagamento con cui il Comune di (…) gli ha chiesto il pagamento della Tarsu per l’anno 2012, in ordine ad immobile adibito in parte ad abitazione principale ed in parte a struttura recettiva (agriturismo).

1. La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso.

2. La Commissione tributaria regionale ha confermato la sentenza di primo grado, osservando che “per la struttura della qualifica di struttura agrituristica è necessario che l’attività recettiva sia complementare all’attività agricola. Siccome nella fattispecie non è in contestazione la natura agrituristica della struttura non può essere messa in discussione neppure la complementarità della stessa rispetto all’attività principale dell’impresa che è agricola…..Da quanto precede emerge l’illegittimità della pretesa impositiva che ha ricondotto le aree in questione alla tariffa prevista per alberghi e ristoranti. La tariffa applicabile è, invece, quella prevista per il regolamento per i locali agricoli”.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune.

4. Ha resistito con controricorso il contribuente.

5. Fissata l’adunanza camerale del 16 marzo 2023, la causa è stata trattata in camera di consiglio, che si è svolta con modalità da remoto, ai sensi dell’art. 140 bis disp.att.cod.proc.civ., in virtù di provvedimento del Presidente del collegio.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso il Comune ha eccepito, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., la nullità della sentenza e del procedimento di appello per violazione degli artt. 61 e 31 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione ai precedenti artt. 16 e 17, in quanto l’avviso di fissazione dell’udienza di trattazione dell’appello non è stato comunicato al domicilio eletto del Comune di (…) presso il difensore (…) o in (…), ma direttamente, via p.e.c., alla parte, sicché il difensore non ha partecipato all’udienza di discussione e non ha potuto svolgere attività difensiva.

Il motivo è fondato.

Occorre premettere che nel processo tributario, la comunicazione della data di udienza, ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 546 del 1992, applicabile anche ai giudizi di appello in relazione al richiamo operato dall’art. 61 del medesimo decreto, adempie ad un’essenziale funzione di garanzia del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, sicché l’omessa comunicazione alle parti, almeno trenta giorni prima, dell’avviso di fissazione dell’udienza di discussione, determina la nullità della decisione comunque pronunciata (tra le altre: Cass., Sez. 6 – 5, 11/07/2018, n. 18279 dell’11/07/2018, Cass., Sez. 5, 31/10/2018, n. 27837)

Cass., Sez. civ. 5, 18/12/2006, n. 27094 ha affermato che nel processo tributario, la comunicazione dell’avviso di trattazione direttamente alla parte, anziché al procuratore costituito, non dà luogo alla nullità assoluta dell’udienza e degli atti successivi – non versandosi nell’ipotesi di “omessa” comunicazione dell’avviso – come, del resto, nel rito ordinario, la notificazione dell’appello personalmente all’appellato anziché presso il procuratore costituito, integrando una nullità relativa, è sanata, con effetto “ex tunc”, dalla costituzione dell’appellato in giudizio.

Ne consegue che, in ordine ad un siffatto vizio, analoga efficacia sanante riveste la presenza, all’udienza di trattazione, del difensore dell’appellato, ancorché meramente strumentale alla formulazione dell’eccezione di nullità, essendo applicabile in tale ipotesi la stessa norma dell’art. 156, terzo comma, cod. proc. civ. – sanatoria dell’atto nullo per avvenuto raggiungimento dello scopo – ritenuta operante in caso di notifica alla parte personalmente, anziché al difensore, dell’atto introduttivo del giudizio.

Va, però, ricordato che, secondo le successive Cass., Sez. U. civ., 22/06/2011, n. 13654, in tema di contraddittorio nel processo tributario, ai sensi dell’art. 17, comma primo, del d.lgs. n. 546 del 1992, la comunicazione dell’avviso di trattazione della causa, ex artt. 31 e 61 del d.lgs.  cit., deve essere effettuata, nel caso di esistenza di un domicilio eletto, presso quest’ultimo o, comunque, mediante consegna in mani proprie. Invero, l’art. 17 d.lgs. n. 546 del 1992 fa salva la validità della notificazione o comunicazione che abbia raggiunto direttamente la parte.

