CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 9322 depositata il 4 aprile 2023

Tributi – Rimborso IRES e IRAP – Conciliazione – Violazione del principio di doppia imposizione – Rigetto

Rilevato che

1. La società (…) S.p.A. presentava all’Agenzia delle Entrate – Ufficio di (…) istanza di rimborso IRES ed IRAP, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per le annualità 2004, 2005, 2006, assumendo di aver versato in duplice misura i tributi dovuti per le medesime fattispecie, una prima volta nel periodo d’imposta ritenuto di competenza, una seconda volta come conseguenza dell’accertamento dell’Erario.

Nello specifico, alla società erano stati notificati, in data 11 dicembre 2007, gli avvisi di accertamento n. (…); in relazione ad IRES ed IRAP, segnatamente, si recuperavano i ricavi dichiarati dalla contribuente nell’esercizio successivo a quello ritenuto corretto dall’Agenzia, nonché determinate voci di costo ritenute inerenti o di competenza dell’esercizio precedente rispetto a quello in cui erano state computate.

2. La società contribuente, esperito un infruttuoso tentativo di accertamento con adesione, proponeva ricorso avverso i detti avvisi; nelle more del giudizio, intraprendeva altresì un tentativo di conciliazione ex art. 48, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 con l’ufficio, all’esito del quale addiveniva alla definizione di tutte le pretese impositive avanzate ai fini IRES ed IRAP per le annualità 2004, 2005, 2006, con conseguente rideterminazione delle imposte dovute, che venivano tempestivamente versate.

3. A seguito della conciliazione, tuttavia, la società paventava la violazione del principio di doppia imposizione, essendosi avveduta del duplice assolvimento dell’obbligo tributario, prima come (erroneamente) effettuato imputando determinati ricavi in un esercizio ritenuto di competenza, poi come esito della rideterminazione operata in sede di accertamento fiscale. Per questa ragione, la contribuente proponeva, in data 8 settembre 2010, istanza di rimborso all’Ufficio, volta ad ottenere la restituzione delle imposte pagate in eccesso, previa rideterminazione dell’imponibile relativo agli anni d’imposta oggetto di conciliazione; proponeva altresì istanza di rimborso degli interessi maturati. In assenza di risposta da parte dell’Ufficio, si formava un silenzio-rifiuto.

4. Avverso il silenzio dell’Ufficio, la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Firenze; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate con controdeduzioni, chiedendo il rigetto del ricorso avversario e tale Commissione, con sentenza n. 1063/02/2014, respingeva il ricorso della contribuente, confermando la legittimità del rifiuto amministrativo.

5. Contro tale decisione proponeva appello l’odierna ricorrente dinanzi la C.t.r. della Toscana; si costituiva anche l’Ufficio, ribadendo le argomentazioni già dedotte in prime cure e chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

6. Con sentenza n. 62/2017, depositata in data 13 gennaio 2017, la C.t.r. adita respingeva il gravame della contribuente, condannandola alla rifusione delle spese di giudizio.

7. Avverso la sentenza della C.t.r. della Toscana, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’ufficio si è costituito con controricorso.

La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 17 marzo 2023 per la quale non sono state depositate memorie.

Considerato che

1. Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 48 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché degli artt. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 109 e 163 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e 14 disp. att. cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto che il contenuto del verbale di conciliazione sia immutabile tout court ed ha convalidato il calcolo della base imponibile operato in sede di conciliazione, nel quale sono stati computati costi e ricavi già assoggettati al prelievo.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, sub specie di motivazione insufficiente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e/o in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’error in iudicando e l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha omesso di motivare sufficientemente ed esaminare la questione in ordine alla idoneità della conciliazione (abbia essa natura negoziale o meno) a contrastare un principio cardine della materia, ossia il divieto di doppia imposizione.

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Con esso si lamenta l’error in iudicando dei Giudici regionali, avendo la C.t.r. ritenuto definitivo il contenuto del verbale di conciliazione di cui all’art. 48, d.lgs. n. 546 del 1992; si lamenta altresì la convalida del calcolo dell’imponibile operata dall’ufficio in sede conciliativa.

La sede conciliativa costituisce contesto in cui entrambe le parti hanno facoltà di raggiungere un compromesso, come evidenziato dal comma primo dell’art. 48 d. lgs. n. 546 del 1992 per cui «se in pendenza del giudizio le parti raggiungono un accordo conciliativo, presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o parziale della controversia». La ricorrente, dunque, ben avrebbe potuto contestare già in quella sede le determinazioni dell’ufficio laddove, invece, ha provveduto alla sottoscrizione del verbale di conciliazione per cui, in ossequio al comma quinto dell’art. 48 del d.lgs. citato, «la conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo di cui al comma 1, nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente» e le somme potevano essere richieste dalla ricorrente in detta sede.

Sicchè, i giudici di seconde cure, con una motivazione immune da vizi, hanno ritenuto definitivo il verbale di conciliazione, richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, intervenuto il verbale di conciliazione giudiziale, con il quale le parti hanno inteso definire ogni aspetto del rapporto controverso, la sopravvenuta conciliazione giudiziale ha un effetto novativo del titolo di imposizione, sostituendosi all’originario verbale di constatazione ed all’avviso di accertamento su di questo basato (Cass. 24 febbraio 2017, n. 4807). Vieppiù che la fattispecie conciliativa si era perfezionata avendo la contribuente provveduto al pagamento di tutte le rate, secondo le modalità previste dall’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992, con conseguente acquisita incontrovertibilità di quanto in esso consacrato ed idoneità a costituire titolo per la riscossione.

Nel caso di specie, come puntualmente specificato nel ricorso, le somme determinate in sede conciliativa sono state «tempestivamente versate» dalla contribuente, cosicché ricorrevano tutti i presupposti, per dichiarare definitivo il verbale di conciliazione, con la conseguenza che è da ritenersi corretto l’operato del giudice di seconda istanza.

3. Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato.

La natura di transazione oggettiva novativa del verbale di conciliazione è tale per cui l’originaria pretesa tributaria sia sostituita dalla nuova somma concordata dalle parti; dunque, sul piano teorico, non c’è violazione del divieto di doppia imposizione fiscale, assunto che le parti hanno congiuntamente concordato la conciliazione, la quale ha estinto la pregressa pretesa e, conseguentemente, mutato la prestazione tributaria. Sul piano pratico, infatti, parte ricorrente ben avrebbe potuto non addivenire a conclusione del verbale di conciliazione e contestare in sede di merito la violazione del divieto di doppia imposizione. La giurisprudenza di questa Suprema Corte è sensibile al rispetto del principio statuito agli artt. 67 d.P.R. n. 600 del 1973 e 163 d.P.R. n. 917 del 1986: «la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione (…) Né l’applicazione di detto criterio implica di per sé la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta(..)» (Cass. 20/05/2009, n. 10981). Nel caso di specie, tuttavia, la sopravvenuta definitività del verbale di conciliazione preclude la disamina della violazione del detto divieto, come si evince dall’operato del giudice di seconde cure; nel verbale di conciliazione, la pretesa tributaria è stata rettificata e l’imposta dovuta rideterminata, cosicché l’odierna ricorrente avrebbe avuto lo spazio necessario per richiedere le rettifiche che le apparivano più opportune prima della sottoscrizione, con cui l’obbligazione tributaria si è modificata, essendosi estinta e poi rinnovata in via definitiva.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a pagare in favore dell’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 5.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13, se dovuto.