CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 aprile 2022, n. 10670
Dirigente – Aspettativa senza assegni – Proroga – Cessazione del rapporto – Preavviso -CCNL
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Roma con sentenza n. 3468/2016 confermava la decisione del locale Tribunale che aveva respinto la domanda di G.F., già dirigente generale inserito nei ruoli del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti fino al 18 marzo 2008 data in cui, su sua istanza, era stato collocato in aspettativa senza assegni in relazione all’incarico di Direttore Generale dell’ANCE – Associazione Nazionale Costruttori Edili – per cinque anni, intesa ad ottenere l’annullamento del decreto del 4 novembre 2011 e degli atti successivi con i quali era stato disposto il recupero mediante trattenuta della somma di euro 39.738,09 a titolo di mancato preavviso, sulla base di quanto disposto dall’art. 37, comma 4, del c.c.n.l. relativo al personale Dirigente dell’Area I per il quadriennio normativo 2002-2005 ed il biennio economico 2002-2003 e la condanna del Ministero alla restituzione dell’importo già trattenuto pari ad euro 14.973,21.
2. Il F. nell’ottobre del 2009 aveva cessato l’incarico di Direttore dell’ANCE per essere incaricato dal Commissario Governativo per la ricostruzione nei territori terremotati dell’Abruzzo di costituire la Struttura Tecnica di Missione ed era stato autorizzato dal Ministero all’aspettativa senza assegni fino al 28/2/2010.
In prossimità della scadenza di tale ulteriore autorizzazione il F. aveva chiesto, in data 6 febbraio 2010, la proroga dell’aspettativa ma, per quanto si rileva dalla sentenza impugnata, tale richiesta era rimasta senza risposta né il Ministero aveva reclamato la ripresa in servizio del F.. Quest’ultimo, in data 29 aprile 2010, aveva presentato domanda di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età “con decorrenza immediata”. A tale domanda era stato dato riscontro positivo tre mesi dopo con decorrenza dalla domanda medesima.
Ancora successivamente, nel luglio del 2010, quando già il F. era stato collocato a riposo, gli era stata accordata la proroga dell’aspettativa richiesta a febbraio. Nel novembre del 2011 il Ministero aveva proceduto a recuperare l’indennità sostitutiva del preavviso visto che il F. si era dimesso senza l’osservanza dei termini di cui al comma 1 dell’art. 37 del c.c.n.l.
3. Riteneva la Corte territoriale che la corresponsione dell’indennità prevista dall’art. 37 del c.c.n.l. relativo al personale Dirigente rispondeva all’ingerenza si scongiurare cessazioni improvvise del rapporto a tutela della posizione dell’Amministrazione.
Richiamava le disposizioni del medesimo c.c.n.l. concernenti le cause di cessazione del rapporto (artt. 38, 39 e 40) e rilevava che solo in alcune ipotesi non è dovuto il preavviso – e così nell’ipotesi di cui alla lett. a) dell’art. 38 di compimento del limite massimo di età o di raggiungimento della massima anzianità di servizio ovvero in quella dell’art. 40 di risoluzione consensuale -, mentre in tutte le altri le parti sono tenute al preavviso.
Nella specie il F. non si trovava nelle condizioni di cui all’art. 38 lett. a) e quindi non era dispensato dal preavviso. Poiché il predetto non aveva dato alcun preavviso ma chiesto il collocamento a riposo con decorrenza immediata era dovuta all’Amministrazione la relativa indennità.
In tale situazione era irrilevante la condizione del F. di collocato in aspettativa senza assegni poiché la contrattazione collettiva non prevedeva alcuna deroga o disciplina speciale con riferimento a tale particolare posizione lavorativa.
4. Ricorre per la Cassazione della sentenza G.F. sulla base di quattro motivi.
5. Il Ministero ha opposto difese con controricorso.
6. Il Procuratore Generale ha presentato memoria concludendo per il rigetto del ricorso.
7. Il ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2119 e 2118 cod. civ. e il difetto di motivazione su un punto essenziale della controversia.
Assume che la sua situazione rientrava nell’ambito della previsione di cui all’art. 2119 cod. civ. secondo cui “qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto” a tempo indeterminato il recesso è consentito senza preavviso. Rileva che, nello specifico, la scelta della cessazione del rapporto era stata determinata dal comportamento del Ministero che non aveva dato riscontro alla richiesta di proroga dell’aspettativa a causa del quale non gli era più consentita la permanenza in servizio quale Capo della Struttura Tecnica dell’Ufficio Governativo del Commissariato stante la carenza di un titolo che gli consentisse di restare assente dal Ministero.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2119 e 2118 cod. civ. sotto differente profilo.
