Corte di Cassazione ordinanza n. 9423 depositata il 22 maggio 2020
accertamento – operazioni bancarie – prova contraria
Ritenuto che:
La società N. F. & C. s.n.c., in persona del legale rapp.te p.t., ed i suoi due soci, F. N. e C. M., a seguito di notifica di avvisi di accertamento relativi agli anno 2003, 2004 e 2005, con i quali l’Agenzia delle Entrate procedeva alla ricostruzione del reddito di impresa recuperando a tassazione gli importi di alcune operazioni bancarie ritenute non giustificate, proposero ricorso innanzi alla Commissione Provinciale di Foggia, lamentando il mancato invito al contraddittorio preventivo e che le operazioni bancarie erano ampiamente giustificate dalla documentazione prodotta.
La Commissione provinciale, riuniti i ricorsi dei soci e della società, li accoglieva integralmente compensando le spese di lite.
Avverso tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle entrate che veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, con la sentenza in epigrafe. L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale con quattro motivi. La società ed i soci hanno resistito con controricorso.
Considerato che:
1. Col primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione di legge, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. ed in particolare dell’art. 32 del d.P.R 29/09/1973 n. 600 e dell’art. 51 della legge 30/12/2004 n. 311, per non avere la Commissione tributaria regionale considerato che l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale è una mera facoltà dell’amministrazione e non un obbligo.
2. Col secondo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 32 e dell’art. 39, primo comma, lett. d) d.P.R. cit. e dell’art. 2697 cod. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto l’insufficienza della presunzione legale per attribuire alle movimentazioni bancarie la natura di compensi non dichiarati nonché il difetto di riscontri oggettivi tramite i quali per fornire la prova tra la società ed il soggetto terzo intestatario del conto e dell’operazione bancaria.
3. Con il terzo e quarto motivo – così rubricati: «violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 2 e 39 comma 1 lett. d) del DPR 600/73 e dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3, c.p.c. (ulteriore profilo) nonché insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio i relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. »- assume l’errore dei secondi giudici per non aver considerato che è onere del contribuente è provare, in maniera rigorosa e per ogni operazione di conto corrente, che le giustificazioni da lui addotte siano riconducibili, sicuramente ed univocamente, proprio a ciascuna movimentazione contestata nell’avviso di accertamento, nonché il vizio di motivazione per non aver spiegato il collegamento tra la documentazione prodotta e ogni singola operazione bancaria.
4. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono complessivamente fondati nei termini qui di seguito esposti.Essi vanno accolti previo assorbimento dei motivi quarto e terzo.
5. La sentenza impugnata si fonda su due rationes decidendi; i secondi giudici, infatti, hanno dapprima rilevato il difetto del preventivo contraddittorio e la conseguente «palese violazione del diritto di difesa» e, poi, hanno deciso nel merito ritenendo insufficiente la prova presuntiva offerta dall’Agenzia delle entrate. In particolare, dopo aver richiamato i principi di diritto enunciati da questa Corte con la sentenza n. 17423 del 2003, hanno concluso affermando che: «non appare possibile ritenere per provato un maggior reddito mediante un laconico rinvio ad una presunzione legale nel momento in cui venga fornita, da parte del contribuente, la documentazione idonea a neutralizzare la presunzione medesima, sia per quanto attiene presunti compensi di amministratori sia per quanto riguarda le presunte operazioni considerate in nero». Nel ribadire che l’Ufficio non aveva fornito alcuna prova del collegamento tra la società ed il soggetto terzo intestatario del conto delle operazioni bancarie, hanno affermato che, per contro, come «ampiamente e documentalmente provato», l’appellato aveva «puntualmente giustificato tutti i movimenti transitati sui conti correnti dimostrando che le stesse operazioni bancarie recuperate a tassazione dall’ufficio non è altro che semplici giro conti, anticipazioni, ect…».
