CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 agosto 2019, n. 20736
Tributi – Imposte di registro, ipotecaria e catastale – Sentenza di scioglimento della comunione mediante assegnazione dell’immobile a un condividente e versamento agli altri di somme pari al valore delle quote – Applicazione aliquota di divisione – Riconoscimento benefici “prima casa”
Fatti di causa
M.G. impugnava, innanzi alla CTP di Roma, l’avviso di liquidazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, con irrogazione di sanzioni, emesso dall’Agenzia delle Entrate a seguito della registrazione, con imposta proporzionale, della sentenza n. 328/2004 del Tribunale Civile di Velletri, che, definendo il giudizio divisorio nel quale il contribuente era parte in causa, aveva disposto l’assegnazione dell’immobile sito in Roma, Via L., a favore di esso condividente, “previa corresponsione del corrispettivo di euro 137.609,34”, ed il conseguente scioglimento della comunione.
L’adita CTP di Roma respingeva il ricorso disattendendo le ragioni esposte dal contribuente, il quale sosteneva – tra l’altro – che il provvedimento giudiziario andava registrato a tassa fissa e non proporzionale, che le aliquote applicate dall’Ufficio erano errate, che spettavano i benefici “prima casa”, e la decisione, appellata dalla parte privata, veniva confermata, con sentenza n. 129/1/13, depositata il 27/2/2013, dalla CTR del Lazio, essendo l’avviso sufficientemente motivato, l’imposta dovuta in misura proporzionale, e non spettando le agevolazioni “prima casa”.
Per la cassazione della predetta sentenza il contribuente propone cinque motivi di ricorso, mentre l’Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva, riservandosi, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, di partecipare alla udienza di discussione. Il ricorrente ha altresì depositato memorie con allegata documentazione.
Motivi della decisione
Il ricorrente deduce, con il primo mezzo d’impugnazione, contraddittorietà della motivazione sulla ritenuta ammissibilità dell’appello, e violazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 53 D.Lgs. n. 146 del 1992, giacché la CTR, dopo aver superato la eccezione concernente la genericità dei motivi di gravame, per mancanza di “esposizione specifica delle ragioni del dissenso rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata”, si è limitata a rilevare che “l’impugnata liquidazione è stata effettuata applicando i criteri e le aliquote previste dal DPR 131/86 per l’imposta principale”, senza considerare che l’appellante aveva riproposto, nel giudizio di secondo grado, “tutte quelle questioni di diritto su cui non si è pronunciato il primo Giudice”, ivi compresa quella concernente il mancato riconoscimento dei benefici per l’acquisto della “prima casa”, con il secondo mezzo d’impugnazione, omessa pronuncia sulla natura dichiarativa della sentenza n. 328/2004 del Tribunale Civile di Velletri, provvedimento giurisdizionale non provvisoriamente esecutivo e non ancora definitivo, e sulla conseguente illegittimità della pretesa impositiva, giacché la CTR avrebbe dovuto considerare che, in forza della sentenza de qua non è intervenuto, in favore del G., alcun trasferimento della proprietà del 50% dell’immobile di Via L., per cui l’Agenzia delle Entrate nulla può pretendere sino a quando la decisione non sia divenuta definitiva, con il terzo mezzo d’impugnazione, contraddittorietà della motivazione sul riconoscimento dei benefici per l’acquisto della “prima casa”, e violazione dell’art. 1, tariffa, parte prima, nota II bis, D.P.R. n. 131 del 1986, giacché la CTR non ha considerato che la illegittimità dell’avviso di liquidazione oggetto di opposizione deriva dal fatto che “l’unica tassazione che dovrebbe essere posta in essere a carico del sig. G. all’atto del trasferimento della quota assegnatagli è quella calcolata sul conguaglio dovuto all’Istituto B. come trasferimento e, dunque, con applicazione delle aliquote previste per l’acquisto di un immobile … da qualificare come “prima casa”, possedendo il contribuente i relativi requisiti di legge, e che non essendo ancora intervenuto l’effetto traslativo, il contribuente ben