CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 agosto 2019, n. 20785
Risoluzione per mutuo consenso – Mera inerzia del lavoratore – Qualificazione del rapporto – Riammissione in servizio
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1254/2014, depositata il 31 luglio 2014, in riforma della decisione di primo grado, la Corte di appello di Palermo ha dichiarato costituito, a decorrere dal 25 giugno 2007, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra S. B. e la E. e A. S.p.A., con la condanna della società, oltre alla riammissione in servizio del ricorrente, al pagamento in favore dello stesso di una indennità pari a quattro mensilità della retribuzione globale di fatto ai sensi dell’art. 32 l. n. 183/2010.
2. La Corte ha rilevato a sostegno della propria decisione, per quanto di interesse, che non era configurabile una risoluzione per mutuo consenso sulla base della mera inerzia del lavoratore, anche se prolungata per un apprezzabile periodo di tempo, essendo a tal fine necessaria la presenza di altre circostanze univocamente sintomatiche di una chiara e comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.
3. La Corte ha poi osservato come al rapporto dedotto in giudizio non potesse applicarsi, in quanto norma posteriore, l’art. 18, co. 2 bis, d.l. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008, successivamente novellato con d.l. n. 78/2009, che aveva esteso alle società a partecipazione pubblica locale, e così anche alle società cc.dd. d’ambito per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti, quale la E. e A. S.p.A., il divieto di cui all’art. 36 del T.U. sul pubblico impiego; né, d’altra parte, potesse applicarsi l’art. 45 della l. Regione Sicilia n. 2/2007, il quale aveva disposto, al comma 2, che l’assunzione di nuovo personale, da parte delle società e delle autorità d’ambito, avvenisse “solo attraverso procedure di evidenza pubblica”, non essendo attribuibile all’autonomia legislativa della regione una forza espansiva tale da invadere una materia sottoposta alla riserva di legge ordinaria, costituita dalla tipica disciplina sanzionatoria, di contenuto privatistico, consistente nell’applicazione dell’istituto della conversione del contratto nullo, dettata dall’ordinamento civile in caso di violazione della disciplina dei contratti a termine.
4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidandosi a tre motivi, assistiti da memoria, la E. e A. S.p.A. in liquidazione.
5. Il lavoratore ha resistito con controricorso, assistito da memoria, con il quale ha proposto ricorso incidentale (condizionato), affidato ad unico motivo.
6. Risulta depositata procura speciale per l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
7. Il ricorso, già chiamato all’adunanza camerale del 29 novembre 2018, è stato rinviato a nuovo ruolo per la discussione in pubblica udienza.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo la violazione dell’art. 1372 cod. civ., la società censura la sentenza impugnata per avere la Corte escluso che il rapporto di lavoro si fosse risolto per mutuo consenso, nonostante che il lavoratore avesse agito in giudizio a distanza di oltre quattro anni dalla sua cessazione ed il rapporto fosse stato di breve durata.
2. Con il secondo viene dedotta la violazione degli artt. 1 e 36 d.lgs. n. 30 marzo 2001, n. 165, in relazione all’art. 201 del d.lgs. n. 152/2006, per avere la Corte di appello, qualificandola come soggetto privato, trascurato di considerare che la ricorrente era una “società di ambito”, costituita esclusivamente dagli enti locali per lo svolgimento di un servizio pubblico (quello di gestione e smaltimento dei rifiuti), e non per lo svolgimento di un’attività di impresa, con conseguente applicazione della disciplina del pubblico impiego.
3. Con il terzo viene dedotta la violazione dell’art. 45 della l. reg. n. 2/2007, in relazione all’art. 1418 cod. civ., per non avere la Corte considerato che, prevedendosi dalla norma indicata l’obbligo, per le società ed autorità d’ambito, di assumere nuovo personale solo attraverso procedure di evidenza pubblica, era dato configurare nella specie una nullità virtuale, in cui la sanzione invalidante del contratto discende dalla natura imperativa della disposizione, volta ad assicurare la correttezza dell’operato di soggetti che agiscono in via esclusiva mediante risorse pubbliche, con conseguente sussistenza, in caso di violazione del divieto, di rapporti di lavoro di mero fatto, non suscettibili di sanatoria, e senza che dall’intervenuta modifica dell’art. 117 Cost. potesse ritenersi derivata alla Regione Sicilia una riduzione delle competenze (come quelle in materia di legislazione sociale) elencate negli artt. 14 e 17 dello Statuto regionale.
