CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 dicembre 2021, n. 37845
Tributi – Cartella di pagamento – Giudicato esterno – Rilevanza
Fatti di causa
Il contribuente B.L. ha impugnato una cartella di pagamento, notificata nel novembre 2011, relativa a IRPEF del periodo di imposta 1993, emessa a titolo di iscrizione a ruolo definitiva sulla base della sentenza di questa Corte (Cass., Sez. V, 9 giugno 2009, n. 13225). Il contribuente ha allegato che la pretesa impositiva si fondava su un avviso di accertamento emesso nei confronti della società contribuente Profumeria E. di B.P. & C. SNC, annullato (unitamente agli avvisi emessi nei confronti di altri soci) con sentenza della CTP di Milano, confermata dalla CTR della Lombardia con sentenza passate in giudicato, per cui ha dedotto l’inesistenza della pretesa impositiva.
3 La CTP di Milano ha rigettato il ricorso. La CTR della Lombardia, con sentenza in data 23 agosto 2013, ha rigettato l’appello del contribuente. Ha ritenuto il giudice di appello – per quanto qui rileva – che l’annullamento dell’atto impositivo presupposto nei confronti della società contribuente e di due dei tre soci non fosse opponibile all’amministrazione finanziaria, posto che nel caso relativo all’odierno contribuente, la cassazione aveva annullato le sentenze con rinvio al primo giudice, il quale aveva dichiarato l’estinzione del giudizio per mancata riassunzione. Sotto questo profilo, il giudice di appello ha ritenuto che il giudicato formatosi nel giudizio tra la società e l’Erario sarebbe stato deducibile unicamente nel giudizio di cassazione conclusosi con la sentenza n. 13225/2009 e non anche nel suddetto giudizio di appello.
Propone ricorso per cassazione il contribuente, affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrato da memoria e da note scritte; resistono con controricorso l’ente impositore e il concessionario della riscossione.
Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dall’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, come inserito dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 24, 53, 111 Cost., 1306, 2909 cod. civ., 5, primo comma, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), 14 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 40 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inopponibile il giudicato formatosi tra la società di persone partecipata e l’Ente impositore. Osserva il ricorrente che la sentenza di questa Corte n. 13225/2009 non si sarebbe pronunciata sul merito, bensì sulla questione preliminare della violazione del litisconsorzio necessario. Osserva come la menzionata sentenza della Cassazione non sarebbe mai stata comunicata al procuratore del ricorrente, deducendo di essere venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo all’atto della notificazione della cartella di pagamento. Osserva il ricorrente che il giudicato formatosi tra società contribuente ed Erario può spiegare efficacia inter alios nel rapporto tra socio contribuente ed Erario per incremento del reddito di partecipazione, provenendo dalla medesima pretesa impositiva. Deduce il ricorrente come la questione sarebbe stata dedotta davanti al giudice di legittimità, ma sarebbe rimasta assorbita dal rilievo pregiudiziale dell’omissione del contraddittorio.
1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 45 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Osserva il ricorrente che il ruolo definitivo e la stessa cartella sarebbero stati emessi prima dell’emissione da parte del Presidente della CTP di Milano dell’estinzione del giudizio, emesso in data 22 novembre 2012, attribuendosi natura costitutiva ai fini del verificarsi della fattispecie estintiva al provvedimento giudiziale che la dichiara.
1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 7 l. 27 luglio 2000, n. 212, «insussistenza e illegittimità della motivazione». Osserva il ricorrente che la menzionata sentenza di questa Corte sulla base della quale è stato emesso il ruolo non avrebbe accertato la pretesa impositiva nel merito, ma si sarebbe limitata a dichiarare la nullità dell’intero giudizio per pretermissione del contraddittorio, per cui non potrebbe legittimare l’emissione della cartella, mancando il giudicato sul merito della pretesa impositiva. Osserva, inoltre, il ricorrente che il presupposto sarebbe, in questo caso, il decreto con il quale viene dichiarata l’estinzione del processo e non la sentenza del giudice di legittimità, con conseguente violazione dell’obbligo di motivazione.
1.4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2934, 2969 [cod. civ.], nonché dell’art. 25, primo comma, lett. c) d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in relazione alla disciplina della prescrizione e della decadenza. Osserva il ricorrente come la mancata riassunzione comporta l’estinzione dell’intero giudizio, facendo salvi gli atti impositivi impugnati. Osserva il ricorrente come in caso di estinzione del giudizio non opererebbe l’effetto sospensivo del giudizio, ma unicamente quello interruttivo, con conseguente prescrizione della pretesa impositiva, risalente al periodo di imposta 1993.
2. Va rigettata l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso articolata dalla controricorrente Agenzia delle Entrate, essendo evincibili le censure articolate avverso la sentenza impugnata.
3. Il primo motivo è fondato. La sentenza impugnata ha ritenuto che «il fatto che nei confronti della società e di due dei tre soci la sentenza della Commissione Tributaria Regionale è passata in giudicato, tale giudicato poteva farsi valere solo in seguito dell’annullamento delle sentenze di primo e secondo grado da parte della Corte Suprema di Cassazione con rinvio al giudice di primo grado che ha pronunciato l’estinzione del giudizio per mancata riassunzione nei termini di legge». Diversamente, deve ritenersi – come convidivisibilmente osservato dal Pubblico Ministero – che non occorre dichiarare la nullità dei giudizi relativi agli accertamenti nei confronti dei soci per violazione del litisconsorzio necessario con la società ove sia divenuto ormai definitivo, in conseguenza della formazione del giudicato, l’annullamento dell’accertamento nei confronti della società, atteso che, in tale caso, disporre la rimessione al giudice di primo grado contrasterebbe con i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, che hanno fondamento costituzionale (Cass., Sez. V, 1° giugno 2021, n. 15179; Cass., Sez. V, 10 dicembre 2019, n. 32220). Ciò in quanto la validità dell’avviso in ordine a ricavi non contabilizzati, emesso a carico di società (di capitali a ristretta base partecipativa o a fortiori di persone), costituisce presupposto indefettibile per legittimare la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, con la conseguenza che l’annullamento dello stesso con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, avendo carattere pregiudicante, determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento, notificato al singolo socio, che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari (Cass., Sez. V, 19 gennaio 2021, n. 752; Cass., Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 27895).
4. Deve, quindi, ribadirsi, il principio già espresso da questa Corte, secondo cui, essendovi un vincolo di consequenzialità necessaria tra il contenzioso relativo all’accertamento a carico della società e quello relativo ai singoli soci, «nel caso di autonoma e distinta instaurazione delle relative vertenze dinanzi al giudice tributario, si rende inevitabile che la decisione intervenuta nel primo dei suddetti contenziosi si rifletta sulla pronuncia afferente al secondo, il che impone al giudice chiamato a statuire su quest’ultimo di prendere atto della decisione intervenuta nella prima controversia» (Cass., Sez. U., 4 giugno 2008, nn. 14815, 14816). La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione del suddetto principio.
5. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al primo motivo, con assorbimento degli ulteriori motivi, cassandosi la sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto a termini dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito, accogliendosi l’originario ricorso del contribuente. Le spese del doppio grado di merito sono soggette a integrale compensazione, stante l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo, dichiarando assorbiti gli ulteriori tre motivi; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso; condanna i controricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore del ricorrente, che liquida in € 7.200,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.