poteva rendere la prescritta dichiarazione per beneficiare della agevolazione anche dopo la registrazione dell’ineseguito provvedimento giudiziario, con il quarto mezzo d’impugnazione, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla solidarietà dell’obbligo di pagamento delle imposte, giacché la CTR non ha considerato che, in ogni caso, l’ammontare delle liquidate imposte di registro, ipotecaria e catastale, andrebbe ridotto a complessivi Euro 4,128,28, per effetto dell’applicazione dell’aliquota agevolata, con il quinto mezzo d’impugnazione, contraddittorietà della motivazione sulla carenza di motivazione dell’avviso di liquidazione e violazione dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000 (Statuto del Contribuente), giacché la CTR si è limitata a rilevare che l’obbligo motivazionale mira a circoscrivere l’ambito delle ragioni dell’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, ed a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa, senza però entrare nel merito della doglianza dell’appellante circa l’impossibilità di comprendere come fosse stata individuata “la parte eccedente rispetto alla massa comune”, e come fossero stati dall’Ufficio “quantificati e tassati il conguaglio come trasferimento e la residua parte (massa meno conguaglio), con aliquote di percentuali diverse”.
Le suesposte censure, ad eccezione della terza, vanno disattese perché sono, in parte, inammissibili e, in parte, infondate.
Occorre, anzitutto, ricordare che la sentenza impugnata è stata pubblicata successivamente alla data 11/9/2012 e che, come questa Corte anche di recente ha ribadito, “in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dall’art. 54, D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.” (ex multis, Cass. n. 23940/2017).
E’, pertanto, inammissibile l’impugnazione nella parte in cui non si contesta la inesistenza del requisito motivazionale della sentenza, ma piuttosto la mera insufficienza o incompletezza o contraddittorietà logica dell’impianto argomentativo della decisione, essendo estranea al “riformato” vizio di legittimità di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, qualsiasi contestazione volta semplicemente a criticare il convincimento che il giudice si è formato in esito all’esame del materiale probatorio, o che solo apparentemente veicola un vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
La decisione del Giudice di appello si fonda sulle seguenti affermazioni: “la pretesa impositiva verteva tra l’Istituto Opera Pia G.E.F. B. (attore) e i sig.ri G.M.(e), I.M. e D.S. (convenuti) e T.A. (interveniente)”; con la sentenza del Tribunale Civile di Velletri “veniva sciolta la comunione esistente tra le parti e … disposta l’assegnazione al sig. G., in piena proprietà(,) dell’immobile di Roma, Via L., previa corresponsione di euro 137.609,34”; “la tassazione era in linea con la normativa di riferimento”, cioè con gli artt. 3 e 8 lett. c) della tariffa, parte I, allegata al DPR n. 131 del 1986, trattandosi di operazioni divisionali “soggette al pagamento dell’imposta di Registro con aliquota del 1%, assumendosi a base imponibile il valore dichiarato dalle parti e assunto dal giudice come base per il riparto delle quote”; tutti i soggetti nel cui interesse viene richiesta la registrazione, ai sensi dell’art. 57, comma 1, D.P.R. n. 131 del 1986, sono solidalmente obbligati al pagamento della imposta; la ricorrenza dei requisiti per fruire dei benefici cosiddetti “prima casa” non risultava nella sentenza, e neppure da una dichiarazione del contribuente presentata all’Amministrazione finanziaria prima della registrazione dell’atto; la motivazione dell’avviso di liquidazione impugnato era sufficiente e, comunque, l’eventuale vizio risulta sanato, in applicazione dell’art. 156 c.p.c., per raggiungimento dello scopo.
Il ricorrente assume che la CTR non ha tenuto conto della natura dichiarativa della pronunzia del Tribunale, nonché della mancanza di esecutività della stessa, e della conseguente inidoneità del provvedimento giurisdizionale, non ancora definitivo, a determinare il trasferimento della proprietà della porzione immobiliare oggetto del giudizio divisorio.