6. Orbene, la ricorrente ha ragione di dolersi circa l’errore di diritto dei secondi giudici nel qualificare l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentalequale obbligo dell’Amministrazione. Ed invero, la giurisprudenza di questa Corte da tempo afferma che, in tema di accertamento di imposte sul reddito, la convocazione del contribuente in sede amministrativa, ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, costituisce per l’Ufficio una facoltà e non un obbligo e che siffatta discrezionalità non viola il diritto di difesa, potendo l’Ufficio procedere al ritiro eventuale del provvedimento, nell’esercizio del potere di autotutela, in caso di osservazioni e/o giustificazioni proposte dall’interessato (cfr., Cass. Sez. 6- 5, Ordinanza n. 5777 del 27/02/2019, Rv. 652802-01; cfr. id. Sez. 5, Sentenza n. 11624 del 15/05/2013, Rv. 626992-01).
7. Anche la seconda doglianza è fondata. Dal complesso delle argomentazioni della motivazione della sentenza impugnata è evidente che i giudici di secondo grado hanno compiuto una valutazione di generale implausibilità dell’accertamento dell’Ufficio e di generale plausibilità delle giustificazioni addotte dai contribuenti senza verificare alcuna delle operazioni bancarie oggetto di accertamento e ciò nonostante le allegazioni dell’Ufficio tendessero a ricostruire, come ingiustificate, tutte le operazioni bancarie oggetto dell’accertamento fiscale ed in particolare, le movimentazioni dei conti correnti “terzi”, ovvero intestati al F. N. e quelli cointestati allo stesso ed al C. M. attesa la loro qualità di soci della società.
8. La percezione immediata che si ha dalla lettura della sentenza è che l’esame dei giudici di merito sui fatti controversi e decisivi per il giudizio, non soddisfa i canoni dell’analiticità della valutazione della prova e, a monte, di ciascuna contestazione dell’Amministrazione nel confronto con le allegazioni giustificative addotte dal contribuente; la Commissione tributaria regionale ha esaminato le movimentazioni secondo una ripartizione dell’onere probatorio approssimativo ed erroneo e senza analizzare il quadro complessivo dei fatti oggetto di giudizio.
9. Ed invero, quanto alla valutazione delle prove, questa Corte, con sequenza giurisprudenziale univoca ha da tempo chiarito che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili» (cfr.Sez. 5, Sentenza n. 18081 del 04/08/2010, Rv. 615112-01;Sez. 5, Sentenza n. 15857 del 29/07/2016, Rv. 640618-01; Sez. 5, Ordinanza n. 24422 del 05/10/2018, Rv. 650526-02).
10. Sulla necessità di una valutazione analitica delle movimentazioni bancarie da parte del giudice di merito, questa Corte si è più volte espressa ritenendo, quanto all’onere della prova, che se debbano essere indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi, è pur vero che, a fronte dell’analiticità nella deduzione del mezzo di prova o comunque delle allegazioni difensive da parte del contribuente debba corrispondere speculare analiticità da parte del giudice nell’esaminare quanto dedotto e documentato (cfr. Cass., Sez.5, Ordinanza n. 30786 del 2871172018, Rv. 651566-01; con riferimento all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973,cfr. Sez. 5, Sentenza n. 15217 del 12/09/2012; Sez. 5, Sentenza n. 1418 del 22/01/2013;Sez. 5, Ordinanza n. 6595 del 15/03/2013; Sez. 5, Sentenza n. 21303 del 18/09/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 20668 del 01/10/2014).
11. Alla luce dei suddetti principi non v’è dubbio che la Commissione regionale non solo abbia fatto mal governo delle norme in materia ma anche abbia mancato di motivare sulle operazioni bancarie oggetto di accertamento e di cui alle reciproche contestazioni delle parti.
12. In conclusione, accolti i primi due motivi ed assorbiti i restanti, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione, che statuirà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso per quanto in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria Regionale della Puglia in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
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