CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 febbraio 2019, n. 3050
Accisa – Gas naturali – Accertamento – Riscossione – Aliquota agevolata – Presupposti
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Dogane propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, depositata il 30 maggio 2011, di accoglimento dell’appello proposto dall’ENI s.p.a. avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso della contribuente per l’annullamento di un avviso di pagamento emesso a seguito dell’accertamento del pagamento dell’accisa su gas naturale da parte della E. H.P.I. s.p.a. (in seguito, E.), cessionaria della contribuente medesima, previa applicazione dell’aliquota agevolata senza che ne ricorressero le relative condizioni.
2. Il giudice di appello ha rilevato che la E. aveva ceduto a soggetti terzi, insistenti nel suo sito industriale, parte del gas naturale fornito dalla società contribuente in agevolazione fiscale, sotto forma di calore derivante dalla trasformazione del gas stesso, e che tale cessione esponeva la (sola) cessionaria, quale «soggetto passivo informale», al pagamento della differenza tra l’accisa dovuta e quella versata in misura agevolata.
3. Il ricorso è affidato a due motivi.
4. Resiste con controricorso l’ENI s.p.a., la quale deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso proposto l’Agenzia delle Dogane denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 163 c.p.c., 18, 21 e 24, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e 24 e 111 Cost., per aver la sentenza impugnata accolto il gravame sul fondamento di un motivo – l’erronea individuazione della società contribuente quale obbligata alla corresponsione del tributo ex art. 26, settimo comma, d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 – mai ritualmente proposto, ma preso in considerazione d’ufficio dal giudice di appello.
1.1. Il motivo è inammissibile per aver la ricorrente riferito la doglianza al n. 3 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. e non aver, invece, dedotto la nullità della sentenza e/o del procedimento ai sensi del successivo n. 4.
Infatti, benché ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso non è richiesta l’esatta indicazione numerica della specifica disposizione normativa espressiva del vizio di legittimità fatto valere, con conseguente dovere del giudice di riqualificare il vizio in altre fattispecie di censura di cui all’art. 360, primo comma, c.p.c., è, tuttavia, necessario che dall’articolazione(motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato e la denuncia corrisponda ad una delle ipotesi tassativamente previste.
Nell’illustrazione del motivo formulato, la ricorrente ha allegato la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, evidenziando che il giudice di appello non avrebbe potuto porre a fondamento della sua decisione un elemento – la soggettività passiva della contribuente, ritenuta insussistente – mai introdotto nel giudizio.
Poiché la ricorrente, nel prospettare la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e di altre disposizioni processuali, si è limitata ad argomentare solo sulla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato senza alcun riferimento alle conseguenze che l’errore (sulla legge) processuale comporta, vale a dire alla nullità della sentenza e/o del procedimento, non risulta essere rispettato l’onere della specificità del motivo di cui all’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c. (cfr. Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931; successivamente, in tal senso, Cass., ord., 28 settembre 2015, n. 19124).
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 26, d.lgs. n. 504 del 199%, della Direttiva CEE del Consiglio n. 82/12 e del d.m. 12 luglio 1977, per aver il giudice di appello ritenuto che il soggetto passivo dell’imposta sia il consumatore finale del prodotto e non già/fornitore.
2.1. Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata evidenzia, come già rilevato, che la E., in quanto «subfornitore non autorizzato», ha «illecitamente» ceduto gas naturale acquistato in agevolazione fiscale, sotto forma di calore, a soggetti contrattuali insistenti nel suo sito industriale, senza che ricorressero i requisiti per l’applicazione del regime agevolativo.
Aggiunge che la inosservanza del divieto di trasferimento del beneficio fiscale mediante cessione del gas naturale a soggetti privi dei requisiti per la fruizione della agevolazione, scelti dal cessionario ed estranei al rapporto intercorrente tra questi e la società contribuente, soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, pone a carico della cessionaria l’obbligo di pagare la differenza di accisa, implicitamente e illecitamente scontata ad aliquota agevolata relativamente alla somministrazione di gas naturale a terzi non aventi diritto.
Orbene, l’art. 26, quarto comma, d.lgs. n. 504 del 1995, pone a carico dei soggetti che vendono direttamente il prodotto ai consumatori l’onere di versare la relativa accisa.
La norma va, dunque, interpretata nel senso che soggetto passivo dell’imposta è il fornitore del prodotto e non il consumatore al quale il corrispondente onere viene traslato in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico; il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge, pertanto, esclusivamente tra l’Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas naturale ai consumatori e ad esso è del tutto estraneo l’utente (così, Cass., sez. un., 1° febbraio 2016, n. 1837).
E’ stato coerentemente affermato che quando il consumatore fa valere nei confronti del fornitore – che ha compreso nel prezzo di vendita del prodotto anche l’imposta di consumo pagata allo Stato – l’azione di ripetizione della parte di prezzo corrispondente al suddetto tributo, ritenendo di essere esonerato dal relativo pagamento in forza delle citate disposizioni, egli non esercita un’azione tributaria di rimborso, ma richiede, nel rapporto con l’altro contraente, la restituzione di una parte del prezzo indebitamente corrisposta che, secondo legge, non avrebbe potuto essere compresa nel prezzo medesimo (vedi, oltre alla pronuncia richiamata in precedenza, Cass. 6 agosto 2014, n.17627; Cass., sez. un., 25 maggio 2009, n. 1198).
Conseguentemente, deve affermarsi che il rapporto tributario in materia di accise intercorre esclusivamente tra il fornitore del gas metano e lo Stato, là dove il rapporto tra il fornitore ed il consumatore (o il subfornitore non autorizzato) è di natura contrattuale e si pone su un piano distinto rispetto a quello tributario.
E’, quindi, sempre il fornitore ad essere titolare, dal lato passivo, dell’obbligazione tributaria di corrispondere l’accisa in generale e, in esito al pagamento, egli può riversarne l’onere mediante rivalsa.
Una siffatta interpretazione è coerente con la caratterizzazione tipologica delle accise che postula, per poter risultare efficace e garantire un gettito costante all’erario, la concentrazione del controllo su pochi soggetti, ossia i produttori o gli importatori dei prodotti, e con la configurabilità della rivalsa come oggetto di un diritto e non come elemento connaturale ed ineludibile della fisionomia del tributo (così, Cass. n. 17627/2014).
3. La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione.
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