Ebbene, dalla semplice lettura della motivazione della sentenza impugnata si ricava il contrario, atteso che il riferimento normativo all’artt. 3 e 8 lett. c) della tariffa, parte I, allegata al DPR n. 131 del 1986, in essa contenuto evidenzia come la pattuizione di un conguaglio in denaro a carico del G., assegnatario in natura, per la quota del 50%, dell’immobile di Via L., sia stata ritenuta elemento insufficiente a qualificare di natura traslativa il provvedimento di scioglimento della comunione.
Questa Corte ha avuto occasione di affermare, in tema d’imposta di registro, che “in caso di scioglimento della comunione mediante assegnazione del bene in natura a un condividente e versamento agli altri di somme pari al valore delle quote, si applica l’aliquota di divisione e non quella di vendita, giacché quest’ultima, a norma dell’art. 34, D.P.R. 131 del 1986, si applica solo nel caso in cui a un condividente siano stati attribuiti beni per un valore eccedente quello spettante e limitatamente alla parte in eccedenza” (Cass. n. 17866/2010; n. 20119/2012).
Né, d’altro canto, il pagamento delle imposte richieste al contribuente può ritenersi non dovuto in ragione della non definitività della sentenza tassata, in quanto il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37, e l’art. 8 della tariffa, prima parte, allegata al D.P.R. citato, assoggettano alla imposta proporzionale gli atti dell’autorità giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti di aggiudicazione e quelli di assegnazione, anche in sede di scioglimento di comunione, le sentenze che rendono efficaci nello Stato sentenze straniere e i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali, sia che rechino trasferimenti o costituzione di diritti reali sui beni immobili o su unità di porto ovvero su altri beni e diritti, sia che rechino condanne al pagamento di somme o valori, sia che accertino diritti a contenuto patrimoniale.
L’art. 37 sopra richiamato specifica inoltre che gli atti dell’autorità giudiziaria predetti sono soggetti alla imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato, per cui è sufficiente la natura degli atti elencati, in relazione agli effetti giuridici prodotti, a costituire la ragione della tassazione proporzionale (Cass. n. 17607/2010; n. 20119/2012 citata).
Il ricorrente lamenta che il Giudice di secondo grado ha erroneamente ritenuto i condividenti tenuti in via solidale al pagamento delle imposte, ma la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dell’art. 57, comma 1, D.P.R. n. 131 del 1986, che fissa la regola per cui “Oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta le parti contraenti, le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere le denunce di cui agli articoli 12 e 19 e coloro che hanno richiesto i provvedimenti di cui agli articoli 633, 796, 800 e 825 del codice di procedura civile.”, e sulla affermazione che il G. “è certamente “parte in causa” e, quindi, solidalmente tenuto al pagamento delle imposte”, il motivo di ricorso tace.
Lamenta inoltre che il Giudice di secondo grado ha erroneamente ritenuto “sufficiente” la motivazione dell’avviso di liquidazione, ma il relativo motivo di ricorso per cassazione non solo non riproduce, nei suoi elementi essenziali, il provvedimento impositivo opposto, in modo da consentire il sollecitato controllo della Corte fornendo, in ossequio all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, una completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizione in esso assunte dalle parti, ma neppure si confronta – per confutarlo – con il consolidato principio giurisprudenziale di legittimità, puntualmente richiamato nella sentenza impugnata, in forza del quale l’esistenza ed adeguatezza della motivazione di un atto va condotta secondo la disciplina specificamente dettata in vista del contenuto di quell’atto, ed in rapporto alle relative caratteristiche e peculiarità, e che, in particolare, “la motivazione dell’avviso di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio finanziario nell’eventuale contenzioso, permettendo al contribuente l’esercizio della difesa” (Cass. n. 14027/2012; n. 25153/2013), di tal che l’enunciazione dei criteri (astratti), in base ai quali è stata determinata la base imponibile, pone il contribuente nella condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, condizione questa che la proposizione del ricorso introduttivo ha dimostrato essersi in concreto verificata in quanto, quale la base imponibile, è stato assunto “il valore dichiarato dalle parti o assunto dal giudice come base per il riparto delle quote”.