4. Il primo motivo del ricorso (principale) della società non può trovare accoglimento.
5. La Corte di appello si è infatti uniformata al consolidato orientamento, secondo il quale “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto della illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, essendo il solo decorso del tempo o la semplice inerzia del lavoratore, successiva alla scadenza del termine, insufficienti a ritenere sussistente la risoluzione per mutuo consenso, costituente pur sempre una manifestazione negoziale, che, seppur tacita, non può essere configurata su un piano esclusivamente oggettivo, in conseguenza della mera cessazione della funzionalità di fatto del rapporto di lavoro” (Cass. n. 1780/2014; conformi, fra le molte: n. 13535/2015; n. 20704/2015).
6. E’ stato, d’altra parte, precisato che “l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., tempo per tempo vigente” (Cass. n. 29781/2017; conformi, fra le altre: n. 13660/2018; n. 13661/2018; n. 13958/2018).
7. Il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, in quanto connessi, possono essere congiuntamente esaminati.
8. Al riguardo deve anzitutto ribadirsi il principio, secondo il quale “la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché il Comune ne possegga, in tutto o in parte, le azioni: il rapporto tra società ed ente locale è di assoluta autonomia, al Comune non essendo consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società” (Sez. U n. 7799/2005; cfr. altresì, per una riaffermazione del principio, Sez. U n. 10299/2013, in tema di giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie relative alla responsabilità per mala gestio imputabile ad amministratori di società a partecipazione pubblica, nonché Sez. U n. 1237/2015, in tema di revoca dell’amministratore di società per azioni partecipata da ente locale).
9. Né potrebbe rilevare, al fine di escludere la natura privatistica della società c.d. “di ambito”, il fatto che ad essa sia affidato lo svolgimento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, ben potendo servizi di pubblica utilità essere esercitati anche da privati.
10. Su tali premesse è già stato ritenuto da questa Corte che “in tema di società a partecipazione pubblica, il reclutamento di personale effettuato nel periodo antecedente all’entrata in vigore dell’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, conv. con mod. in l. n. 133 del 2008 – che ha esteso alle predette società, nella ricorrenza di determinate condizioni, i divieti o le limitazioni alle assunzioni previsti per le P.A. di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 – è regolato dal regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato (Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile, avuto riguardo alla natura privatistica della società datrice di lavoro, la conversione di un rapporto a termine illegittimo, stipulato prima della novella legislativa, in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato): Cass. n. 13480/2018.
11. Risulta inoltre corretta la lettura “in senso costituzionale” dell’art. 45 l. reg. n. 2/2007 operata dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, sul rilievo della impossibilità di attribuire all’autonomia legislativa della Regione Sicilia una vis espansiva tale da invadere una materia sottoposta alla riserva di legge ordinaria: e ciò perché l’art. 17 dello Statuto, mentre riconosce il potere dell’Assemblea regionale di emanare leggi in materia (anche) di “legislazione sociale: rapporti di lavoro, previdenza ed assistenza sociale” (lett. f), prevede che tale potere sia comunque esercitato “entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato”, diversamente dovendo concludersi che la violazione delle norme dettate dal legislatore nazionale in materia di contratti a tempo determinato avrebbe – come esattamente osservato – conseguenze diverse a seconda della regione in cui ha sede il soggetto che se ne sia reso responsabile.
12. Ad analoghi esiti è pervenuta la giurisprudenza di questa Corte, in una fattispecie di collocamento obbligatorio di disabili e di rifiuto di assunzione da parte datoriale, là dove ha ritenuto che il rapporto fra disciplina regionale e disciplina nazionale deve essere risolto, in ragione dei limiti alla potestà legislativa stabiliti dall’art. 17 dello Statuto di autonomia, “alla luce del principio di cedevolezza delle disposizioni regionali che non siano compatibili con i principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato contenuti nella legislazione statale sopravvenuta, che costituiscono punto di riferimento anche per l’interpretazione costituzionalmente orientata della legislazione regionale, con la conseguenza che la suddetta incompatibilità si risolve nella prevalenza della legislazione statale nelle more di adeguamento di quella della Regione su cui si sia basato il menzionato rifiuto di assunzione” (Cass. n. 4895/2012).
13. In conclusione, attesa l’infondatezza di tutti i motivi in cui esso si articola, il ricorso principale deve essere respinto.
14. Resta di conseguenza assorbito il ricorso incidentale del B., proposto con unico motivo ex art. 360 n. 3 (con riferimento alla violazione o falsa applicazione dell’art. 18 l. n. 300/1970 in relazione alla Direttiva 1999/70/UE e alla ritenuta impossibilità di applicare gli istituti risarcitori dettati dalla disciplina sui licenziamenti individuali): ricorso avente natura condizionata, in quanto espressamente subordinato all’eventualità di un accoglimento di quello principale.
15. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
16. Non ricorrono i presupposti per la liquidazione delle stesse nei confronti dell’I.N.P.S., il quale, pur avendo depositato procura, non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Respinge il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.