Sostiene che se si attribuisce all’indennità di mancato preavviso natura risarcitoria non può non rilevarsi come nel caso in esame il comportamento inerte del Ministero determinativo della scelta del dirigente esclude qualsiasi imputabilità con effetto sanzionatorio. Se invece si attribuisce a detta indennità natura retributiva diventa irrilevante il rinvio al contratto collettivo atteso che nel caso in esame non vi è stata prestazione lavorativa e retribuzione.
Rileva che, a prescindere dalla natura dell’indennità, nella fattispecie in questione è piuttosto configurabile una estinzione consensuale del rapporto considerato che l’Amministrazione non aveva mai reclamato il rientro in servizio del F. né mai contestato il mancato preavviso (agendo per il recupero dell’indennità dopo quasi due anni).
3. I suddetti due motivi, da trattare congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono infondati.
La sentenza impugnata è, infatti, conforme a diritto.
3.1. Come è noto, la cessazione del rapporto del dipendente pubblico dopo la privatizzazione può verificarsi per plurime cause tra loro non omogenee.
In particolare, le ipotesi di estinzione a rilievo individuale concernono diverse fattispecie determinate dalla volontà del dipendente o dovute a volontà dell’amministrazione.
L’art. 38 del c.c.n.l. relativo al personale Dirigente dell’Area I per il quadriennio normativo 2002-2005 ed il biennio economico 2002-2003 (ratione temporis applicabile) individua le cause di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato distinguendo, oltre alla risoluzione per causa di malattia e di servizio), le ipotesi di: a) compimento del limite massimo di età o raggiungimento dell’anzianità massima di servizio previsti dalle norme di legge applicabili nell’amministrazione; b) dimissioni del dirigente; c) recesso dell’amministrazione; d) decesso del dirigente; e) risoluzione consensuale; f) perdita della cittadinanza, nel rispetto della normativa comunitaria in materia. Il comma 2 della medesima disposizione prevede, poi, una ipotesi di risoluzione nei confronti del dirigente che, salvo casi di comprovato impedimento, decorsi quindici giorni, non si presenti in servizio o non riprenda servizio alla scadenza dei periodi di aspettativa o congedo previsti dal medesimo c.c.n.l.
L’art. 39 del c.c.n.l. disciplina l’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro per compimento del limite massimo di età che “avviene automaticamente al verificarsi della condizione prevista ed opera dal primo giorno del mese successivo” e specifica che in tal caso “l’amministrazione risolve il rapporto senza preavviso, salvo domanda dell’interessato per la permanenza in servizio oltre tale termine, da presentarsi almeno tre mesi prima”. Il comma 2 di detto art. 39 precisa che “nel caso di dimissioni del dirigente, questi deve darne comunicazione scritta all’amministrazione rispettando i termini di preavviso”.
L’art. 40 del c.c.n.l. si occupa, poi, dell’ipotesi della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro prevedendo che “l’amministrazione o il dirigente possono proporre all’altra parte la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro […]” e stabilendo che “i criteri generali relativi alla disciplina delle condizioni, dei requisiti e dei limiti in relazione alle esigenze dell’amministrazione per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, prima della definitiva adozione, sono oggetto di concertazione ai sensi dell’art. 7 […]”.
3.2. Le conseguenze pregiudizievoli della cessazione del rapporto per la parte che subisce il recesso sono attenuate, come è noto, dall’istituto del preavviso, comune alla maggior parte dei contratti di durata a tempo indeterminato (si veda, ad es., l’art. 1569 cod. civ. per il contratto di somministrazione, l’art. 1750 cod. civ. per il contratto di agenzia, l’art. 1833 cod. civ. per il contratto di conto corrente etc.).
Riguardo al preavviso, l’art. 37 del c.c.n.l. stabilisce, al primo comma, che: “Salvo il caso della risoluzione consensuale, della risoluzione automatica del rapporto di lavoro prevista all’art. 38 (Cause di cessazione del rapporto di lavoro), comma 1 e del recesso per giusta causa, nei casi previsti dal presente contratto per la risoluzione del rapporto con preavviso o con corresponsione dell’indennità sostitutiva dello stesso, i relativi termini sono fissati come segue […]”.