Come già detto, solo nel caso in cui la quota realmente assegnata ad uno o più dei condividenti risulti di valore superiore, rispetto alla quota di diritto ai medesimi spettante, la differenza sconta l’imposta di trasferimento, in quanto il condividente che riceve nella sua quota una porzione di beni eccedente quella che gli sarebbe spettata in base al suo titolo, di comproprietà, e ne esborsa perciò l’equivalente, è considerato come se acquistasse la porzione eccedente dagli altri condividenti.
Fermo restando quanto finora esposto, la risoluzione della controversia non può del tutto prescindere dal fatto sopravvenuto in corso di causa, così come rappresentato dal contribuente con le memorie difensive datate 15/12/2017 e 9/5/2019, alle quali è allegata documentazione.
Evidenzia, infatti, il ricorrente che è stato operato dalla Agenzia delle Entrate di Viterbo, in data 19/6/2017, con il dedotto provvedimento di sgravio parziale delle somme iscritte a ruolo, emesso in ragione dell’intervenuto riconoscimento “in sede di mediazione” dell’applicazione dei c.d. benefici “prima casa” (profilo oggetto del terzo motivo di ricorso), un sostanziale alleggerimento del carico fiscale, consequenzialmente rideterminato, anche per interessi e sanzioni, sia pure in misura diversa da quella domandata dal contribuente nel ricorso introduttivo del giudizio.
Il provvedimento di sgravio parziale non appare del tutto satisfattivo rispetto al diritto azionato, ciò non di meno l’odierno ricorrente ritiene possa farsi discendere da esso la declaratoria di cessazione della materia del contendere, con il favore delle spese processuali dell’intero giudizio, “da distrarsi in favore del procuratore che si dichiara antistatario”.
La proposta di mediazione accettata dal contribuente, che è alla base del provvedimento di sgravio parziale, si riferisce espressamente alla “cartella di pagamento n. 097 2016 00574039 74 (2011)”, mentre la presente controversia concerne un avviso di liquidazione che non è stato annullato in autotutela dall’Ufficio.
Lo sgravio della cartella di pagamento relativa alla iscrizione a ruolo della somma recata da detto avviso di per sé non produce effetti sull’atto prodromico (Cass. n. 24064/2012), né fa venir meno dell’interesse a proseguire il giudizio, e neppure la relativa allegazione di parte neppure può essere univocamente qualificata come acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione.
Lo sgravio parziale, intervenuto successivamente alla introduzione del giudizio, non è in grado di far cessare la materia del contendere tra le parti e peraltro difetta una istanza congiunta in tal senso, essendo il fatto sopravvenuto oggetto di allegazione del solo ricorrente.
Il ricorso deve essere parzialmente accolto, avuto riguardo appunto alla terza censura, respinti i restanti motivi, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, e decisione nel merito, ex art. 384 c.p.c., di riconoscimento dell’avvenuta riduzione, per l’agevolazione prevista per l’acquisto della “prima casa”, dell’originario importo recato dell’avviso di liquidazione opposto, legittimo nei limiti di quanto disposto in autotutela dall’Amministrazione finanziaria.
Sussistono, quindi, i presupposti per la compensazione delle spese processuali di legittimità e merito, non potendosi prescindere da una complessiva valutazione dell’esito del giudizio.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, respinge i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara legittimo l’avviso di liquidazione opposto nei limiti dell’importo conseguente al provvedimento di sgravio parziale disposto dall’Amministrazione finanziaria nei confronti di M.G..
Compensa le spese dell’intero giudizio.
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