Questo principio è già stato affermato ripetutamente da questa Corte con riferimento al processo tributario (v., ad esempio, Cass., Sez. civ. 5, 20/01/2017, n. 1528, che ha affermato che, nel processo tributario, con riguardo al luogo delle notificazioni, l’art. 17 del d.lgs. n. 546 del 1992 fa in ogni caso salva la “consegna in mani proprie”, per cui deve considerarsi valida, anche in presenza di un’elezione di domicilio, la notifica eseguita in tal modo, da identificarsi non solo con quella ex art. 138 c.p.c., ma anche con tutte le altre notificazioni ex art. 140 c.p.c. o a mezzo del servizio postale, a seguito delle quali l’atto venga comunque consegnato a mani del destinatario; così da ultimo Cass., Sez. civ. 5, 23/11/2022, n. 34450).

Fatte queste premesse, occorre adattare i principi già affermati al caso di specie, in cui la comunicazione dell’avviso di udienza in appello è avvenuta, secondo le allegazioni dello stesso ricorrente, direttamente all’indirizzo PEC della parte, e non a quello del difensore presso il quale la stessa aveva eletto domicilio.

Premesso che sulla soluzione del problema non influisce il fatto che la parte processuale – in quanto PA – fosse tenuta a dotarsi di indirizzo Pec istituzionale risultante da pubblici elenchi, si osserva che in effetti, in virtù dell’art. 16-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, applicabile ratione temporis, le comunicazioni sono effettuate anche mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata, ai sensi del d.lgs. n. 82 del 2005. Come precisa l’ultimo comma della disposizione in esame, l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata valevole per le comunicazioni e le notificazioni equivale alla comunicazione del domicilio eletto. Nel caso di specie, dagli atti processuali, a cui questo giudice ha accesso nell’esame del motivo in esame, trattandosi della deduzione di un error in procedendo, risulta che il Comune di (…) ha indicato solo la p.e.c. del difensore, presso cui ha eletto domicilio, e non anche la propria. Da tale premessa deriva che la comunicazione, effettuata all’indirizzo p.e.c. della parte, che non è stata indicata negli atti di causa e non assurge, pertanto, in virtù dell’equiparazione di cui all’art. 16-bis, ultimo comma, d.lgs. n. 546 del 1992, a domicilio eletto, è invalida, in quanto viola l’art. 17, primo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, che prevede che le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio.

Né può ritenersi che la comunicazione all’indirizzo di posta elettronica certificata della parte corrisponda alla consegna a mani proprie che l’art. 17 fa sempre e, comunque, salva.

In primo luogo va ricordato l’orientamento, secondo cui in presenza di elezione di domicilio, le notificazioni devono essere effettuate presso il domicilio eletto, non già presso la sede legale della società, dovendosi ritenere che la disposizione dettata dall’art. 17 del d.lgs. n. 546 del 1992, laddove prevede che la notificazione possa eseguirsi in ogni caso “a mani proprie”, non è estensibile alle società di capitali, per le quali la ricezione degli atti non può avvenire che per mezzo di altre persone (Cass, Sez. civ. 5, 15/11/2017, n. 27050, con richiamo a Cass., Sez. civ., 5, 12/11/2004 n. 21514). Tale principio opera evidentemente anche nei confronti delle persone giuridiche diverse dalle società, tra cui quelle di diritto pubblico, quali le amministrazioni comunali, in quanto anche per esse la ricezione degli atti avviene tramite altre persone.

In aggiunta a tale preliminare rilievo, deve inoltre escludersi che, in caso di comunicazione tramite p.e.c. della parte, possa applicarsi l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la consegna a mani proprie di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 546 del 1992 non è solo quella ex art. 138 cod.proc.civ., ma anche quella in cui l’atto venga consegnato a mani del destinatario (v. Cass., Sez. civ. 5, 20/01/2017, n. 1528, che ha affermato che, nel processo tributario, con riguardo al luogo delle notificazioni, l’art. 17 del d.lgs. n. 546 del 1992 fa in ogni caso salva la “consegna in mani proprie”, per cui deve considerarsi valida, anche in presenza di un’elezione di domicilio, la notifica eseguita in tal modo, da identificarsi non solo con quella ex art. 138 c.p.c., ma anche con tutte le altre notificazioni ex art. 140 c.p.c. o a mezzo del servizio postale, a seguito delle quali l’atto venga comunque consegnato a mani del destinatario; così da ultimo Cass., Sez. civ. 5, 23/11/2022, n. 34450).

