CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 9621 depositata l’ 11 aprile 2023

Lavoro – Licenziamento collettivo – Violazione dei criteri di scelta – Mancata comparazione del lavoratore con personale di profilo professionale fungibile – Trasferimento d’azienda in caso di accertamento dello stato di crisi aziendale – Definitiva cessazione dell’attività d’impresa – Ripartizione dell’ambito cognitorio tra il giudice del lavoro e il giudice fallimentare – Rigetto

Rilevato che

1. con sentenza 29 gennaio 2021, la Corte d’appello di Roma, ha rigettato, nei giudizi di impugnazione riuniti, i reclami principale di (…) (…) s.p.a. e incidentale di (…) – (…) (…) s.p.a. in amministrazione straordinaria avverso la sentenza di primo grado, che aveva: a) annullato il licenziamento intimato a R.S. da (…) (…) s.p.a., con comunicazione del 31 ottobre 2014 in esito a procedura di licenziamento collettivo avviata il 3 ottobre 2014; b) condannato la società a reintegrarlo nel posto di lavoro, con effetti della pronuncia anche nei confronti di (…) s.p.a. in a.s., quale cessionaria dell’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c.; c) condannato (…) s.p.a. a corrispondergli un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, oltre accessori di legge e accertato il medesimo obbligo nei confronti di (…) s.p.a. in a.s., nella detta qualità;

2. la Corte capitolina ha ritenuto illegittimo il licenziamento per violazione dei criteri di scelta (sulla base della lettera A, punto 8 del verbale del 12 luglio 2018, richiamato dall’accordo sindacale del 24 ottobre 2014), sotto il profilo della loro erronea applicazione, per la mancata comparazione del lavoratore (inquadrato nel livello 3 CCNL con mansioni di coordinatore fino al giugno 2012 e successivamente di addetto alla messaggistica fino al licenziamento) con personale di profilo professionale fungibile;

3. in considerazione della natura sostanziale della violazione, essa ha ritenuto applicabile la tutela reintegratoria, ai sensi del combinato disposto della l. n. 223 del 1991, artt. 5 comma 3 e della l. n. 300 del 1970, 18, comma 4, nel testo novellato applicabile ratione temporis: non già nei confronti di (…) s.p.a., per impossibilità del suo reimpiego a causa della sopravvenuta definitiva cessazione dell’attività di impresa; bensì di (…) s.p.a. in a.s., in applicazione della l. n. 428 del 1990, art. 47 comma 4bis, per la natura non liquidativa della procedura concorsuale, attesa la continuità dell’attività d’impresa esercitata quale cessionaria da (…) s.p.a. del ramo d’azienda operativo (relativo al trasporto aereo). E nei suoi confronti ha ritenuto, infine, contrariamente al Tribunale, ben procedibile la domanda del lavoratore, non essendo preclusa dall’instaurazione della procedura concorsuale la cognizione del giudice del lavoro, sull’ormai acquisita ripartizione dell’ambito cognitorio tra questo e il giudice fallimentare, a seconda del tipo di domanda proposto dal lavoratore (se direttamente riguardante la posizione lavorativa e, come nel caso di specie, il suo ripristino; ovvero meramente strumentale alla partecipazione al concorso dei creditori);

5. con atto notificato il 29 marzo 2021, (…) s.p.a. in a.s.. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso;

6. con atto notificato in pari data (ma depositato successivamente) anche (…) s.p.a. ha proposto ricorso con due motivi, cui ha parimenti resistito il lavoratore con controricorso. Tale ricorso, iscritto allo stesso n. R.G., in quanto posteriore, ha evidente natura di ricorso incidentale.

7. nelle more del giudizio, (…) s.p.a. ha notificato il 23 dicembre 2022 la rinuncia al ricorso e il lavoratore non l’ha accettata, insistendo per la condanna alle spese;

8. (…) s.p.a. in a.s. ha comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c..

Considerato che

1. la rinuncia della ricorrente incidentale, non accettata dal controricorrente, che ha insistito per la sua condanna alle spese, comporta il sopravvenuto difetto d’interesse della società al ricorso, che pertanto deve essere dichiarato inammissibile, con la sua coerente condanna alle spese del giudizio, da distrarre in favore del difensore del lavoratore, secondo la sua richiesta.