Il preavviso è perciò sempre dovuto (ed in conseguenza spetta l’indennità sostitutiva dello stesso a carico della parte che risolve il rapporto di lavoro senza l’osservanza dei termini indicati) fatta eccezione per le ipotesi specificamente previste (e cioè la risoluzione consensuale, la risoluzione automatica, la speciale risoluzione di cui al comma 2 dell’art. 38).
In particolare, se inadempiente è il dirigente, l’amministrazione ha diritto di trattenere, su quanto eventualmente dovuto allo stesso, un importo corrispondente alla retribuzione per il periodo di preavviso da questi non dato, senza pregiudizio per l’esercizio di altre azioni dirette al recupero del credito (art. 37, comma 4).
3.3. Anche nel caso del collocamento a riposo diverso dalla previsione di cui alla lettera a) dell’art. 37 è, dunque, dovuto il preavviso. Solo quando vi sia un automatismo non vi è quella esigenza di attenuazione delle conseguenze pregiudizievoli di cui si è detto. Sul punto questa Corte (v. Cass. 24 gennaio 2017, n. 1743) ha evidenziato che la comunicazione del datore di lavoro di collocamento a riposo del dipendente, in forza di clausola contrattuale di automatica risoluzione del rapporto lavorativo al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, non integra un’ipotesi di licenziamento, ma esprime solo la volontà datoriale di avvalersi di un meccanismo risolutivo previsto in sede di autonomia negoziale, sicché, in siffatta ipotesi, non compete al lavoratore il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, in assenza delle finalità sottese all’art. 2118 c.c.
Se, dunque, non c’è un automatismo ma (come nel caso in esame) una scelta del dipendente allora il preavviso è dovuto.
Non risulta che il F., nella comunicazione di collocamento a riposo “per raggiunti limiti di servizio con decorrenza immediata” avesse in qualche modo rappresentato la sussistenza di una giusta causa che lo potesse esonerare dall’onere di preavviso né alcun motivo ostativo alla prosecuzione del rapporto come previsto dall’art. 2119 cod. civ.
3.4. Nello specifico, poi, il ricorrente occupava un posto nell’organico del Ministero e tanto è sufficiente all’operatività dell’art. 37 del c.c.n.l., irrilevante essendo che il dipendente si trovasse in aspettativa senza assegni. Sul punto, peraltro, la contrattazione collettiva non prevede alcuna eccezione o deroga.
3.5. Del tutto nuova, e come tale inammissibile, è, poi, la questione della sussistenza di una estinzione del rapporto ‘sostanzialmente consensualè non essendo stata la stessa trattata nella sentenza impugnata e non risultando quando ed in quali termini la medesima sia stata sottoposta ai giudici di merito.
4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.
Deduce che a fronte del comportamento leale e sollecito del dirigente si contrappone una serie di omissioni e atti ingiustificati, dilatori e subdoli del Ministero fino a quello finale del reclamo del debito a quasi due anni.
5. Il motivo è inammissibile.
Esso, là dove denuncia la violazione di norme di diritto, non formula le censure così come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, trascurando di considerare che il vizio ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’elencazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cass. 12 gennaio 2016, n. 287; Cass. 15 gennaio 2015, n. 635; Cass. 1° dicembre 2014, n. 25419; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038).
Nella specie non si rileva dal motivo quale sarebbe stato l’errore commesso dalla Corte territoriale
6. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2967 cod. civ. per difetto di prova sui fatti dedotti dal Ministero ad eccezione delle domande del F..
Il ricorrente deduce che il Ministero non avrebbe fornito alcuna prova in merito alla sussistenza concreta del credito assunto esistente e per tale qualificato con mero riferimento astratto a disposizioni di contratto collettivo, prive di alcun concreto, verificabile ovvero verosimile aggancio al trattamento pur astrattamente spettante al F..
7. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. senza, però, censurare l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della regola di giudizio fondata sull’onere della prova e dunque per avere attribuito l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata; ciò significa che il motivo si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 360, co. 1, cod. proc. civ. perché, nonostante il richiamo normativo in esso contenuto, sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda (non consentita in sede di legittimità) affinché si fornisca un diverso apprezzamento delle prove (Cass., Sez. Un., 10 giugno 2016, n. 11892).
8. Il ricorso va, conseguentemente, respinto.
9. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
10. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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