CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 agosto 2022, n. 23879
Lavoro – Procedura di mobilità volontaria -Requisiti di ammissione – Qualifica funzionale diversa da quella del posto da coprire – Esclusione
Svolgimento del processo
D.C. ha convenuto l’INPS, con ricorso depositato il 16 maggio 2012, davanti al Tribunale di Lecce.
Premesso di avere già ottenuto un provvedimento favorevole ex art. 700 c.p.c., del quale chiedeva la conferma, la ricorrente ha chiesto che fosse dichiarato il proprio diritto a partecipare alla procedura di mobilità volontaria indetta dall’INPS con determina n. 161 del 2011 per la copertura a tempo indeterminato di 58 posti di professionista dipendente – avvocato ex X qualifica funzionale, ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001, procedura da cui era stata esclusa perché non in possesso dei requisiti di ammissione previsti dall’art. 2 del bando di mobilità volontaria.
Il Tribunale di Lecce, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 5154/2014, ha accolto il ricorso.
L’INPS ha proposto appello che la Corte d’appello di Lecce, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1024/2018 ha accolto.
D.C. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
L’INPS ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo D.C. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 perché la Corte territoriale avrebbe fondato la propria decisione su una norma non vigente nel 2011, anno in cui era stato indetto il Bando di mobilità oggetto di causa.
Con il secondo motivo la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115, comma 1, c.p.c. in quanto la Corte d’appello di Lecce avrebbe erroneamente affermato che essa era una dirigente.
Con il terzo motivo D.C. si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 437 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., atteso che il giudice di secondo grado aveva considerato non dimostrato il fatto che la lavoratrice fosse legittimata ad esprimere, nelle materie di competenza, la volontà dell’ente locale di appartenenza, del quale assumeva la rappresentanza sia in ambito privatistico sia nell’esercizio di poteri amministrativi.
Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, considerato che la Corte territoriale aveva ritenuto che la sua qualifica non fosse la stessa degli avvocati dell’INPS.
Con il quinto motivo D.C. afferma che sarebbe stato omesso l’esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, ovvero l’ammissione alla procedura di mobilità in questione di alcuni avvocati.
2. I cinque motivi, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili, non avendo la ricorrente colto la ratio della decisione.
Infatti, la Corte d’appello di Lecce ha accolto l’appello dell’INPS essenzialmente perché D.C. “nell’Amministrazione di provenienza, era inquadrata nella categoria D3 del CCNL Enti Locali che corrisponde alla ex VIII q.f.” mentre, al contrario, la procedura di mobilità volontaria in esame riguardava posti di professionista dipendente – avvocato ex X qualifica funzionale.
Pertanto, rispetto al bando di ammissione la ricorrente non possedeva la stessa qualifica funzionale del posto da coprire.
In altre parole, la Corte distrettuale ha inteso il bando come riferito non solo ad avvocati, ma anche ad avvocati della ex X qualifica funzionale, ex X qualifica funzionale non posseduta dall’odierna ricorrente.
Questa ratio non è stata contestata in maniera specifica con nessuno dei menzionati motivi.
Deve osservarsi, poi, che il semplice fatto di avere il titolo formale di avvocato non comporta in generale il diritto di prendere parte ad ogni procedura di mobilità collegata a “posti di professionista dipendente – avvocato” e che D.C. non ha allegato, come sarebbe stato suo onere, in che termini essa avrebbe ricoperto “una qualifica funzionale” identica a quella degli avvocati dell’INPS (né ha menzionato gli atti di causa dai quali ciò sarebbe stato dimostrato).
Prive di ogni rilievo sono, poi, le contestazioni concernenti la qualifica di dirigente della ricorrente o la sua idoneità ad esprimere la volontà dell’ente di appartenenza, dovendosi tenere conto che la medesima D.C. ha omesso, in sostanza, di chiarire quali attività in concreto avrebbe svolto presso la P.A., se si esclude l’affermazione (a pagina 7 del ricorso) che “gli avvocati fanno sempre le stesse ben note attività, descritte dalla legge professionale”.
Infine, non possono accogliersi le generiche doglianze relative ad eventuali erronee citazioni normative della Corte territoriale e all’ammissione di altri avvocati alla procedura de qua.
3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Ex art. 91 c.p.c. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata dopo la data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, n. 14515 del 10 luglio 2015).
P.Q.M.
– Dichiara inammissibile il ricorso;
– condanna parte ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
– dà atto che sussiste l’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art.
13 del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
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