Non si applica invece il meccanismo sanzionatorio del raddoppio del contributo unificato di cui al d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla l. n. 228 del 2012, art. 1 diciassettesimo comma, poiché la declaratoria di inammissibilità sopravvenuta del ricorso per cessazione della materia del contendere determina la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata, rendendo irrilevante la successiva valutazione della virtuale fondatezza, o meno, del ricorso in quanto avente esclusivo rilievo in merito alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità (Cass. 10 febbraio 2017, n. 3542; Cass. 20 luglio 2021, n. 20697);

2. la ricorrente principale ha dedotto violazione e falsa applicazione della l. n. 428 del 1990, art. 47 comma 4bis, nonché degli accordi collettivi intervenuti nell’ambito di una situazione di crisi aziendale in deroga all’art. 2112 c.c., sull’erroneo assunto, diffusamente criticato, di operatività dell’art. 2012 anziché di mantenimento dell’occupazione anche parziale, pure nel caso di trasferimento d’azienda in caso di accertamento dello stato di crisi aziendale, come appunto nel caso di specie con i decreti del Ministero del Lavoro del’8 settembre 2014 (primo motivo);

3. esso è infondato;

4. la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto stabilito da questa Corte, secondo cui: “In caso di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi della l. n. 675 del 1977, art. 2 comma 5, lett. c), ovvero per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività, ai sensi del d.lgs. n. 270 del 1999, l’accordo sindacale di cui alla l. n. 428 del 1990, art. 47 comma 4bis, inserito dal d.l. 135 del 2009, conv. in l. n. 166/2009, può prevedere deroghe all’art. 2112 c.c. concernenti le condizioni di lavoro; fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario, in quanto la locuzione – contenuta del predetto comma 4bis – “Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’art. 2112 c.c. trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo“, va letta in conformità al diritto dell’Unione Europea ed alla interpretazione che dello stesso ha fornito la  Corte di giustizia, 11 giugno 2009, in causa C-561/07 (all’esito della procedura di infrazione avviata nei confronti della Repubblica italiana per violazione della direttiva 2001/23/CE), nel senso che gli accordi sindacali, nell’ambito di procedure di insolvenza aperte nei confronti del cedente sebbene non “in vista della liquidazione dei beni”, non possono disporre dell’occupazione preesistente al trasferimento di impresa” (Cass. 1 giugno 2020, n. 10414 e succ.; da ultimo: Cass. 10 novembre 2021, n. 33154);

4.1. qualora invece una procedura di amministrazione straordinaria non realizzi il recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali tramite, come nel caso di specie, la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa, sulla base di un programma di risanamento (art. 27, comma 2, lett. b) D.Lgs. cit.) per cui continui l’attività d’impresa, ma tramite la cessione dei complessi aziendali (d.lgs. n. 270 del 1999, art. 27 comma 2, lett. a)), ad essa, per effetto della cessazione dell’attività di impresa, si applica, ai fini dell’operatività degli effetti previsti dalla l. n. 428 del 1990, art. 47 comma 5 (che prevede l’esclusione dei lavoratori eccedentari dal passaggio al cessionario), la disciplina propria di una procedura liquidativa quale il fallimento, per cui non occorre il requisito di cessazione dell’attività, in quanto suo costitutivo (Cass. 14 settembre 2021, n. 24691);

5. la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione della l. fall. Artt. 24, 52 in combinato disposto con gli artt. 409, 433 c.p.c., per improcedibilità della domanda di condanna risarcitoria del lavoratore, per effetto dell’ammissione della società cessionaria alla procedura concorsuale di amministrazione straordinaria (secondo motivo);

6. esso è infondato;

7. nel riparto di competenza tra il giudice del lavoro e quello fallimentare il discrimine va individuato nelle rispettive speciali prerogative, spettando alla cognizione: a) del primo, quale giudice del rapporto, le controversie riguardanti lo status del lavoratore, in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, volte ad ottenere pronunce di mero accertamento oppure costitutive, come quelle di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro; b) del giudice del fallimento, al fine di garantire la parità tra i creditori, le controversie relative all’accertamento ed alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro in funzione della partecipazione al concorso e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, ovvero destinate comunque ad incidere nella procedura concorsuale (Cass. 30 marzo 2018, n. 7990; Cass. 28 ottobre 2021, n. 30512);

7.1. nel caso di specie, si verifica l’ipotesi sub a), per la disposta reintegrazione del lavoratore, inapplicabile a (…) s.p.a., per la definitiva cessazione dell’attività d’impresa, proprio nei confronti della ricorrente, quale cessionaria del ramo d’azienda operativo, in continuità dell’attività d’impresa; accedendo ad essa la condanna risarcitoria;

8. dalle superiori argomentazioni discende l’inammissibilità del ricorso incidentale, per sopravvenuto difetto d’interesse della società ad esso e il rigetto del ricorso principale; in entrambi i casi, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e la distrazione delle spese del giudizio, in favore del difensore del controricorrente, secondo la sua richiesta e con raddoppio del contributo unificato per la sola ricorrente principale, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s. u., 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e condanna (…) s.p.a. in a.s alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario;

dichiara inammissibile il ricorso incidentale e condanna (…) s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.

Ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.