CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 agosto 2019, n. 20789
Contratto di lavoro a termine – Nullità – Instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza pubblicata il 29 aprile 2016, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra la S. Spa e A. P. con instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 7 giugno 2004 e condanna della società al pagamento di un importo pari a 3 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori; la Corte di Appello ha anche compensato le spese della fase di impugnazione.
2. In entrambi i gradi di merito i giudici hanno ritenuto che nella specie la clausola che aveva apposto il termine al contratto fosse priva di una sufficiente specificazione delle ragioni di cui al primo comma dell’art. 1 del d. Igs. n. 368 del 2001.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso S. Spa con 3 motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c., cui ha resistito il P. con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato ad un motivo.
Con ordinanza interlocutoria del 7 marzo 2018 il Collegio della Sesta sezione civile di questa Corte ha rimesso la causa all’udienza pubblica.
In prossimità della stessa entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale la società denuncia “nullità della sentenza” sostenendo che “sarebbe caratterizzata da una motivazione non autentica e quindi autonoma da parte del Collegio, ma rappresentante la copia e la integrale acritica riproposizione di una diversa sentenza emessa dalla medesima Corte di Appello di Roma in altre cause analoghe”; si sottolinea che “tanto sono sovrapponibili le sentenze fra loro che in quella qui impugnata i giudici si sono reiteratamente riferiti alla ‘appellatà o alla ‘lavoratricè, senza di contro esplicitare mai alcun elemento specificamente riferibile ai contratti od alla posizione lavorativa dell’ing. A. P.”.
Con il secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 156 .p.c. e 118 disp. att. c.p.c.” assumendo che la sentenza impugnata si baserebbe “sulla pura e semplice trasposizione di motivazioni assunte in casi presuntivamente analoghi, senza nemmeno alcun adeguamento del testo”, per cui sarebbe “inidonea sia a rendere conto delle specifiche questioni sulle quali si sia formato il convincimento dell’organo giudicante, sia ad esplicitare l’effettiva considerazione e valutazione giuridica dei particolari profili sollevati nell’atto di appello”.
2. I motivi, congiuntamente esaminabili per reciproca connessione, non sono meritevoli di accoglimento.
Invero, secondo le Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 642 del 2015), la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di altro provvedimento giudiziario, così come di un atto di parte, senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato (successive conf. Cass. n. 9334 del 2015; Cass. n. 22562 del 2016).
Orbene reputa il Collegio che dalla sentenza impugnata non emergano elementi tali da far ritenere che le ragioni della decisione ivi espresse con adeguata chiarezza non siano attribuibili all’organo giudicante, non essendo all’uopo certo sufficiente che in essa siano contenuti errori di carattere materiale circa l’identificazione delle parti, fermo restando che sia nello “svolgimento del processo”, sia nei “motivi della decisione” la pronuncia reca indicazioni inequivoche al P., al contratto impugnato, alla durata di esso ed alla causale ivi contenuta.
3. Con il terzo motivo di ricorso la società ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 1 d. Igs. n. 368/2001” nonché “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Si lamenta che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che, per legge, l’indicazione delle ragioni giustificanti il termine può avvenire per relationem ad atti esterni quali erano la Convenzione e l’Atto Aggiuntivo stipulati dalla società con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio menzionati nel contratto de quo, atti sicuramente conoscibili ex ante ed assoggettati al vaglio della Corte dei Conti.
Si deduce che la corrispondenza temporale fra la sottoscrizione dell’Atto Aggiuntivo e quella del contratto di lavoro impugnato darebbe ragione del nesso causale tra la stipula di esso e la ragione appositiva del termine.
Si sostiene che la circostanza che l’affidamento delle nuove attività perfezionatosi mediante l’Atto Aggiuntivo avesse una cessazione predeterminata evidenziasse come fosse temporanea l’esigenza che aveva costituito la ragione dell’apposizione del termine.
4. Il motivo non può trovare accoglimento.
Innanzitutto esso presenta profili di inammissibilità derivanti dalla formulazione promiscua di censure che denunciano il vizio di violazione di legge, che presuppone un fatto incontestato così come accertato dal giudice del merito, unitamente e contraddittoriamente all’omesso esame di un fatto decisivo, senza che, nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione, risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (cfr. Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013, Cass. n. 7394 del 2010, Cass. n. 20355 del 2008, Cass. n. 9470 del 2008, le quali ritengono che tale modalità di formulazione risulti non rispettosa del canone della specificità del motivo di impugnazione).