In proposito occorre sottolineare che l’art. 17 del d.lgs. n. 546 del 1992 fa riferimento alla consegna in mani proprie con una terminologia inequivocabile che prescinde dalla forma della notificazione o comunicazione, ma esige un coinvolgimento del destinatario nella ricezione dell’atto e la conseguente consapevolezza, da parte sua, di tale ricezione. La comunicazione a mezzo p.e.c. prescinde, invece, da un effettivo coinvolgimento del destinatario nella ricezione dell’atto, essendo sufficiente la ricevuta di avvenuta consegna, completa di attestazione di conformità, a certificare l’avvenuto recapito del messaggio e degli allegati, in applicazione della regola di cui all’art. 149 bis cod.proc.civ., in base alla quale la notifica a mezzo p.e.c. si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella p.e.c. del destinatario.

In proposito va anche ricordata la recente Cass., Sez. civ. 3, 23/06/2021, n. 17968, secondo cui, nell’ipotesi di notifica del decreto ingiuntivo a mezzo PEC, a norma dell’art.3 bis della l. n. 53 del 1994, la circostanza che la e-mail PEC di notifica sia finita nella cartella della posta indesiderata (“spam”) della casella PEC del destinatario e sia stata eliminata dall’addetto alla ricezione, senza apertura e lettura della busta, per il timore di danni al sistema informatico aziendale, non può essere invocata dall’intimato come ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore ai fini della dimostrazione della mancata tempestiva conoscenza del decreto che legittima la proposizione dell’opposizione tardiva ai sensi dell’art.650 cod.proc.civ.: ciò in quanto l’art.20 del d.m. n. 44 del 2011 (regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi di cui al d.lgs. n. 82 del 2005), nel disciplinare i requisiti della casella PEC del soggetto abilitato esterno, impone una serie di obblighi – tra cui quello di dotare il terminale informatico di “software” idoneo a verificare l’assenza di virus informatici nei messaggi in arrivo e in partenza, nonché di “software antispam” idoneo a prevenire la trasmissione di messaggi indesiderati – finalizzati a garantire il corretto funzionamento della casella di posta elettronica certificata, il cui esatto adempimento consente di isolare i messaggi sospetti ovvero di eseguire la scansione manuale dei relativi “files”, sicché deve escludersi l’impossibilità di adottare un comportamento alternativo a quello della mera ed immediata eliminazione del messaggio PEC nel cestino, una volta che esso sia stato classificato dal computer come “spam”.

Alla luce di tali precisazioni, la notificazione/comunicazione all’indirizzo p.e.c. della parte non può essere equiparata alla consegna a mani proprie del destinatario (laddove ciò sia previsto, dalla disciplina vigente, al fine di superare irregolarità o vizi procedurali) proprio in considerazione della maggiore garanzia di coinvolgimento personale e di conoscenza effettiva della ricezione dell’atto che il legislatore vuole assicurare con la consegna ‘a mani proprie’.

Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: “Nel processo tributario, qualora la parte non abbia indicato negli atti il proprio indirizzo p. e. c. valevole per le comunicazioni e notificazioni come domicilio eletto ex art.16 bis, ultimo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 ed abbia eletto domicilio presso il proprio difensore, la comunicazione della data di udienza ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. cit. avvenuta direttamente al suo indirizzo p.e.c. non integra la consegna a mani proprie che l’art. 17 del d.lgs. n. 546 del 1992 fa sempre salva”.

Alla luce di tale principio – ed essendo pacifico in causa che il difensore pretermesso non partecipò all’udienza in appello – il primo motivo di ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio affinché provveda alla rinnovazione del giudizio nullo, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio.

Ogni altro motivo e questione restano assorbiti.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione.