CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 9285 depositata il 4 aprile 2023
Compensi professionali – Fallimento ammesso al patrocinio a spese dello Stato – Liquidazione dell’attività svolta quale procuratore legale – Assenza di fondi per le spese del giudizio – Tariffe professionali – Non vincolatività dei minimi tariffari – Rigetto
Fatti di causa
1. Il Dottore Commercialista (…) era nominato, con riferimento al grado di appello, difensore del fallimento del (…) Società cooperativa a responsabilità limitata, in relazione a giudizio di opposizione alla cartella di pagamento n. (…) recante pretese tributarie per l’importo di Euro 29.432.624,11 (ric., p. 2 s.).
Il procuratore nominato si costituiva in giudizio innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, e proponeva le proprie difese, (…) iI vizio di notificazione dell’atto esattivo e la conseguente decadenza dell’Ente impositore dal potere di esercitare la pretesa tributaria (rie., p. 3). La CTR, pronunciandosi con sentenza n. 10001 del 2015, rigettava il ricorso.
2. (…) domandava ai sensi del Testo Unico delle spese di giustizia la liquidazione dei propri compensi a spese dello Stato, quantificati nella misura di € 441.489,36, avendo il Giudice Delegato del fallimento (…) delle forme di legge che la procedura non disponeva delle somme necessarie per il pagamento delle competenze al professionista. Il giudice liquidava il compenso in € 4.000,00 oltre Iva ed accessori (ric., p. 4).
3. Il professionista proponeva opposizione, avverso la liquidazione dei compensi, ai sensi dell’art. 170 del Dpr n. 115 del 2002 (T.U. delle spese di giustizia), ed il Presidente della Commissione Tributaria Regionale della Campania lo rigettava.
4. Ha proposto ricorso per cassazione, avverso la pronuncia sfavorevole conseguita in sede di reclamo, (…) affidandosi a tre motivi di ricorso. L’Agenzia delle Entrate, l’Agenzia delle Entrate Riscossione, il Ministero della Giustizia ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze resistono mediante controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto invocando il disposto dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. (ric., p. 6 ss.), il professionista contesta la violazione degli artt. 82, 137, 141 e 144 del Dpr n. 115 del 2002 (T.U. sulle spese di giustizia), dell’art. 13 della legge n. 247 del 2012, degli artt. 3, 24 e 35 della Costituzione, nonché dell’art. 9, come mod., del DI. n. 1 del 2012, per avere il giudice impugnato pronunciato sul fondamento di errati parametri di legge, e comunque per non avere applicato le previsioni normative vigenti in materia ed aver impropriamente motivato, anche con riferimento a precedenti inconferenti.
2. Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione degli artt. 18, 19, 20, 21, 22, 34 e 53, del D.Lgs. n. 546 del 1992, per avere il giudice della CTR ritenuto che, a fronte dell’elevato valore della controversia, il compenso del professionista dovesse comunque liquidarsi in misura contenuta perché l’attività difensionale svolta ha notevolissime somiglianze con quella prestata in altro giudizio, e l’attività del professionista è stata concentrata nella contestazione delle modalità di notificazione dell’atto, e comunque è rimasta assolutamente ben circoscritta ad affrontare temi “frequentissimi”.
3. Con il terzo motivo di impugnazione, da intendersi come introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., il ricorrente critica la “evidente contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato” (ric., p. 7), per avere il giudice del reclamo sostenuto che i rilievi proposti risultino adeguati ad integrare la motivazione della liquidazione, liddove in realtà operano riferimento a decisione di legittimità di cui però non interpretano correttamente il significato.
4. Preliminarmente deve darsi atto che il ricorrente ha domandato di valutare la ricorrenza nel presente giudizio della opportunità di sottoporre alle Sezioni Unite della Suprema Corte, in quanto questione di massima di particolare importanza, la decisione sulle “esatte regole giuridiche da osservare nella determinazione (rilevante nella fattispecie) del compenso spettante al professionista incaricato di difendere un fallito tutte le volte che (come nel caso) il giudice delegato al fallimento abbia, ai sensi dell’art. 144 D.P.R. n. 115 del 2002, attestato l’assenza di fondi per le spese del giudizio ammettendo la curatela fallimentare al gratuito patrocinio, con la conseguenza che il compenso stesso non fa più carico al fallimento ma all’erario” (ric., p. 7, le evidenze sono nel testo).
4.1. Invero non si rinvengono, nella vicenda processuale in esame, elementi che inducano a ritenere ricorrenti circostanze che suggeriscano di rimettere la decisione del giudizio alle Sezioni Unite. La questione relativa alla liquidazione degli onorari del difensore per l’attività svolta in giudizio, con oneri a carico dello Stato, appare ricorrente, e neppure si rinvengono specifici contrasti di giurisprudenza.
5. Tanto premesso, non risulta agevole riassumere le critiche proposte dal ricorrente alla decisione impugnata, perché i suoi primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente sussistendo elementi di connessione, per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva, mancano di un momento di sintesi.
Sembra corretto desumere che con il primo strumento di impugnazione il ricorrente intenda contestare in primo luogo l’errata individuazione della normativa applicabile e quindi dei parametri legali da utilizzare ai fini della liquidazione dei compensi, con particolare riferimento alla disposizione di cui all’art. 82 del Dpr n. 115 del 2002, che “impone all’autorità giudiziaria chiamata a liquidare i compensi e le spese spettanti al difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio di osservare la tariffa professionale propria del difensore, quindi (in difetto di qualsivoglia indicazione diversa) di osservare anche (e soprattutto) i minimi previsti da ciascuna tariffa professionale” (ric., p. 10, evidenza aggiunta), norma per effetto della quale “deve essere ritenuta ed affermata la vincolatività per la stessa “autorità giudiziaria” dei minimi previsti dalle tariffe professionali” (ric., p. 11). Inoltre, il ricorrente lamenta alla CTR di avere impropriamente motivato, operando riferimento a precedenti inconferenti.
5.1. Mediante il secondo strumento di impugnazione il professionista lamenta invece la indebita svalutazione della prestazione da lui fornita, operata dal giudice impugnato sottolineando che egli avrebbe concentrato la propria prestazione nel contestare il vizio di notificazione, e quindi nell’affrontare temi frequentissimi.
5.2. Entrambi gli strumenti di impugnazione presentano limiti nella specificità della contestazione proposta, e rivelano pertanto profili di inammissibilità.
Il ricorrente domanda riconoscersi la correttezza della nota di liquidazione delle competenze professionali che afferma di avere proposto, ma non ha cura di riprodurla nel suo ricorso, neppure indicando gli importi richiesti in relazione a ciascuna fase processuale.
Non solo, non indica neanche, l’istante, di quale tabella di quantificazione delle prestazioni professionali rese si sia servito per effettuare i suoi calcoli. Ancora, non risulta esplicitato se il professionista abbia tenuto conto, nel redigere la sua richiesta di pagamento dei compensi, della previsione di cui all’art. 130 del Dpr n. 115 del 2002, secondo cui, nei casi di ammissione al patrocinio dello Stato, “1. Gli importi spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte sono ridotti della metà”.
5.3. Inoltre, con riferimento al primo motivo di ricorso, che riporta censure riconducibili alla violazione di legge ma pure al vizio di motivazione, queste ultime rinnovate con il terzo mezzo di ricorso, deve anche ricordarsi che non è consentito proporre le proprie critiche, nel giudizio di legittimità, operando un’indebita commistione di contestazioni introdotte in relazione a profili di censura diversi, senza nitidamente distinguere le critiche proposte. In proposito questa Corte ha già avuto modo di chiarire che “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrappos1z1one di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo … Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse“, Cass. sez. I, 23.10.2018, n. 26874.
6. Tanto premesso, i primi due motivi di ricorso proposti da (…) appaiono infondati.
Il ricorrente censura la decisione adottata dal giudice impugnato perché avrebbe svalutato il rilievo dell’attività professionale da lui svolta, sottolineando che il giudizio proponeva questioni assolutamente analoghe ad altro in cui pure (…) aveva prestato il proprio patrocinio, e che la contestazione principale proposta dal difensore era relativa alla censurata regolarità della notificazione, questione la quale si propone frequentissima nei giudizi tributari.
La critica di queste valutazioni proposta dal ricorrente risulta del tutto generica. Afferma, il professionista, che l’attività difensiva svolta “non può essere qualificata simile con quella svolta in altro giudizio”, ma non dice perché. Sostiene: “né tantomeno i temi affrontati possono essere definiti frequentissimi e non particolarmente delicati” (ric., p. 15 s.), ma non ha cura di indicare quali essi fossero, visto che dedica le sue osservazioni alla sola contestazione del vizio del procedimento notificatorio, tematica certo frequentissima.
6.1. Il ricorrente afferma quindi che, ai sensi dell’art. 82 del testo unico sulle spese di giustizia (Dpr n. 115 del 2002), i minimi delle tariffe indicate per i professionisti sono, sempre e comunque, inderogabili.
In proposito può innanzitutto osservarsi che alla liquidazione in parola risultano applicabili le nuove regole previste con Dm n. 55 del 2014, che ha espressamente escluso la vincolatività dei minimi tariffari.
Ma può anche ricordarsi come questa Corte regolatrice abbia già condivisibilmente chiarito che nella “disciplina della liquidazione dei compensi spettanti al difensore” il quale “ha assistito una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, è la stessa norma di fonte primaria – l’art. 82 del T.U. spese giust. – a puntualizzare che il giudice deve liquidare l’onorario “tenuto conto della natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa“. Tale ultima disposizione – nel contemperare ragionevolmente la necessità di assicurare la difesa tecnica del non abbiente e di retribuire l’attività dell’avvocato con l’incidenza del relativo costo sull’intera collettività – consente al giudice di scendere al di sotto dei parametri di normale riferimento tutte le volte in cui l’attività in concreto svolta dal difensore sia di grado modesto, avuto riguardo alla sua incidenza sulla posizione processuale del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato o all’effettiva consistenza della lite“, Cass. sez. II, 26.5.2016, n. 10876.
I primi due motivi di ricorso proposti da (…) risultano pertanto infondati, e devono essere respinti.
7. Mediante il terzo motivo di ricorso (…) contesta il vizio dell’ordinanza pronunciata dalla CTR della Campania per aver proposto una motivazione contraddittoria, perché richiamante una pronuncia di legittimità in realtà male invocata.
Anche questa critica rivela profili di inammissibilità, perché propone una contestazione del vizio di motivazione espresso secondo una formula non più applicabile.
7.1. Il motivo di ricorso risulta comunque infondato, perché ritiene di individuare un vizio nella motivazione della pronuncia della CTR, nella misura in cui essa opera richiamo alla decisione Cass. sez. II, 26.5.2016, n. 10876, sottolineando il professionista che in quella pronuncia la Suprema Corte ha reputato legittima la liquidazione dei compensi professionali effettuata in base ad uno scaglione tariffario diverso da quello cui la causa apparteneva per valore, mentre nel caso ora in esame il giudice non ha applicato un diverso scaglione, ma ha effettuato la liquidazione senza operare riferimento ad alcuno scaglione, ed in maniera illegittima.
7.2. Il ricorrente propone una lettura non condivisibile della indicata decisione della Suprema Corte, già innanzi richiamata esaminando il primo ed il secondo motivo di impugnazione. In quella pronuncia la Cassazione esprime alcuni principi di vasta applicazione, anche specificamente con riferimento alla liquidazione dei compensi in relazione all’attività difensionale svolta in favore di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato, come si è visto, cui la CTR ha operato congruo riferimento nella sua decisione. Quindi la Corte di legittimità concentra l’attenzione sulla specifica questione sottoposta al suo esame, ed affronta (anche) la tematica degli scaglioni tariffari.
Pure il terzo motivo di ricorso introdotto da (…) risulta infondato, e deve pertanto essere respinto.
8. Le spese di lite sono regolate in applicazione dell’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura della controversia e del valore della causa, nonché dell’avere l’Avvocatura dello Stato assunto la difesa di più parti processuali.
8.1. Risultano integrati presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del c.d. doppio contributo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso introdotto da (…).
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore delle costituite controricorrenti, e le liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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