Quanto poi alla violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., contrariamente a come prospettato nella specie, il vizio va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012). Inoltre radicalmente preclusa nella specie l’invocazione della violazione del n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., atteso che questa disposizione, per i giudizi di appello instaurati dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 8, non può essere denunciata, rispetto ad un appello promosso nel caso il 3.5.2013 dopo la data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014).
Infine, circa il merito della doglianza, costituisce ius receptum che l’apposizione di un termine ai contratti di lavoro, consentita dall’art. 1 del d. lgs. 6 settembre 2001, n. 368 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, deve risultare specificata, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto ed impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa (per tutte v. Cass. n. 2279 del 2010).
Vero è che tale specificazione può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso, per retationem, in altri testi scritti accessibili alle parti, sempre che, pur in presenza di una generica enunciazione di motivi attinenti ad esigenze aziendali, a tali testi scritti sia fatto riferimento “per precisarne in concreto la portata”, ossia al precipuo scopo di indicare quelle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, legittimanti l’assunzione a termine, negli^stessi contemplate. E’ stato dunque precisato da questa Corte che l’esigenza di specifica indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo imposta dall’art. 1 d. Igs. n. 368 del 2001 riguarda anche il caso in cui tali ragioni siano espresse indirettamente, ossia per relationem ad altri testi scritti, il cui richiamo deve quindi essere chiaramente e specificamente effettuato al fine di individuare, in termini di trasparenza, immodificabilità e verificabilità, la sussistenza di tali ragioni. “Ne discende che risulta giuridicamente errato ritenere che un qualsivoglia richiamo contenuto nel testo contrattuale ad altri testi scritti (conoscibili, o anche conosciuti, dalle parti) sia di per sé sufficiente ad assolvere il requisito di specificità delle ragioni giustificative dell’apposizione del termine, essendo invece indispensabile che tale richiamo sia attuato al precipuo e inequivoco scopo di individuare tali ragioni” (in termini “Cass. n. 17115 del 2015).
Resta fermo che “costituisce indagine riservata al giudice di merito interpretare il contratto individuale per accertare lo scopo per il quale il richiamo ai testi esterni è stato attuato” (Cass. n. 17115/2015 cit.), così come, più in generale, spetta al giudice di merito la verifica della specificità, valutando ogni elemento ritualmente acquisito al processo, con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità (Cass. n. 77 del 2019; Cass. n. 4906 del 2017; Cass. n. 10019, 10020 e 29969 del 2017; Cass. n. 10033 del 2010), per cui nella specie la sentenza impugnata, che si è attenuta ai principi di diritto innanzi espressi e che non palesa nell’apprezzamento del grado di specificità della causale un argomentare implausibile, resiste ai rilievi che le sono mossi.
5. Con l’unico motivo di ricorso incidentale il P. denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.” per avere compensato le spese dell’appello nel dispositivo, mentre nella motivazione è affermato che “le spese di lite del presente grado (di) giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza”.
Il motivo è fondato.
Non di prevalenza del dispositivo sulla motivazione si tratta, bensì di radicale ed insanabile contraddittorietà tra la motivazione ed il comando contenuto nel dispositivo, che dà luogo alla nullità della sentenza in quanto esso incide sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale (cfr. Cass. n. 10637 del 2007).
Invero sussiste un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, ai sensi degli artt. 156 e 360 n. 4 c.p.c., nel caso in cui il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale, non essendo possibile ricostruire la statuizione del giudice attraverso il confronto tra motivazione e dispositivo, mercé valutazioni di prevalenza di una delle affermazioni contenute nella prima su altre di segno opposto presenti nel secondo (Cass. n. 14966 del 2007).
6. Conclusivamente il ricorso principale deve essere respinto mentre deve essere accolto quello incidentale con cassazione della sentenza impugnata limitatamente alla statuizione delle spese, che vanno determinate con decisione di merito di questa Corte così come da dispositivo, secondo soccombenza, sia avuto riguardo al giudizio di secondo grado che a quello di legittimità.
Occorre altresì dare atto della sussistenza, per la sola ricorrente principale, dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e, decidendo nel merito, condanna la società al pagamento delle spese del giudizi©di appello liquidate in euro 3.307,00, oltre al 15% a titolo di spese forfettarie; condanna altresì la società al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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